Il Pensiero Cattolico

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don Giuseppe Agnello

Sempre Immacolata, Sempre Vérgine e solo Madre:

Maria non è nostra sorella

Venerando in modo superlativo e specialíssimo la Madre di Nostro Signore Gesú Cristo, la Chiesa ha nei sècoli meditato il mistero che la riguarda e che ci ha raggiunto tràmite il suo sí, attribuendo a Maria santíssima tanti títoli di orígine bíblica, ecclesiàstica e stòrica. In essi si manifesta la fede di sempre, l’affetto filiale del pòpolo redento, e l’esperienza della sua presenza nella stòria di tutti i tempi. Chiunque vada a rispolverare i varî tipi di litanie che attèstano tutto questo, non potrà non notare l’assenza di un títolo mariano che da qualche decènnio circa ha preso piede nel mondo cattòlico: Maria nostra sorella.

Una novità che tenta di consegnarci un’insòlita Maria, affatto sconosciuta ai credenti, e ai credenti non contaminati da idee protestanti. Un libro del 2002, della dottoressa protestante Basilea Schlink, il cui títolo è “Maria nostra sorella”, ci riporta pròprio alla necessità di verificare una tale affermazione, tanto piú che reca la prefazione del nostro Raniero Cantalamessa e fa l’elògio della marianità di Martín Lutero. Vogliamo allora con voi riflèttere su questa novità, per capire se ha o no un fondamento; o se piuttosto debba èssere rigettata, non importa per bocca di chi sia cominciata a circolare.
Sappiamo dalla Gènesi che Eva, la cui integrità prelapsària era in tutto símile a quella di Maria santíssima Immacolata, è detta «la madre di tutti i viventi» (Gn 3, v.20). Questo ruolo, innestato nel suo èssere Donna, la còlloca insieme ad Adamo all’orígine della nostra stòria umana come progenitrice. Il peccato originale commesso, poi, fa entrambi i progenitori trasmettitori di quelle conseguenze e inclinazioni che dichiàrano esplicitamente che ogni uomo ha bisogno della salvezza di Dio. Dice il Catechismo: «La Rivelazione ci dà la certezza di fede che tutta la stòria umana è segnata dalla colpa originale liberamente commessa dai nostri progenitori» (CCC 390).
Come una madre ha trasmesso a tutti i figlî la colpa del cattivo uso della libertà umana, un’altra Madre doveva trasméttere a tutti i figlî, rigenerati dalla gràzia, l’immacolatezza e la santità nell’amore. Anche questa Madre è anzitutto annunciata o chiamata come “Donna” nel protovangelo genesíaco (Gn 3, v.15), nel Vangelo (Gv 2, v.4; Gv 19, v.26), in san Pàolo (Gal 4, v.4) e nell’Apocalisse (Ap 12); e come Vérgine e Madre nell’Antico Testamento (Mic 5, v.2; Is 7, v.14) e in varî passi del Vangelo. La genealogia di Gesú Cristo riportata da san Matteo, che è anche il brano evangèlico che da sempre accompagna la festa della Natività di Maria nella liturgia latina, evidènzia la cesura (e la non partecipazione di un uomo nel suo concepimento verginale) segnata da Maria rispetto agli antenati elencati per arrivare al suo sposo Giuseppe: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesú, chiamato Cristo» (Mt 1, v.16). Ciò che Maria dica di sé stessa lo sappiamo dal Magnificat (Cfr Lc 1, 46-56), dove si definisce úmile “serva” del Signore, ma anche “beata” fra tutte le generazioni (v.48). Donde spunti il suo èssere sorella, dunque, resta un mistero…o quasi. Sappiamo però qual è il brano (dopo quello delle nozze di Cana) che tanto piace ai protestanti per contestare ogni onore alla Madre di Dio e per fare di Gesú stesso il duro e freddo contestatore della Madre: «Mentre egli parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in disparte, cercàvano di parlargli. Qualcuno gli disse: “Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vògliono parlarti”. Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: “¿Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Poi stendendo la mano verso i suoi discèpoli disse: “Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre”» (Mt 12, 46-50).
Da queste últime parole sembrerebbe che Gesú stesso fàccia di Maria sua sorella oltre che sua madre, perché inserisce tutti coloro che fanno la volontà di Dio in questa “parentela” spirituale piú forte dei legami di sàngue. In realtà Gesú non è un distruttore del princípio di non contraddizione e nemmeno un ammucchiatore di stati di vita: chi è madre resta madre e chi è sorella o fratello resta tale (non esiste nemmeno in natura che una madre sia contemporaneamente sorella dei proprî figlî; oppure che una síngola persona sia fratello, sorella e madre contemporaneamente): Gesú rivela alle folle il vero privilègio di èssere suoi “familiari” nel còmpiere la volontà di Dio. Inoltre di Maria, madre di Gesú, di Cristo, di Dio, ma sempre “madre” dell’Unigènito Fíglio del Padre, la festa piú importante nelle chiese ortodosse resta quella dell’Annunciazione, perché, come spiega Elisabeth Behr-Sigel, è «festa còntemporàneaménte del Fíglio di Dio che si fa uomo e di colei attraverso la quale avviene l’umanizzazione del Verbo divino, l’irruzione di Dio nella stòria umana». Prima dell’Incarnazione, dunque, Maria è “sorella” in senso molto lato (o nel significato che dàvano gli Ebrei a tutti i parenti pròssimi della pròpria tribú) di quanti l’hanno preceduta ed èrano imparentati con i suoi genitori Gioacchino ed Anna.
Basti citare questo uso del tèrmine greco, secondo il semitismo di cui è calco, in 1 Cr 23, v.22, dove son chiamati “fratelli” i cugini primi: «Eleàzaro morì senza figlî, avendo soltanto fíglie; le sposàrono i figlî di Kis, loro fratelli». Dopo l’Incarnazione, questo uso scompare riferito a Maria, anche nell’incontro con santa Elisabetta, che è detta sua “parente”, ma non viene indicata col semitismo “sorella”. Perché? Perché è pròprio nell’Incarnazione del Verbo che avviene il passàggio e l’effetto dell’accoglienza di questa Donna nel suo nuovo e definitivo status di Vérgine e Madre, come tutta l’Eucologia cattòlica ricorda indissolubilmente. Il sí o fiat di Maria all’Àngelo gènera il Fíglio di Dio per òpera dello Spírito Santo, ma gènera anche noi con Gesú, in quanto figlî nel Fíglio per il dono del battésimo. Sant’Elisabetta, senz’altro ispirata, (o, se volete, l’evangelista senz’altro con le idee chiare) la riconosce in questo suo nuovo e definitivo status: «¿A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?» (Lc 1, v.43). Da adesso in poi Ella è Madre e Madre è confermata da Gesú sulla Croce al discèpolo prediletto: «Ecco tua madre» (Gv 19, v.27). Certo, ab aeterno Ella è Vérgine e Madre nei progetti di Dio, ma l’Incarnazione còmpie il mistero e tutto in vista della Pasqua.
Come Eva non ha sorelle o fratelli, ma solo figlî; cosí la Nuova Eva non ha sorelle o fratelli, ma solo figlî nel Fíglio. Volere dunque èssere accompagnati da Lei come sorella, da pari a pari, anziché per mano o sotto la sua protezione come si conviene a Madre, non solo è strano e peregrino, ma va contro la volontà di Cristo stesso, che è «il primogènito tra molti fratelli» (Rm 8, v.29) e tali ci ha resi sulla Croce.
E arriviamo adesso al modo in cui tutti gli uòmini si potrèbbero dire “fratelli in Cristo” o al modo che li rende davvero “fratelli in Cristo”. Per i non battezzati, questo mistero è dipendente dall’assunzione del Verbo dell’umanità di tutti gli uòmini, la quale rende “fratelli” che non pòssono riconóscere il Padre (che solo il Fíglio è venuto a rivelare) e non vògliono riconóscere la Madre (ossia la Chiesa, che sola al mondo ci può rigenerare). Ragión per cui «in interiore homine habitat veritas», come dice sant’Agostino, ma la carne, quando dòmina senza lo Spírito, non può farla emèrgere. Questi fratelli e sorelle, tra peccato originale e assenza di Genitori, rèstano dotati della dignità di creazione, ma ignòrano i doni della redenzione. Per i battezzati, invece, Cristo sulla Croce còmpie perfettamente l’innesto nel suo Corpo, perché distrugge il peccato, che è il vero ostàcolo alla comunione e alla fraternità cristiane. La Pasqua di Cristo trasforma la comunione creazionale in comunione salvífica e ci dona con chiarezza i Genitori che solo lo Spírito Santo ci può fare riconóscere. Padre Raniero Cantalamessa, nel Venerdí Santo del 2021 diceva:
«La Pasqua segna una tappa nuova e decisiva. Gràzie ad essa, Cristo diventa “il primogènito tra molti fratelli” (Rom 8,29). I discèpoli divèntano fratelli in senso nuovo e profondíssimo: condivídono non solo l’insegnamento di Gesú, ma anche il suo Spírito, la sua vita nuova di risorto. È significativo che solo dopo la sua risurrezione, per la prima volta, Gesú chiama i suoi discèpoli “fratelli”: “Va’ dai miei fratelli – dice a Maria di Màgdala – e di’ loro: ‘Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’” (Gv 20,17). “Colui che santífica e coloro che sono santificati –si legge nella Léttera agli Ebrei – provèngono tutti da una stessa orígine; per questo [Cristo] non si vergogna di chiamarli fratelli” (Ebr 2, 11). Dopo la Pasqua, questo è l’uso più comune del tèrmine fratello; esso índica il fratello di fede, membro della comunità cristiana. Fratelli “di sàngue” anche in questo caso, ma del sàngue di Cristo! Questo fa della fraternità in Cristo qualcosa di único e di trascendente, rispetto a ogni altro gènere di fraternità ed è dovuto al fatto che Cristo è anche Dio. Essa non si sostituisce agli altri tipi di fraternità basati su famíglia, nazione o razza, ma li corona. Tutti gli èsseri umani sono fratelli in quanto creature dello stesso Dio e Padre. A ciò la fede cristiana aggiunge una seconda decisiva ragione. Siamo fratelli non solo a títolo di creazione, ma anche di redenzione; non solo perché abbiamo tutti lo stesso Padre, ma perché abbiamo tutti lo stesso fratello, Cristo, “primogènito tra molti fratelli”».
¿Come ci entra in queste considerazioni del cardinale Cantalamessa Maria santíssima? ¿Si può usare quanto dice in questa occasione per comprènderla come “sorella nella fede”? Ritengo di no, in forza di tutti i privilegî che Nostro Signore ha voluto dare a Maria e per le ragioni già espresse sopra, che sono chiaramente bíbliche. Maria non è una discèpola che ha dovuto aspettare la Pasqua per avere la sua umanità riconciliata con Dio e in comunione perfetta con Dio; non ha un’umanità adamítica postlapsària che la renda sorella delle generazioni precedenti; è piena di gràzia e non ha dovuto aspettare il dono dello Spírito Santo nelle modalità degli altri redenti e credenti; non è nemmeno al pari di un qualsíasi beneficiàrio della redenzione, essendo Corredentrice dell’umanità secondo la profezia di Simeone; e in último, e in maniera decisiva, in forza dell’Incarnazione del Fíglio diventa solo Madre, nel permanere della sua verginità: Madre del Fíglio, Madre dei credenti, Madre che ci gènera alla fede, ma anche e di nuovo “madre dei viventi” nel senso piú soprannaturale che si possa dare all’espressione vèterotestamentària. Gesú non l’ha mai chiamata “Sorella mia” nel Vangelo.
L’espressione è nel Càntico dei càntici (Ct 4, v.9 e 5, v.2), e può riferirsi a Maria solo nel significato piú lato che ci sia: «nella dimensione del Regno di Dio, nel ràggio salvífico della paternità di Dio», dove anch’ella è fíglia del Padre come ogni creatura, per usare il n.21 della Redemptoris Mater (R.M.) di san Giovanni Pàolo II, ma cessa di èssere come ogni creatura se la consideriamo nel mistero di Cristo Salvatore. In questa encíclica, infatti, è ben approfondito il ruolo di Maria che ci precede nel nostro peregrinare, nella fede, verso Dio; e il papa insiste sul suo èssere Vérgine e Madre (com’è la Chiesa prima dell’incontro escatològico con Dio); approfondisce il concetto conciliare di Maria “compimento escatològico della Chiesa”, quanto a perfezione, santità, e glòria; spiega che è in cammino con noi come Stella Maris e Madre amorévole; subòrdina il ruolo di “discèpola” e di “sorella” (il papa non usa mai questo tèrmine, ma con un inciso nòmina la “fraternità”) a quello di Madre (Cfr R.M. nn 20-21), che ab aeterno le è pròprio perché ella «eternamente è stata presente nel mistero di Cristo» (R.M. n.19); spiega il ruolo di Maria “mediatrice” in quanto Madre. Pertanto, sostenuto da cosí alto magistero, torno alle Litanie lauretane, testimoni fedeli di cristallina dottrina: in esse trovo Maria, la Madre, La Vérgine, la Regina, e posso stare certo di non trovare la “sorella”.

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