Redazione IPC
Proposizioni per un’Arte Sacra secondo lo Spirito
Sintesi di un incontro tenuto sul tema dell'Arte Sacra.
Relatori: Don Nicola Bux, Giorgio Esposito, Maria Teresa Ferrari, Nicola Barile, Chiara Troccoli, Antonio Calisi.
Veni, Creator Spiritus
mentes tuorum visita
Imple superna gratia
quae tu creasti pectora
A partire dagli anni Trenta del secolo scorso, favorita dal ’68 che ha fatto da catalizzatore, l’arte odierna, è in gran parte una pseudo-arte: vuole scioccare, provocare – talora in modo blasfemo – stuzzicare istinti, narcotizzare la ragione ed eccitare le pulsioni. Invece, a partire dai Greci,- eccezion fatta per la componente bacchica – l’arte è stata considerata come realizzazione di armonia, sia nei capolavori, sia nello spirito e nella ragione dei fruitori, che devono appunto ricavarne armonia, pace, serenità, nutrimento spirituale e un incremento di conoscenza morale. Persino l’arte cristiana attraversa un’apostasia: ha dimenticato che attraverso il bello(kalòs)diventa più facile promuovere il bene(agathòs) e mostrando la ripugnanza-bruttezza del male, in specie della menzogna, è più facile giungere al vero (alethòs). Così, come ricorda san Tommaso: bonum, verum et pulchrum in unum convertuntur. E san Giovanni Damasceno: I concetti creano gli idoli, solo lo stupore conosce.
- E’ ormai da molti anni che la Chiesa Cattolica ha sperimentato una nuova epoca nel suo millenario rapporto con l’arte e l’architettura sacra. Una nuova epoca segnata dalla ribellione dell’arte contemporanea e dal suo disprezzo verso “le forme vive o le forme degli esseri viventi”, secondo la definizione di Ortega y Gasset, disprezzo espresso in particolare dall’arte astratta ed informale.
- La via per il recupero di un sano rapporto fra arte e Chiesa Cattolica venne indicata nel 1964 da Sua Santità papa Paolo VI, nel suo memorabile “Discorso agli Artisti”.
Il Santo Padre indicava allora i seguenti punti per il rilancio di un “patto” fra artisti e Chiesa:
- “Se vogliamo dare, ripetiamo, autenticità e pienezza al momento artistico religioso, alla Messa, è necessaria la sua preparazione, la sua catechesi; bisogna in altri termini farla prendere o accompagnare dalla istruzione religiosa.”
- “C’è poi bisogno del laboratorio, cioè della tecnica per fare le cose bene. E qui lasciamo la parola a voi che direte che cosa è necessario, perché l’espressione artistica da dare a questi momenti religiosi abbia tutta la sua ricchezza di espressività di modi e di strumenti, e se occorre anche di novità.”
- “E da ultimo aggiungeremo che non basta né la catechesi, né il laboratorio. Occorre l’indispensabile caratteristica del momento religioso, e cioè la sincerità. Non si tratta più solo d’arte, ma di spiritualità. Bisogna entrare nella cella interiore di se stessi e dare al momento religioso, artisticamente vissuto, ciò che qui si esprime: una personalità, una voce cavata proprio dal profondo dell’animo, una forma che si distingue da ogni travestimento di palcoscenico, di rappresentazione puramente esteriore.”
- A distanza di 60 anni da quelle parole, i risultati sono modesti se non del tutto deludenti. In una parola l’arte e l’architettura sacra oggi non sembrano favorire l’incontro con Dio, quanto piuttosto ostacolarlo costantemente.
Le cause della presente situazione
- Nonostante siano passati quatto secoli dalla sua pubblicazione il “Discorso intorno alle immagini sacre e profane” del Cardinal Gabriele Paleotti (1582) espone con chiarezza la causa principale dello sbandamento attuale: “E’ nostro parere che gli abusi non siano tanto da ascrivere agli errori che gli artisti commettono nel dar forma alle immagini, quanto piuttosto agli errori dei signori che le commissionano e che trascurano di commissionarle come si dovrebbe: essi sono le vere cause degli abusi, in quanto gli artisti non fanno che seguire le loro indicazioni.”
I riferimenti teologici
- Perfectio, Claritas, Armonia: i tre fondamentali dell’estetica cattolica sono riassunti nella Bellezza della Verità. L’unità, la verità, la bontà e la bellezza concorrono in modo determinante alla chiarezza e alla pienezza del sacro trinitario e della liturgia, ne costituiscono lo statuto fondamentale, la natura stessa della res sacra e ad un tempo della relazione di dipendenza con essa del fedele riunito al Cristo e alla Chiesa. L’arte sacra deve dunque essere Vera.
- La somiglianza, che nella Trinità è perfetta, sostanziale e piena, si sparge nella creazione per partecipazione, e vi si sparge proprio a causa del fatto che la ss. Trinità vuole avere anche fuori della sua arcana trascendenza delle creature, immagini di Sé, capaci di compiere intelligentemente e dunque liberamente la stessa santa Liturgia che Essa compie in Sé. L’Incarnazione del Signore è principio e fonte dell’arte sacra. Un’arte che irrida o non rispetti fedelmente il dogma dell’Incarnazione, rinnegandolo attraverso l’astrattismo e la rinuncia alle forme, è incompatibile con la definizione di “arte sacra”.
- La liturgia ci invita a rivolgerci al Signore distogliendo lo sguardo da noi stessi o da altre creature, per fissarlo, attraverso lo stesso sacerdote celebrante tutt’uno col Cristo, nella Gloria del Padre che lo stesso Cristo è. Dunque, la liturgia è sacra perché scende dall’alto, da Dio Trinità che è nei cieli, perciò è ‘il cielo sulla terra’, ed è sacra poi perché così deificante risale attraverso il sacrificio di Cristo al Padre che è nei Cieli.
- Il percorso parallelo e l’intima integrazione dell’arte con la Liturgia non ne concludono il senso. L’opera artistica ed architettonica, a differenza della liturgia, permane anche dopo la Liturgia. Essa ha perciò il compito aggiuntivo di essere eco della liturgia, una volta che questa sia terminata. Nella Liturgia nulla è superfluo, poiché anche ciò che non è necessario contribuisce alla sua bellezza, la quale a sua volta si rivela utile alla descrizione delle realtà celesti. La Liturgia è inoltre organica poiché nessuna sua parte ha senso se isolata dalle altre. Allo stesso modo la decorazione della chiesa e la sua struttura architettonica devono rivendicare una funzione pedagogica verso la fedeltà al messaggio evangelico e liturgico, il suo arricchimento estetico, e la comunicazione con il Signore nella Sua dimora.
Committenti ed Artisti
- Il sacerdote e il liturgista devono avere innanzitutto chiara l’identità cristiana e cattolica che ne fa la pars magna della committenza: di qui la verifica dell’identità dell’artista che, qualora non fosse altrettanto chiara, deve compiere un itinerario che parta dalla sua vocazione tecnica per giungere a quella cristiana e liturgica che sola può permettergli di creare un’arte sacra.
- La desacralizzazione ha reso incapaci di stupore chierici e fedeli, stupore che dipende proprio dalla presenza del Sacro. Se l’Incarnazione è la cifra essenziale, non è l’uomo che diventa Dio, ma è Dio che è diventato uomo. Per questo motivo nell’arte cristiana bisogna insistere sul ruolo dell’immagine. «L’ars celebrandi deve favorire il senso del sacro e l’utilizzo di quelle forme esteriori che educano a tale senso, come, ad esempio, l’armonia del rito, delle vesti liturgiche, dell’arredo e del luogo sacro». (Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis, n.42).
- L’assenza nel percorso formativo del clero di indirizzi su arte ed architettura sacra è oggi percepita come una grave lacuna. E’ dunque fortemente sentita la necessità di istituire un percorso di formazione artistica ed architettonica fino al livello universitario patrocinato dalla Chiesa.
- L’artista deve essere innanzitutto tale, ovvero deve possedere una oggettiva maestria, specialmente nell’uso dei materiali e delle tecniche, per eseguire quanto gli viene commissionato e nello stesso tempo deve conoscere il Credo della Chiesa e la sua liturgia. Se in passato talvolta il primo requisito è stato negletto, oggi rischia di esserlo il secondo.
- La costruzione di un edificio sacro cristiano o una composizione musicale per la liturgia sono annuncio permanente di Gesù Cristo all’uomo. L’attività creatrice dell’artista non può dunque prescindere dalla morale e dalla fede. San Paolo ha esortato i cristiani a conoscere Cristo “secondo lo Spirito” e a non conformarsi alla mentalità mondana, a non secolarizzarsi. Vuol dire che la conoscenza interiore di Gesù porta alla conversione e all’abbandono di ogni accorgimento mondano. Un artista non credente può giungere a realizzare una chiesa se, operando, si immedesima nel mistero della fede pur commettendo alcune ingenuità o alfine ne scopre la grazia: la sua arte allora diventa testimonianza del vero ricercato e alfine trovato agendo. Tuttavia, ciò è possibile grazie ad un incontro, al rapporto con la presenza di Cristo, tramite qualcuno che ti introduce ad un diverso modo di conoscere la realtà. L’arte per sua natura non può essere lontana dalla fede, se non a causa di progetti ben calcolati e pagati.
- Quindi, essere contrari alle “grandi firme” non significa che i progetti di un architetto non credente o non cristiano o cattolico non praticante siano inutili e sempre fuorvianti. Possono invece risultare quali premesse o ‘ prove di stampa ’ per un dialogo che porti alla conversione o come si suole dire a un cammino di fede, prima che a progetti di edifici sacri veri e propri. Perché con un artista si dovrebbe fare eccezione? Tuttavia l’appartenenza ecclesiale non è un requisito secondario per costruire un edificio sacro. La prima ‘regola’ per fare arte sacra, sia essa architettonica o musicale, è appartenere alla Chiesa.
- L’artista cristiano è umile e quasi non deve comparire: a lui come a tutti è richiesta la conversione. Joseph Ratzinger ricorda che per essere condotti ad un nuovo modo di vedere, prima si deve cambiare il cuore: a partire dal centro interiore che è la croce e la risurrezione (Cfr. Introduzione allo spirito della liturgia, p 117). Perciò gli orientali esigono che per fare una icona ci voglia il digiuno. E’ la seconda ‘regola’: senza conversione non si può produrre arte sacra adatta alla liturgia.
- Ecco perché, la terza ‘regola’ dell’artista è la conoscenza della liturgia e della Scrittura, la continuità con la tradizione e col magistero di due millenni: l’artista cristiano non lavora da solo ma in comunione con la comunità ecclesiale di tutti i tempi. Una chiesa odierna non può essere in rottura con le forme consacrate dalla tradizione, pur innovandole e sviluppandole dall’interno. Non basta il consulente liturgico: questa è una figura propria di una Chiesa concepita come azienda.
- Una quarta ‘regola’ è la bellezza divina, che costituisce la fondazione ontologica dell’arte sacra. La caratteristica della liturgia è l’intima connessione di celebrazione rituale col suo simbolismo, di disposizione architettonica e iconografica e di mistagogia o interpretazione liturgica. Perché nella liturgia Dio si rivela all’uomo. Perciò ne segue che l’artista è ministro della bellezza, perché la Chiesa è casa di Dio e del popolo che gli appartiene.
- Quinta regola: se l’artista è umile, non c’è bellezza migliore che lasciarsi trasformare da Cristo. Solo così la bellezza può salvare il mondo mettendo ordine, l’ordine dell’amore. Per questo alla fine “solo l’amore è credibile”. Come può un artista costruire una chiesa immagine del corpo di Cristo senza l’amore teologale?
- Dunque l’arte sacra cristiana – cioè un’arte ordinata alla liturgia – si fonda su uno sguardo che si apre in profondità, poggia sulla dimensione ecclesiale della fede condivisa, chiede che l’artista sia formato interiormente nella Chiesa (cfr. Ibidem, p 127-131). La libertà dell’arte non significa arbitrio. Senza fede non c’è arte adatta per la liturgia, ma un conoscere Cristo “secondo la carne”.
Lo Spazio Sacro
- Centro della chiesa è Colui che in essa dimora. Sarebbe opportuno quindi reintrodurre l’orientamento a Cristo, e rendere fulcro dello Spazio Sacro il Tabernacolo e la Presenza Reale del Signore.
- Per reintrodurre la definizione di “spazio sacro” nel concetto di “templum” bisogna ribadire i suoi fondamenti costitutivi. La sacralità dell’edificio chiesastico è un dato di fatto dopo la sua consacrazione, atto che taglia una porzione di spazio agli usi profani e lo dedica, lo consacra, al culto di Dio. Per questa procedura le chiese possono bene essere dette anche templi, come manifesta l’etimologia della parola tempio dal greco τέμνω. Uno dei requisiti fondamentali dunque per esprimere la sacralità di uno spazio è proprio l’espressione della sua alterità rispetto al circostante. La tradizione architettonica ci ha trasmesso l’uso della monumentalizzazione dell’ingresso che sottolinea l’importanza del varco della soglia ed il suo carattere di spazio di transito tra due dimensioni diverse, e così anche l’interno delle chiese è stato caratterizzato da numerosi recinti a proteggere le aree di stretto uso sacerdotale da quelle laicali, e a sua volta quelle dedicate ai sacramenti da tutte le altre.
- Altro accorgimento importante che ritroviamo nell’architettura ecclesiastica occidentale fino a tempi recenti è la simmetria. La Chiesa corpo di Cristo prendeva corpo nella chiesa edificio e come un uomo si dedica a Cristo dal suo battesimo così per lo spazio si faceva altrettanto. Nella sua comparazione al corpo battezzato dunque, era inevitabile che nell’edificio consacrato si facesse allusione al corpo umano, massima creazione divina. Oltre alla pianta in forma di croce, molto spesso usata per le medesime ragioni, un elemento di somiglianza più generico ma più sostanziale è la simmetria, criterio di composizione che inoltre informa una tanto grande parte della creazione.
- Un terzo criterio utile alla definizione dello spazio sacro cristiano è la gerarchia degli spazi. Si intende qui una gerarchia nella disposizione spaziale delle diverse parti che compongono il luogo di culto, sia gerarchia della decorazione delle stesse. Quanto alla prima è opportuno che gli spazi dove si compiono le azioni liturgiche siano posizionati su un piano più elevato degli altri, elevazione che esprime l’importanza delle azioni da compiersi, che diventa simbolo del cammino di elevazione dell’uomo verso Dio, che avvicina al cielo, luogo simbolico della presenza divina, che infine aiuta la visibilità. Quanto alla seconda è opportuno altresì che la decorazione operi una gradazione dagli spazi meno sacri a quelli più sacri, gradazione per materiali, colori, soggetti.
- Sarebbe opportuno ripensare i cosiddetti adeguamenti delle chiese precedenti al Vaticano II, che hanno causato spesso la distruzione del patrimonio artistico con lo smantellamento iconoclasta di altari, balaustre e tabernacoli.
- Il recupero del canto gregoriano, della buona polifonia e musica organistica, antiche, moderne e contemporanee, servirebbe certamente a recuperare dei “vocaboli” liturgici che la Tradizione artistica e musicale cattolica ci ha offerto per secoli, ridonando una dimensione profondamente spirituale anche allo spazio sacro all’interno del quale la liturgia stessa si sviluppa.
- L’unità, la verità, la bontà e la bellezza concorrono in modo determinante alla chiarezza e alla pienezza del sacro e della liturgia – fatta di persone, cose e azioni – ne costituiscono in certo senso lo statuto fondamentale, la natura stessa della res sacra e ad un tempo della relazione con essa del fedele. La res sacra ha una dimensione giuridica, cioè è anche iusta per la sua natura cultuale e la sua essenza pubblica: perciò fare rito, arte e musica secondo tale dimensione “quadriforme”, è cosa buona e giusta.
- La formazione deve riguardare anche la committenza ove vige una confusione generale in ambito artistico. Per giudicare come valida un’opera d’arte sacra è necessaria una commissione di esperti. Inoltre si dovrebbero proporre Concorsi d’Arte sacra per consentire anche a sconosciuti artisti di esser scoperti e valutati. E’ importante che ci siano scuole o facoltà di architettura, che includano quanto fin qui descritto. Secondo una tradizione che si è vivamente conservata nella Chiesa orientale ed è definita “naodomia”, sarebbe altresì opportuno che la Chiesa Cattolica ripensasse le norme per la costruzione degli edifici sacri.