Il Pensiero Cattolico

2 Aprile 2025

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Pietro De Marco

Sul paradosso di un’Europa da 'fare'

Non è necessario essere anti-UE per denunciare il modello illuministico-libertario ecc. che si vuole imporre come sistema di principi-valori della “nuova Europa”. L’Europa-civiltà esiste, è ultra-millenaria, e comporre una nuova unità europea non significa negare l’Europa; il Parlamento in particolare e le Corti europee hanno invece lavorato in questa direzione ideologica (inevitabilmente anti-Cristianità) più facile, mentre l’unità politica e economica sono difficili.

Premessa

Prendo come avvio alcuni passi del complesso saggio Necessità dell’Europa del venerato amico don Enio Innocenti. “Ai popoli d’Europa basterà vivere insieme per […] offrire subito, senza a-spettare generazioni di barbarie, una piattaforma omogenea perché il mondo disponga immediatamente dell’esempio di un umanesimo in grado quanto meno di ispirare il nuovo umanesimo della civilizzazione planeta-ria”. “[Ma] la validità di una cultura mondiale non sarà riconoscibile in una società [quella planetaria] frantumata da tanti particolarismi ritardatari. Occorre una società europea perché [una cultura] sia valida per l’utilizzazione mondiale, occorre la società della cultura europea”. Inoltre: “il concetto d’Europa non contrasta, come potrebbe apparire, col concetto di nazione, anzi lo esalta nella connessione con nazioni che la riconoscono nella propria identità. […] Le difficoltà dei singoli e dei popoli possono es-sere analizzate, interpretate e risolte solo da un’autorità soprannazionale forte, competente e adeguata alle giuste tendenze dei tempi” (pp.12-13). “Sulla voglia di assumere [nuovamente] un ruolo guida e decidere in ma-niera determinante devono prevalere l’esperienza, la ragione e soprattutto la coscienza delle necessità attuali”. La storia dell’occidente ebraico-cristiano nei suoi sviluppi moderni è in effetti piena di fallimenti ed errori. “Sotto i nostri occhi, anzi, c’è l’evidente monito del nostro [di italiani] stes-so scacco: nell’Europa rivoluzionaria, tendenzialmente apostatica, dell’Ottocento il popolo italiano aveva la missione di far valere per gli altri fraterni popoli europei il suo vantato patrimonio di fede cristiana […]; ma l’aver voluto acriticamente “fare gli italiani” dal 1859 in poi, [degli “italia-ni”] dimentichi della loro storia di promozione evangelica nel mondo, dove li ha oggi condotti se non ad una crescente insignificanza […] ?”. (p.14)
E, su altra scala,
La Terza Roma [cioè la Russia post-sovietica], ha dovuto allearsi [fallita negli anni la saldatura tra Europa e Russia post-sovietica] con la Cina, che è oramai alla guida della solidarietà asiatica. Da qui una possibile deriva eurasiatica […] potrà essere moderata soltanto da una nuova Europa che ritrovi le sue radici cristiane e le ripresenti attrattivamente all’Asia, comin-ciando dalla Cina” (p.127).
Sollecitato da queste e altre considerazioni, propongo a conferma o, talora, a mo’ di contrappunto delle idee di don Enio, alcune mie ipotesi. Prendo come base anche pagine scritte tra 2004 e 2008, per le quali si possono scorrere i Riferimenti bibliografici, cui aggiungo riflessioni più recenti, i-nedite, che però don Enio conosce.

I. Comunità europea e/o Europa?

1. La frattura

Questa diagnosi e la relativa prognosi non vogliono essere una depreca-zione anti-UE e più in generale antimoderna. Processi e specialmente pro-getti, e i loro referenti ideologici, possono essere non solo deprecati ma contrastati e, se per necessità accolti, corretti. Certo, nelle stesse culture intellettuali neo-umanistiche, come nei grandi realisti del secondo dopo-guerra (anni Quaranta-Cinquanta), l’immagine tragica dell’Europa, ancora visibile, non supponeva rinascite o riscatti da affidare ad ingegneri sociali o politici, tantomeno a culture secolarizzanti e individualistiche, anticristia-ne.
In una lettura degli anni della discussione sulla Carta costituzionale euro-pea (2004-2005) trovai il quadro sintomatico delle posizioni, moderate peraltro, della cultura giuridica ancora oggi prevalente. Si diceva:“La Co-munità europea, ponendo la persona umana al centro dell’attività dell’Unione, non potrebbe non essere apprezzata dai cives fideles d’orientamento cristiano”. Parisi citava un intervento su Repubblica 1/7/2004 (Manzella): “In tal modo [con l’evocazione della Persona] l’Europa è fedele alle sue radici più che con l’ostentazione di una storica potenza [!]. Il mito di un’Europa sradicata è un falso mito che può far dan-ni solo a chi lo propala; perché spargere dubbi sull’essenza spirituale [!] dell’UE , questo sí, tagliare il ramo su cui si è seduti”. Dunque per restare sul nuovo e unico ramo, ovvero la Kultur comunitaria in formazione, le Chiese debbono accettare come buoni i surrogati del cristianesimo ch’essa propone come canone spirituale. Lealmente, in sede intellettuale, Parisi chiariva invece che la nuova e unica fondazione spirituale dell’Europa co-munitaria è l’orizzonte assiologico democratico, solo criterio di valore e ga-ranzia per l’Europa (futura), la UE: “Una formale valorizzazione [delle ra-dici cristiane] nel documento giuridico di base del nuovo edificio politico-istituzionale europeo avrebbe determinato il superamento del sottile con-fine che separa la sfera politica da quella religiosa. […] Infatti, contraria-mente all’Europa realtà storica e culturale, la CostEur non ha […] radici religiose di alcun tipo, proponendosi come uno spazio neutro” (Parisi 2005, 21).


Questo testo ci serva da paradigma della coiné dottrinale e di un atteggia-mento dominanti nelle culture di governo della CE. Si dovrebbe obiettare almeno che ciò che viene indicato dalla metafora ‘radici cristiane’ è molto di più di una ‘radice religiosa’ in senso corrente, privatistico-spirituale o al massimo confessionale. In sé le radici di civiltà, poste in una grande reli-gione, sono inclusive di ‘sfera politica’ e di ‘sfera religiosa’, e nel Cristiane-simo questo implica la loro autonomia reciproca entro una gerarchizzazio-ne ultima. Queste ‘sfere’, abbiano o meno i chiari profili di una giurisdi-zione ecclesiastica e una giurisdizione laica comunicanti, rappresentano sempre, nella forma di tutte le civiltà mondiali, un continuum, e una ne-cessaria unità (non una ‘confusione’) entro cui delle ‘sfere’ sono distingui-bili analiticamente. Ne è esclusa solo la stagione ideologica e istituzionale dell’Occidente contemporaneo.

Sennonché, in una prospettiva storico-civilizzazionale, ad essere incongrua è proprio la distinzione occidentale-moderna delle sfere e, in parti-colare, la delineazione separatistica del loro confine, la loro postulata di-scontinuità sostanziale e la conseguente neutralità del politico. Incongrua e arbitrariamente ‘innovativa’ (infatti rivoluzionaria) rispetto alla totalità storica. Illuministica, dunque, in senso stretto o ‘radicale’. Ma concepita senza le sue ‘radici cristiane’ la stessa unità originaria e costante della sto-ria europea, per cui parliamo ancora oggi di Europa, non può esistere. Vi-ceversa, in quanto essa esiste ed è concepibile, esistono anch’esse.

Dunque, se oggi si vuole agnosticamente prescindere da ogni ‘radice reli-giosa [necessariamente cristiana per gli europei]’, col perseguire una fon-dazione ‘illuministico radicale’ della CostEur e assumere quell’illuminismo come costituzione ‘materiale’ non scritta, dovrebbe essere chiaro che si progetta un’impossibile Europa, un golem, un artefatto politico tra neo-hobbesiano e neo-libertino. Altro che ‘essenza spirituale’ !

È vero che nella mente di giuristi e politologi vi è ormai un modello o una costellazione di modelli di stato-ordinamento leggero, di un connettivo regolatore, ove i cittadini non sono solo destinatari di output dal legislato-re e/o dal governo ma di una imput-output agency che ne farebbe dei co-attori della regolazione stessa, dei co-rulers. Ma l’illuminismo radicale, che è il vero Costituente (implementato anzi giustiziato dalle diverse magi-strature e corti), non lascia molti spazi oggi come alle sue origini ad un co-ruling che non ne accetti né premesse né implicazioni. Bastino le stru-mentali imputazioni di ‘discriminazione’ che incombono sul magistero mil-lenario delle grandi Tradizioni religiose; Tradizioni che, esse e non le Carte costituzionali moderne, hanno costruito e tenuto vive civiltà altrettanto millenarie.

Si deve avere chiara, prima di ogni discussione, la non coincidenza né formale né sostanziale, la non sovrapponibilità, dell’Europa-civiltà con l’Unione Europea, nonostante l’opposto uso indiscriminato, intenzional-mente ‘promozionale’, del termine ‘Europa’. Anche la letteratura scientifi-ca, giuridica in particolare, e ‘politica’ sull’Europa contemporanea è con-cettualmente compromessa dal porre, più o meno ad arte, l’equivalenza tra queste diverse estensioni del termine Europa.

Al contrario: l’Europa esiste già, da almeno due millenni e mezzo, diciamo dalla svolta assiale dei secoli centrali del primo millennio avanti Cristo. O, se si chiede una maggiore conformità spaziale all’Europa contemporanea, esiste su quelle premesse assiali a partire dalla configurazione dell’Impero romano-cristiano tardo antico (De Marco 2007). Per parte sua la Comunità Europea esiste come organizzazione, e vuole esistere come nuovo plesso politico e culturale, da pochi decenni. Inoltre, per ciò che ne esiste e per ciò che ne è ancora in fieri (anzi condendum) la Comunità non è, né potrebbe essere tout court la nuova storia dell’Europa, poiché essa è processo e no-vità entro la storia attuale dell’Europa pre-esistente, è solo una sua parte o momento. Mentre anche ciò che la CE non è, esiste già come Europa. L’Europa-civiltà è il ‘morto’ rispetto al ‘vivo’? Ricordo che il ricorso alla di-stinzione tentante tra “ciò che è vivo” e “ciò che è morto” in un processo storico è sempre una strategia retorica.

Insomma, l’Europa comunitaria, dall’integrazione economica a quella giu-ridico-politica e istituzionale in fieri, appare -rispetto all’Europa millenaria sussistente- quasi una variabile indipendente, messa in gioco dal progetto tanto ambizioso e persino ammirevole nei fondatori, quanto ‘aggiunto’ ad altra realtà. È possibile che tale momentum democratico-secolaristico, or-mai postmoderno, prevalga. Ma la stessa costruzione della nuova citizen-ship europea, un sottile esercizio giuridico-politico che oggi cerca la pro-pria strada tra identità, patria, rappresentanza e obiettivi meta-europei di government (Cotta-Isernia 2005), non potrà arricchirsi di nessun signifi-cato di civiltà. Se si prescinde dal nucleo economico e dalle condivise (di malavoglia) impalcature di governo, è difficile che i popoli apprezzino il magma culturale né cristiano-cattolico né, poniamo, liberale-protestante, ma democratico-secolaristico post-moderno che sta emergendo. Al secola-rismo ci si può opporre, spes contra spem, con relativo successo.

La CE è destinata a restare un sottoinsieme funzionale dell’Europa-civiltà e del sistema millenario Europa-Mediterraneo che la trascendono? In ef-fetti il nucleo della Unione, per quanto possa essere geograficamente este-so, costituisce un paradigma selettivo nella storia d’Europa analogamente, ma su più larga scala, ai processi selettivi indotti dallo stato-nazione, due secoli fa. La Arendt li chiamava suggestivamente ‘razzistici’, sia nel senso che ogni popolo come individuum cercava positivisticamente un supporto naturalistico, sia perché il corpo dei citoyens è quasi ‘razza’ scelta. In Fran-cia il mondo anti-repubblicano, cattolico-monarchico, diviene popolo paria (così ancora, aggiungo, Chiesa e cattolici nella Francia della Terza repub-blica), in paradossale analogia con l’appartenenza völkisch che nel germa-nesimo determina dei Volksfremden.

Era quella della Arendt una troppo personale lettura, difficile da accogliere nella discussione generale sulla nazione. Ma la costruzione di un’Europa comunitaria oltre le differenze rischia ogni arbitrio de-culturante (in vista dell’uomo europeo nuovo, il vero europeo) già tentato più volte, fino alle ‘rivoluzioni’ degli anni Venti-Trenta. E non cam-bia l’essenziale se oggi questo viene operato con una tattica tipica dei no-stri decenni, cioè inconfessata, debole, nihilistica.

L’Europa Comunitaria, dunque, non collima con l’Europa civiltà e storia, se non tendenzialmente, e nella mera sovrapposizione spaziale. Non si può fingere il contrario. Contro la speranza del grande europeismo del dopo-guerra.

2. Secolarizzazione come progetto europeo

L’origine dell’evidente, magari parziale, dissociazione tra Europa generale e il nucleo ‘innovativo’ costituito dalla UE è da cercare, almeno per como-dità periodizzante, già nella frattura rivoluzionaria (Rivoluzione francese) e nelle reazioni ‘nazionali’ al suo perfezionamento imperiale (napoleoni-co)…[]

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