Il Pensiero Cattolico

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Mario Mascia

Accidia: dramma, sacrificio e liberazione

Dal convegno tenutosi il 3 gennaio 2025 dal titolo “La noia nel cattolicesimo nemico tramite e risorsa” presso l’Aula Magna Unikoine ad Oristano

L’operare distaccato e privo di profonde motivazioni, assimilato dall’individuo, può rivelarsi nel tempo mezzo di disincanto e disistima di sé determinando una dicotomia tra i propri talenti, inclinazioni e il frutto dell’attività svolta, che non è propriamente emanazione del proprio essere. Un riprovevole ripiegamento su sé stesso può dare adito alla fuga dalla realtà frustrante e ad un disimpegno da ogni attività origine di responsabilità. Sfuggire da circostante spiacevoli in situazioni senza certezze può determinare la noia, disposizione da cui promana insoddisfazione e abulia che proviene dall’inattività o dal ripetere azioni monotone e inutili.

Una causa emblematica fra tante e mortificanti a cui non sempre è possibile dare risposte salutari e convenienti può configurare una resa ad un approccio risolutivo a fronte di un dilemma al punto da configurare un vuoto motivazionale nelle iniziative progettuali. Lo stato d’animo risulta compromesso verso un progressivo indebolimento della volontà di intraprendere qualsiasi iniziativa. Qualunque inibizione dell’attività psichica e cognitiva può degenerare nell’abulia che giungerebbe in difesa la noia. Un modus vivendi dell’essere caratterizzato da un indifferentismo asettico, inteso in senso figurato, come incapace di suscitare o di subire emozioni, in una posizione di “spettatore neutro” nello scorrere degli avvenimenti di un mondo lontano ed estraneo dagli orizzonti del vivere presente può tradursi in un appiattimento arido in cui è smarrito il senso naturale del vivere.
La noia può essere considerata la corrispondente (dell’acedia) dell’accidia che fin dal medioevo, era un peccato capitale che commettevano coloro, dediti alla vita contemplativa, finivano per cedere nell’inerzia non compiendo il male ma neanche il bene. In senso stretto l’accidia è il peccato capitale meno riconosciuto in quanto così diffuso che si considera normale e perfino accettabile come l’indifferenza.
Il male dell’anima designa la mancanza di interesse verso ogni iniziativa determinando l’abbattimento, la malinconia ed una mancanza di gusto della vita. Nel Rinascimento il sentimento della noia si eleverà per gli spiriti tormentati dei geni e degli artisti, in quello della malinconia, alla quale la cultura occidentale, specie nel Romanticismo, assegnerà il valore di ripiegamento meditativo dell’animo su sé stesso.

Aridità dello spirito

L’accidia risuona nella dottrina cattolica come avversione all’operare fino allo smarrimento delle fede. Il male dell’anima designa una chiusura alla speranza negli episodi della prova che inducono a configurare nell’animo un dissiparsi dell’intento a ricomporre i frantumi dei disegni progettuali attesi ma infranti in una sconfitta. L’accidia rivela la debolezza dell’anima nell’assenza di attrazione, di desiderio della vita svuotata di senso. Alcuni passi biblici ben descrivono lo stato d’animo accidioso:
Presi in odio la vita, perché mi era insopportabile quello che si fa sotto il sole. Tutto, infatti, è vanità e un correre dietro al vento. (Qo 2,17) Una tristezza straziante e diffusa nei confronti della pesantezza del vivere viene espressa in modo lucido ed eclatante dal libro di Giobbe o dal profeta Geremia. In estrema sintesi la filosofia dell’accidioso è espressa nelle famose parole di Qoelet (l’ecclesiaste) quando dice; Vacuità delle vacuità, tutto è vacuità, e quindi sorge il dubbio a che vale impegnarsi?
L’accidioso nella sua ostilità al cambiamento è la rappresentazione della ineluttabilità della morte. I rimedi terapeutici possono essere utili per l’identificazione dei valori per cui vivere e quelli che lo fanno confrontare appunto con la brevità dell’esistenza e l’eternità del nulla. Nella condizione del letto di morte pochi o assenti saranno i rimorsi, e non riusciranno a farsi largo tra la folla dei rimpianti che lo accompagneranno alla tomba sulla cui lapide saranno scritte le due date senza nulla in mezzo. Il male dell’anima è stato oggetto di attenzione da diversi autori come Francesco, Petrarca e Giovanni Cucci.
“Una malattia dell’animo” è un testo ricavato dal “Secretum” scritto da Petrarca per esprimere il dissidio interiore delle due parti della sua anima in conflitto, una parte svolta da Sant’Agostino l’altra da Francesco in un lungo dialogo. Queste parti rappresentano gli ideali di purezza cristiana, il desiderio di gloria, passione, ambizione e amore terreno.
Per esprimere i suoi sentimenti Petrarca usa un linguaggio da guerriero: si sente attaccato come un soldato in battaglia e rivolto a comprendere i motivi che lo hanno portato in battaglia contro l’accidia mediante il dialogo col suo interlocutore. Sant’Agostino, esempio di virtù morale e spirituale, raffigura l’ancora di salvezza in grado di aiutare a vincere.
Petrarca espone le sue idee in modo impetuoso e avvincente, contrariamente alle risposte di sant’Agostino che espone un’analisi razionale. “Come notte d’inferno e acerbissima morte” l’accidia combatte contro l’autore con il suo esercito, mentre cerca di difendersi, ma “il trascorrere dei beni temporali”, “i dolori fisici” e “qualche offesa della troppa avversa fortuna” lo colpiscono con violenza. La consapevolezza del male che lo affligge e lo distingue dagli altri peccati, in cui la discontinuità e l’alternanza lo inebriano con il loro retrogusto, contrariamente alla negativa costanza dell’accidia, non permette di intravedere nessuno spiraglio. Contrariamente dal Petrarca, che parla del vizio capitale come di un sentimento intimo, Cucci nel suo tema, definisce l’accidia un male narcisista di cui soffre la società. Lo stile che utilizza Cucci è diretto e semplice nel riconoscere l’accidia e la depressione l’esito di una mentalità egocentrica e narcisistica formando la persona al centro della realtà. La tesi è suffragata da diversi studi psicologici che rilevano come la depressione e la tristezza si stanno diffondendo in maniera esponenziale nella società occidentale.
La diffusione delle applicazioni tecnologiche non è in grado di compensare la vacuità della vita interiore secondo Cucci, in quanto la tecnologia e l’abbondanza dei beni materiali non potranno garantire la realizzazione di una vita felice. Nella società, di cui siamo partecipi, molte persone soffrono di accidia, senza speranza e capacità di attenzione, la cui distrazione prevarica sulla dedizione alle attività di solidarietà umana o di carattere educativo, per cui la consuetudine consiste nel “lasciar fare” nell’ abbozzare senza mettere in discussione la propria condotta o edificarsi attraverso un percorso introspettivo sul proprio comportamento, proponendo un modello di virtù morali e spirituali.
La diffusione dell’accidia secondo Cucci è dovuta all’amore smodato per sé stessi che porta gli individui a stare prigionieri del proprio io, senza l’intento del miglioramento. Cucci descrive il male come una “morte lenta”, definendola come abitudine, rassegnazione e arrendevolezza di fronte alle difficoltà.
Intanto in Petrarca è presente la volontà di liberarsi dalla dicotomia che alberga in lui; dalle sue opere risulta che sia solo, narciso, in balia dei suoi mali, ma tuttavia disposto a lottare. L’accidia è comunemente adombrata da un falso riconoscimento e difficilmente concepibile come un male che può imperversare nella quotidianità in presenza di afflizioni, inquietudini e affanni; pertanto, è plausibile ricorrere ad un paradigma per cogliere spunti e riflessioni verso criteri di giudizio chiarificatori. La risposta che può ispirare la coscienza può trovarsi nelle opere di misericordia che possono giovare l’indulgenza giubilare.

LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE

1 – Consigliare i dubbiosi
2 – Insegnare agli ignoranti
3 – Ammonire i peccatori
4 – Consolare gli afflitti
5 – Perdonare le offese
6 – Sopportare pazientemente le persone moleste
7 – Pregare Dio per i vivi e per i morti

LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA CORPORALE

1 – Dar da mangiare agli affamati
2 – Dar da bere agli assetati
3 – Vestire gli ignudi
4 – Alloggiare i pellegrini
5 – Visitare gli infermi
6 – Visitare i carcerati
7 – Seppellire i morti


Liberazione

Il passo risolutivo del vizio capitale viene ricavato da un brano della pubblicazione “Amici domenicani” del 25 aprile 2020, esposto dal reverendo Padre Angelo Bellon in riposta ad un lettore.
Risposta del sacerdote:

1. Comunemente per accidia s’intende la pigrizia. Bisogna precisare però che si tratta di una particolare pigrizia, quella che si prova nell’amare Dio, nelle cose spirituali. Questa precisazione è importante perché vi possono essere persone attivissime, ma che sono colpite dall’accidia, perché nella vita spirituale sono del tutto prive di fervore e di impegno.

2. Il principale rimedio per combattere l’accidia, che secondo san Tommaso consiste in un vizio contrario alla virtù teologale della carità, consiste in un amore per il Signore più forte e più intenso. E poiché questo amore non dipende esclusivamente da noi perché è di ordine soprannaturale, è necessario domandarlo a Dio. Gesù ha detto: “nessuno viene a me se il Padre non lo attira” (Gv 6,44). Allora bisognerà chiedere insistentemente al Signore la grazia di poterlo amare sempre di più. A tal punto è necessario evocare la bella giaculatoria, che riprende le ultime parole dell’atto di carità: “Signore, fa’ che ti ami sempre più”. Dicono che Giovanni Paolo I la ripetesse frequentemente nei vari andirivieni della giornata.

3. È un’invocazione bella ed efficace. I teologi ci ricordano che, se noi siamo in grazia di Dio e chiediamo a Dio dei beni di ordine soprannaturale, meritiamo quanto chiediamo quasi per giustizia. Il che significa che Dio ce li deve dare. Il motivo non è difficile da comprendere: Dio era libero di adottarci come suoi figli, e cioè di dare a noi tutto quello che ab aeterno (“dall’eternità”) ha dato a suo Figlio Unigenito. Ma dal momento che ha voluto questo, si è in qualche modo obbligato nei nostri confronti. È più o meno quello che capita a due sposi che decidono di adottare un figlio. Sono liberi di farlo. Ma dal momento che lo fanno, si obbligano nei confronti del figlio adottivo e si impegnano a dargli tutto quello che danno ai figli di sangue.

4. A questo punto si rende necessaria una prontezza da parte nostra ad accogliere questo suo dono, che in genere si manifesta con un’ispirazione all’impegno. Questa inspirazione è una grazia. Se la riceverai con fedeltà e con prontezza ti accorgerai ben presto che ad essa ne seguono subito molte altre. La tua vita allora conoscerà una freschezza simile a quella della primavera.

5. In particolare, al dire di san Tommaso, la molla della devozione, e cioè del trasporto e della fedeltà verso il Signore, consiste nella mortificazione, vale a dire nella capacità di fare il bene anche quando ci costa e nel privarci di qualcosa per amore Suo. Si direbbe che, quando Dio vede che lo vogliamo amare con i fatti e che siamo capaci di dimenticarci di noi stessi, subito, come in una gara di generosità, accende in noi in maniera più forte l’amore e la dedizione per Lui.

6. Per vincere l’accidia ci si può autodeterminare, oltre che nel compimento esatto del nostro dovere quotidiano, anche in quello di qualche altra pratica non richiesta. Potrebbe essere un servizio costante fatto per amore di Dio in casa o fuori casa, oppure anche una particolare pratica di pietà, come ad esempio il Rosario tutti i giorni.

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