Il Pensiero Cattolico

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Chiara Troccoli Previati

L’Arte sacra in Occidente non è morta

La personale di G. Gasparro al Museo Diocesano di Molfetta

Alla presenza di Vittorio Sgarbi e con la presentazione di Clara Gelao, già direttrice della Pinacoteca provinciale di Bari, il 1° settembre scorso si è inaugurata la prima personale in Puglia, del pittore Giovanni Gasparro di Adelfia.

Specializzato nei soggetti di tema religioso cristiano, l’artista si afferma, direi con prepotenza, con la sua proposta personalissima di un realismo toccante che rivela una solida formazione professionale e doti pittoriche non comuni. È stato definito da Sgarbi – il Caravaggio del nostro tempo – e proprio su questo voglio riflettere alla luce della visione della mostra.
Caravaggio, edotto sui contenuti teologici delle Verità cristiane dal Cardinale del Monte, presso il quale dimorava, dava la sua personale interpretazione delle storie sacre, inaugurando un nuovo modo di aderire ai dettami della Controriforma cattolica, molto distante da quello più allineato di molti suoi contemporanei, Annibale Carracci in primis. Ha voluto, col suo realismo, non solo estetico, attualizzare l’historia sacra, dimostrando come sia possibile rivivere gli episodi della vita di Cristo nel tempo presente, che significato la narrazione biblica potesse avere per l’uomo del suo tempo; uomini e donne che incontrava diventavano i soggetti di quella historia, ritratti sempre rigorosamente dal vero, così com’erano, (pensiamo alla Madonna fulva del Riposo durante la fuga in Egitto) per dire che Cristo ‘accade’ sempre, che l’incontro con Lui non ha tempo che scade, ma si rinnova in ogni uomo di ogni tempo. Questo messaggio non fu compreso dalla Chiesa controriformata, troppo preoccupata di nuove insinuazioni e derive luterane ed è ovvio quindi che respinse molte sue opere o lo obbligò a modificarle perché potessero essere inserite in una chiesa.
Gasparro parla di una ‘controrivoluzione’ che vuol operare all’ interno di un sistema ecclesiastico nel quale si è andati verso una progressiva spoliazione iconografica dell’ambiente chiesa ripiegando spesso verso l’arte orientale che offre una garanzia di fermezza tradizionale espressiva, seguendo da sempre gli stessi canoni.
Così l’arte sacra, cioè funzionale allo spazio liturgico, ma anche quella religiosa Cristiana narrativa, che un tempo, con Roma umbilicus della cristianità, riempiva in Occidente gli edifici sacri, per le sue capacità didascaliche, istruttive, il suo potere di dare alimento alla fede, ha avuto sempre meno spazio fino talvolta a scomparire. La relazione di committenza ecclesiastica con gli artisti, al di là di incontri ciclici promossi dai Papi, dopo Paolo VI, si è progressivamente depauperata.
E come opera Gasparro? Col linguaggio del realismo, che muove dall’umano, per condurti al mistero della Verità. Lo fa in modo provocatorio, nel senso che molto spesso davanti alle sue opere provi turbamento e ti poni delle domande ma l’inquietudine è da intendersi positivamente. Non mancano nelle sue proposte opere più ‘tradizionali’ e di immediata e semplice lettura ( il Buon Pastore, Maria Bambina, ad esempio) ma il più delle volte le sue proposte ti stupiscono e scuotono, ponendoti desiderio di conoscere. Sgarbi lo ha definito ‘realismo onirico’ il suo: non sono d’accordo. Il suo è un realismo immaginifico, volto a rifondare i valori cristiani, a mostrarceli come la sua immaginazione li vede incarnati nel personaggio ritratto per far sì che s’incontrino col nostro vedere e partecipare alla scena, proprio come a teatro e non ci lascino solo estasiati o, peggio, indifferenti. La sua tecnica sopraffina del realismo passa attraverso la carne, il sacrificio spesso, in modo mai banale, con la sua personalissima proposta ( penso al “Ecce ancilla Domini” ad esempio o a “ Corredenzione” ) attraverso la quale vuole catapultarti verso la Verità rivelata.
Proprio come faceva Caravaggio lui prende a modello persone reali, rivive la storia dei suoi soggetti e immagina concretamente come si sia svolta e poi ne esalta quei caratteri che per lui sono da sottolineare, interrogandosi lui per primo e mettendoli in dialogo col pubblico, sempre salvaguardando il mistero sacro che è insito nella scena. Quando Caravaggio dipinge la Vergine della sua originale Dormitio, prendendo, (si racconta) a modello una donna annegata nel Tevere, ci restituisce il suo ventre rigonfio così com’è nella realtà lasciandoci forse intendere che la Vergine Maria ha sempre Cristo dentro, è l’eterna Theotòkos, è gravida della Grazia divina ( Calvesi).
È sacrilego tutto questo? No. Lui immagina la scena nel momento in cui gli Apostoli piangono non potendo ancora sapere che troveranno il suo sepolcro vuoto perché lei non subirà come il Figlio la corruzione del corpo, le stanno intorno, pregano e la guardano in assoluto silenzio. Gasparro immagina in “Corredenzione” che, proprio per quel legame assoluto di unicità che lega Madre e Figlio sia Lui stesso in croce, corona di spine sul capo (corona irrisoria) che gli insanguina il viso, a trovare la forza di sollevare le braccia per incoronare Regina Lei che lo piange dall’alto. Anche nella tradizione Cristo incorona la Vergine Assunta in cielo, ma mai così come l’ha immaginata Gasparro.
E’ una sua personale interpretazione di Verità traboccante che ti conquista e ti fa riflettere e contemplare, ti fa avvicinare al divino, anche con strategie di ‘spiazzamento’ e di intelligente fantasia compositiva, attraverso lo stupore e il pathos delle espressioni dei suoi soggetti.
Il suo realismo arriva al sacro partendo dalla bellezza della carne, una bellezza mai fine a se stessa perché è bellezza nel senso più profondo del termine, un percorso dal visibile all’ invisibile, dall’umano al divino, dalla materia al trascendente.
Sua impronta che lo caratterizza sono le mani, spesso reiterate in pose differenti, autonome dai corpi, che affastellano un soggetto ritratto. Lungi dal pensare banalmente che si tratti di un ricordo dell’estetica futurista nella rappresentazione del movimento simultaneo, il nostro artista le introduce come emanazione astratta, eppur concreta, del soggetto cui afferiscono alludendo ad una pluralità di relazioni possibili col soggetto principale. Mi hanno ricordato (ma ogni opera è figlia del suo tempo) il “Cristo deriso” (1440 ca) di Beato Angelico nel Convento di San Marco a Firenze o La “Pietà” (1404) di Lorenzo Monaco alle Gallerie dell’Accademia, sempre a Firenze. Giovanni Gasparro innova, è un contemporaneo che guarda alla tradizione. In lui umanesimo e misticismo si offrono a noi e alla auspicabile committenza religiosa occidentale per proporsi come ‘Il nuovo Teatro del divino’ : questo il titolo della Mostra.

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