Gabriele Cianfrani:
La Chiesa “nasce” cattolica
Alcune precisazioni ecclesiologiche di Joseph Ratzinger
La questione sulla Chiesa torna sempre in maniera puntuale, soprattutto se si considera quella tendenza, oggi alquanto presente, di vedere il «pluralismo» dovunque.
Infatti, se dal punto di vista religioso avanza fortemente la posizione del pluralismo non solo de facto ma anche de iure, pare che questa posizione, in maniera più o meno silente, si rifletta anche nell’ambito ecclesiologico. Pertanto, non una moltitudine di chiese soltanto de facto, ma anche de iure. Quale sarebbe la differenza? L’espressione de facto riguarda la constatazione «di fatto» di una realtà che si presenta tale, ma che in principio non è stata stabilita come tale; l’espressione de iure riguarda ciò che «di diritto» è tale, per cui dal punto di vista governativo e, a questo punto, causale. Infatti, la vita umana in quanto tale merita rispetto (de iure), ma si constata che purtroppo, in alcuni casi, non è così (de facto). In tal caso occorre il percorso che parta dal de iure per giungere al de facto.[1] Semmai avvenisse il contrario, si potrebbe concludere che in quanto la vita umana non sempre viene rispettata, allora essa può non essere rispettata. Per evitare una simile conclusione, si cercherà di partire «dall’alto», non dal basso, soprattutto perché l’origine della Chiesa è divina, nonostante la sua natura teandrica. E dal punto di vista ecclesiologico sarà di enorme importanza la guida di Joseph Ratzinger, per capire se la Chiesa sia «cattolica» de iure o de facto, ossia se di per sé la Chiesa sia cattolica perché tale è la sua origine da Dio o se lo sia diventata.
Nonostante vi siano tanti testi di Ratzinger in cui si riscontra la sua posizione ecclesiologica, in questa sede se ne prederanno alcuni.
Anzitutto occorre affermare l’origine trinitaria della Chiesa e la sua inscindibilità da Cristo, quindi dal regno di Dio. Inoltre, dal momento che si tratta di ἐκκλησία, si ritrovano già due elementi per la futura nozione di Chiesa:
«nel nuovo popolo di Dio, nel senso di Gesù, è insita la dinamica per cui tutti divengono una cosa sola, quell’andare gli uni verso gli altri andando verso Dio. E inoltre il punto di raccolta interiore del nuovo popolo è Cristo; esso, d’altro canto, diventa un popolo solo attraverso la chiamata di Cristo e attraverso la risposta alla chiamata, alla persona di Cristo».[2]
Ciò ruota attorno ad una nozione che, nella ecclesiologia di Ratzinger, è centrale: «corpo di Cristo». La nozione di corpo di Cristo è fondamentale non solo per l’unità della Chiesa, ma anche per la sua cattolicità[3], infatti:
«come l’antico Israele venerò allora nel tempio il suo centro e il pegno della sua unità, riproducendo vitalmente questa unità nella celebrazione della Pasqua, così questo nuovo convito dev’essere ora il legame di unità di un nuovo popolo di Dio. Non occorre più il centro locale di un unico tempio esterno, poiché il nuovo popolo di Dio ha trovato in questo nuovo convito un’unità interna molto più profonda: in questa cena è tra di loro l’unico e lo stesso Signore, ovunque essi siano; tutti godono dell’unico Signore, in cui essi così si confondono: il corpo del Signore, che è il centro della cena del Signore, è l’unico nuovo tempio, che lega i cristiani di tutti i luoghi e tempi in una unità molto più reale di quanto potesse ottenere il tempio di pietra. Con molta più efficacia e realtà si può quindi dire della nuova Pasqua ciò che si disse dell’antica: che non solo fu, ma è e rimane fonte e centro del popolo di Dio».[4]
Pertanto, oltre a riportare i passi che trattano della sostituzione del vecchio tempio con il nuovo, che è il corpo di Cristo (Mc 14,58 e Mt 26,61; Mc 15,29 e Mt 27,40; Gv 2,19; cf. Mc 11,15-19 par; Mt 12,6), Ratzinger riassume in tal modo:
«Gesù ha creato una ‘chiesa’, cioè una nuova, visibile comunità di salvezza. Egli la intende come un nuovo Israele, come un nuovo popolo di Dio, che ha il suo centro nella celebrazione della cena, da cui è sorto e in cui ha il suo permanente centro vitale. O, detto diversamente: il nuovo popolo di Dio è popolo in forza del corpo di Cristo».[5]
Da tutto ciò risulta chiaro che la Chiesa, in quanto «nuovo popolo di Dio» trova il suo fondamento e il suo nutrimento nel «corpo di Cristo». A questo punto Ratzinger coglie un dato alquanto importante, il quale poche volte viene ribadito, ossia che la Chiesa non è cattolica solo per una constatazione di fatto o per eventi storici, ma è nata cattolica perché stabilita così da Dio. Infatti, muovendosi a partire dalla Pentecoste (At 2,1-13), afferma che la Chiesa non nasce da decisione umana, ma è creazione dello Spirito Santo:
«alla Chiesa appartengono le molte lingue, cioè le molte culture che nella fede si comprendono e si fecondano a vicenda. In questo senso possiamo dire che qui si delinea il progetto di una Chiesa che vive in molte e multiformi Chiese particolari, ma proprio così è l’unica Chiesa. Nello stesso tempo con questa raffigurazione Luca vuole affermare che nel momento della sua nascita la Chiesa era già cattolica, era già Chiesa universale. Sulla base di Luca è dunque da escludere la concezione secondo la quale per prima sarebbe sorta in Gerusalemme una Chiesa particolare, a partire dalla quale si sarebbero formate via via altre Chiese particolari, che in seguito se sarebbero gradatamente associate. È avvenuto al contrario, ci dice Luca: per prima è esistita l’unica Chiesa che parla in tutte le lingue – l’ecclesia universalis, la quale genera poi Chiese nei luoghi più diversi, che sono tutte e sempre attuazioni della sola e unica Chiesa. La priorità cronologica e ontologica appartiene alla Chiesa universale; una Chiesa che non fosse cattolica non sarebbe affatto Chiesa…».[6]
Sulla base di queste precisazioni ecclesiologiche di Joseph Ratzinger, le quali riprendono importanti passi della Scrittura, è possibile concludere che la Chiesa è cattolica per fondazione divina. In altre parole, la Chiesa è costitutivamente una, santa, cattolica, apostolica. Questa è quella parte d’identità della Chiesa che andrebbe ribadita, qualora si propendesse per il dialogo e il confronto esterno, altrimenti verrebbe meno quella missionarietà propria della Chiesa e la riduzione verso l’appiattimento totale, che non è affatto segno del dialogo ma sintomo patologico del ‘vogliamoci bene’ che conduce al nulla.