Ettore Gotti Tedeschi:
I DUBBI DUBITATI, MA NON OBLIATI
(riflessione rispettosa ma un po' burlona…)
Da povero economista, certo non teologo (anche se il mio approccio professionale è rigorosamente aristotelico ed ho appreso da San Tommaso d’Aquino e da Benedetto XVI che si devono conoscere le cause prima di risolvere gli effetti), leggendo i Dubia II e le autorevoli risposte agli stessi, mi son un poco preoccupato. Ma, sorpresa! mi son preoccupato per il mio lavoro più che di altro. Che senso devo infatti dare ora al mio lavoro?
Nel mio iphone non c’è una App di auto-discernimento delle mie azioni secondo circostanze e la coscienza può trarre in inganno, anche chi si occupa di economia …
Leggendo infatti le risposte ai Dubia e cercando anche io (come viene ivi suggerito) di contestualizzarle ed interpretarle, son arrivato a intendere che (le ho estese anche ai problemi economici) non ci sono norme morali assolute o atti intrinsecamente riprovevoli, dato che alla fin fine tutto può esser spiegato dalle circostanze e dalle intenzioni. Poi, eventuali eccezioni alle norme son legittimate dalla coscienza… La quale coscienza è scusata dal fatto che ci possono esser tentazioni superiori alle mie forze.
Ragazzi! questo è ciò che un uomo d’affari sogna di sentirsi dire….
Essendo io però solo un povero economista con limitata capacità logico filosofica, mi son subito chiesto che valore abbia quindi oggi la mia “volontà” nel formare la mia coscienza, nell’esercitare correttamente il mio Libero Arbitrio, nel cercare di dominare le circostanze e cercare di vincere le mie tentazioni con ogni mio sforzo. Grazie agli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, che feci per anni, ho cercato per il resto della mia vita di rafforzare proprio questa mia “volontà ”, ma ora mi chiedo:
ho forse perso tempo?
Avendo anche leggicchiato un po’ di storia economica, mi son sovvenuto di Jeremy Bentham (1748-1832) filosofo ed economista inglese (discepolo di Locke e Hobbes), esponente più noto dell’Utilitarismo, dottrina (necessaria alla successiva Rivoluzione Industriale) che spiegava che nel valutare i comportamenti umani, il principio morale da utilizzare è la “utilità”. Pertanto una azione è lecita o no in funzione di quanto è utile. Il buono diventa ciò che è utile. Lo vuole il mercato. Dal punto di vista comportamentale, in pratica, questa dottrina utilitaristica spiega che non si deve metter limiti al contributo che ognuno può dare ed è pertanto necessario ridimensionare gli obblighi morali ed adattarli alle circostanze, relativizzando l’apprezzamento morale.
Tale dottrina implica anche la inaccettabilità di valutazioni negative su comportamenti o fatti, che, soprattutto la autorità morale considerava intrinsecamente cattive, perché potevano invece esser utili…
Ne consegue l’errore di imporre norme morali irrealizzabili perché avrebbe comportato spreco di risorse. Etico è fare ciò che è utile, più che ciò che si ritenga essere buono. Il bene deve anche essere utile. Nel dialogo soprattutto, è utilissimo farlo credere.
Non voglio annoiare santi e teologi con divagazioni che verranno considerate forzate e inappropriate, ma ho qualche dubbio di esser in grado di capire che la Rivelazione divina cui ho cercato (con grande sforzo e certo risultati modesti) di orientare il mio comportamento, possa essere “reinterpretata” grazie al cambiamento climatico che provoca necessari cambiamenti culturali, sociali, economici, morali.
Avrei semmai immaginato il contrario: confermare la Rivelazione, anziché reinterpretarla. Ma testone come sono, fatico a capire che, conseguentemente ai grandi cambiamenti culturali, si debbano anche accettare come buoni, comportamenti che prima erano scoraggiati (forse troppo poco persino…, visto il risultato), oppure che vanno apprezzate azioni, con uno sforzo impensabile da fare, di discernimento.
Ma chi sa farlo questo discernimento contestualizzato?
Ma infine, pensando da economista moraleggiante, trovo complesso capire che se qualcuno sbaglia e provoca danni (economici), pur di non fargli venire scrupoli o colpevolizzarlo, devo (quasi fossi un confessore) “assolverlo” per non essere io crudele nei suoi confronti. Ma vorrei anche umilmente raccomandare a chi si occupa di Dubia, di riflettere che se “bene e male” si confondono, e solo ciò che sembra utile è anche bene e buono, si rischia di scoprire, troppo tardi, che fare il male-utile (tutto da discernere naturalmente…) rende economicamente più che fare il bene. E scoprendo ciò il rischio è che ci si domandi perché mai si dovrebbe fare il bene (se in più la Rivelazione è in evoluzione e magari domani si scopre che premio o castigo, non ci sono).
Mi è venuto questo dubbio. Perciò rivendico la facoltà di “obiezione di coscienza” morale per gli economisti.
O sbaglio?