Il Pensiero Cattolico

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Eleonora Casulli

LA DONNA NEL GIUDEO-CRISTIANESIMO E NELLA CHIESA CATTOLICA

MAI COSTOLA FU PEGGIO FRAINTESA

Proseguendo nel percorso che ci sta portando a riscoprire, basandoci sulle Sacre Scritture, la visione del giudeo-cristianesimo relativamente al mondo femminile in se stesso e in relazione col maschile, mi si conceda l’ironia sottesa nel titolo del presente articolo. La questione è certamente seria e importante, ma la quantità e la pertinacia dei travisamenti a cui è andato incontro il testo di Genesi 2, 21-23 nel corso del tempo mi spinge a cercare di sdrammatizzare.

Il testo recita:

“Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse:
«Questa volta essa
è carne dalla mia carne
e osso dalle mie ossa.
La si chiamerà donna
perché dall’uomo è stata tolta».”


Il torpore segue all’insoddisfazione che l’uomo trova nella compagnia delle altre creature, in particolare degli animali, che non gli consentono di uscire dalla solitudine esistenziale nella quale si trova (vedere il precedente articolo). Tale torpore indica, nella Bibbia, l’imminenza di un importante intervento della Grazia di Dio: si vuole sottolineare la passività dell’uomo rispetto a ciò che sta per accadere e, quindi, che la donna è il risultato di un’azione di Grazia, è opera dello Spirito Santo, è voluta da Dio per il bene delle sue creature. Basterebbe soltanto questo passaggio, in verità, a mostrare l’enorme distanza fra questa visione e quelle dei miti pagani e del mondo pre-cristiano: si pensi al mito greco del vaso di Pandora1, nel quale la prima donna mortale viene portata sulla Terra da Zeus per vendetta, al fine di danneggiare gli uomini, creata apposta per la perdizione del genere umano; ella, infatti, arrivata sulla Terra, apre il vaso che Zeus le ha detto di non aprire e da esso scaturiscono e si diffondono tutti i mali che affliggono l’umanità, compresa la mortalità. Sebbene si possano rintracciare analogie fra tale mito e il racconto della Genesi sul peccato originale, è evidente la novità del giudeo-cristianesimo: la donna della Genesi è creatura amata e voluta dal Creatore al pari dell’uomo, orientata al bene in quanto creatura di un Dio che è assoluta bontà ed è guidato dall’amore incondizionato verso l’umanità (a differenza delle divinità pagane). Inoltre appare chiaro come l’uomo, non vedendo Dio che opera la creazione della donna, non possa considerarla una creatura fatta su misura dei propri desideri: ella è e resterà sempre per lui un mistero e solo in Dio, Creatore di entrambi, i due saranno in grado di incontrarsi e conoscersi nel profondo del loro essere.2
Mentre l’uomo è assopito, Dio stacca una sua costola e con essa plasma la donna. Per secoli questa frase ha fatto della donna un sottoprodotto dell’umanità, un’eterna seconda, nel tempo e nel valore, in quanto “derivato” dell’uomo. Niente di più lontano dalla volontà dell’autore biblico. Infatti, “un’interpretazione del termine «costola» attenta al contesto letterario e culturale smentisce (…) tale mentalità. (…) Qui «sela=costola» serve per indicare la rassomiglianza tra due esseri e la parentela. Così l’uomo e la donna sono fatti dello stesso materiale; hanno la stessa natura e la stessa dignità perché fatti della stessa pasta”.3
Mi sembra essenziale e illuminante questo punto: al di là dei travisamenti accorsi nella storia del giudeo-cristianesimo, figli della comprensione graduale della Rivelazione che sempre bisogna tener presente,4 oggi sappiamo che questo passo biblico significa proprio parità di genere, per dirla con un linguaggio contemporaneo. Parità di genere non nel senso del maschio che concede alla donna la parità, dopo che ella ha lottato per ottenerla; qui la parità sta a livello di essere: l’uomo e la donna, il maschio e la femmina del genere umano, sono alla pari, uguali in tutto e per tutto perché così il Creatore li ha pensati, voluti e «costruiti».5 Ecco perché, a mio parere, ogni legittima lotta che vede come obiettivo il riconoscimento di questa parità non dovrebbe additare la tradizione giudaico-cristiana come uno degli ostacoli contro cui lottare, bensì come un potente alleato, una base sicura su cui poggiarsi e una copiosa fonte ispiratrice alla quale poter attingere. Almeno in linea di principio. Allo stesso tempo, non dobbiamo considerare a priori negativamente tutte le rivendicazioni di questa parità: esse vanno certamente passate al vaglio della fede cristiana, ma possono essere considerate parte di quei “segni dei tempi” che aiutano la Chiesa stessa a progredire nella comprensione della Rivelazione.6
La costola è nella tradizione giudaica la parte più nobile, perché contiene il cuore, quindi l’amore e la vita: questo dice molto sul valore e sulla funzione della donna e ci porta ai versetti successivi, laddove Dio presenta la donna all’uomo ed egli esplode in un canto di gioia e liberazione (“finalmente”). Finalmente l’uomo può uscire dal silenzio del proprio insormontabile isolamento esistenziale e aprirsi al dialogo profondo con un «tu» grazie al quale comprende fino in fondo anche la propria identità.7 L’uomo riconosce la donna come dono del Creatore (è Dio che la conduce a lui), non come propria conquista o come oggetto che esercita seduzione su di lui, facendo dell’uomo una preda della donna; la loro relazione, dunque, dice donazione e gratuità, pilastri del matrimonio cristiano e valori sempre più lontani, purtroppo, da quanto il mondo ci propone.
Le gioiose parole pronunciate dall’uomo (“è carne dalla mia carne/e osso dalle mie ossa”) ci riportano al giusto modo di intendere la plasmazione dalla costola: l’uomo riconosce nella donna una parte di sé, vede in lei e sottolinea l’appartenenza alla stessa realtà creaturale, le sue parole così concretamente corporali dicono in maniera splendida ed efficacissima il rapporto che si instaura fra i due: “una comunione profonda mediata dalla realtà corporale (…) ritenuta capace di far entrare in dialogo due persone”.8
Si arriva, infine, alla chiarificazione terminologica che conclude la comprensione nuova della realtà: al versetto 23 non si parla più di «adam», essere umano indeterminato, ma Adamo parla di se stesso chiamandosi «ish» (uomo, signore, marito) e chiama la donna «isshah» (letteralmente «uoma», in italiano «donna»): chiamandola con il femminile di se stesso, l’uomo riconosce in lei la comune radice di appartenenza, pur nella diversa identità. L’originale ebraico è potente ed efficace nel togliere ogni residuo dubbio su quanto detto.9

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[1] Per il testo italiano tradotto dall’originale di Esiodo: https://it.wikisource.org/wiki/Le_opere_e_i_giorni_(Esiodo_-_Romagnoli)/Prometeo_e_Pandora Per un commento esplicativo: https://aulalettere.scuola.zanichelli.it/sezioni-lettere/il-passato-ci-parla/la-prima-donna-pandora-lindefinibile
[2] Cfr. G. Cappelletto, In cammino con Israele. Introduzione all’Antico Testamento – I, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2006, pag. 140.
[3] Ibidem.
[4] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 94 e 99.
[5] «Costruire» è la più fedele traduzione del verbo ebraico generalmente tradotto con «plasmare», cfr. Cappelletto, pag. 140.
[6] Cfr. Gaudium et Spes 4, 11, 44.
[7] Non posso qui soffermarmi su quanto le scienze umane, la psicologia e la sociologia in primis, ma anche le più recenti neuroscienze, ci confermino questo attraverso i percorsi propri di ogni disciplina: l’uomo può prendere gradualmente coscienza di sé solo nella relazione con l’altro e con l’ambiente, a partire dal grembo materno.
[8] Ibidem, pag. 141.
[9] Interessante articolo che si sofferma sulla terminologia: https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/Partire_da_Adamo_ed_Eva.html

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