Circa la lettera di risposta di Papa Francesco ai "Dubia" del 10 Luglio 2023...
Sul sito del Dicastero pro Doctrina Fidei è stata pubblicata la risposta del Papa Francesco ai Dubia del 10 luglio 2023 – non alla Replica dei Dubia del 21 agosto, stralciando dalle 7 pagine della lettera, la prima pagina e mezza, nonché le ultime cinque righe di conclusione.
Pertanto, riceviamo e pubblichiamo le traduzioni dell’intera Lettera qui allegate…
I nuovi Dubia ed il Sinodo della discordia
Notifica ai fedeli laici (can. 212 § 3) Sui dubia sottomessi a Papa Francesco
Fratelli e sorelle in Cristo,
Noi, membri del Sacro Collegio Cardinalizio, avendo presente il dovere di tutti i fedeli “di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa” (can. 212 § 3) e, soprattutto, avendo presente la responsabilità dei Cardinali che “assistono il Romano Pontefice … come singoli … nella cura soprattutto quotidiana della Chiesa universale” (can. 349), considerate varie dichiarazioni di alcuni alti Prelati inerenti alla celebrazione del prossimo Sinodo dei Vescovi, palesemente contrarie alla costante dottrina e disciplina della Chiesa, e che hanno generato e continuano a generare tra i fedeli e in altre persone di buona volontà grande confusione e la caduta in errore, abbiamo manifestato la nostra profondissima preoccupazione al Romano Pontefice.
Ricorrendo alla provata prassi della sottomissione di dubia [domande] ad un superiore per fornirgli l’occasione di chiarire, attraverso i suoi responsa [risposte], la dottrina e la disciplina della Chiesa, con la nostra lettera del 10 luglio 2023 abbiamo sottomesso a Papa Francesco cinque dubia, di cui è allegata una copia. Papa Francesco ci ha risposto con lettera dell’11 luglio 2023.
Avendo studiato detta lettera, che non ha seguito la prassi dei responsa ad dubia [risposte a domande], abbiamo riformulato i dubia per suscitare una risposta chiara, basata sulla perenne dottrina e disciplina della Chiesa.
Con la nostra lettera del 21 agosto 2023, noi abbiamo sottomesso al Romano Pontefice i riformulati dubia, di cui è allegata una copia. Finora non abbiamo ricevuto risposta.
Data la gravità della materia dei dubia, specialmente in vista della predetta imminente sessione del Sinodo dei Vescovi, abbiamo giudicato che è nostro dovere informare Voi fedeli (can. 212 § 3), affinché non siate soggetti a confusione, errore e scoraggiamento, invitandovi a pregare per la Chiesa universale e, in particolare, per il Romano Pontefice, perché il Vangelo sia insegnato sempre più chiaramente e seguito sempre più fedelmente…
Don Alberto Strumia:
… è “finita”: andate in pace!
( Seconda parte )
In questa seconda parte osiamo spingerci ancora oltre con la “fantaecclesiologia” (ma è poi così “fanta”?…). Se dovessimo azzardare un possibile scenario “futuribile”, ma non irrealistico, potremmo immaginarcelo così. Prima si potranno moltiplicare le celebrazioni sacrileghe della Messa, nelle quali si adoreranno gli idoli pagani insieme all’Eucaristia; anzi i primi a preferenza della seconda, degradata da “presenza reale” di Cristo a simbolo di solidarietà socio-politica, di sentimenti calorosi e poco più.
E così le chiese saranno profanate anche dai “credenti”, oltre che dai nemici della fede – e oggi già lo sono sempre di più, con oltraggi a crocifissi, statue della Madonna spezzate, comportamenti indecorosi di sfida aperta a Cristo, incendi di Cattedrali e chiese – e ben di più di quando vengono allestite per pranzi, dormitori e comizi. Qualcosa di grave è successo già anche nella basilica di san Pietro in Vaticano.
Le visioni profetiche avute in sogno da Bruno Cornacchiola, alle quali lo stesso Pio XII prestò seria attenzione, suggeriscono di aspettarsi anche di peggio! Oltre a quanto rivelato a Fatima, la Salette, ecc., sul futuro nella Chiesa.
Le ragioni della possibile non validità delle celebrazioni potrebbero essere prima o poi molteplici.
1) La “materia” con cui viene celebrato il Sacramento dell’Eucaristia potrebbe risultare per lo meno dubbia, almeno quanto al pane che, un po’ alla volta, magari ad experiementum, potrebbe (il condizionale è d’obbligo per ora e ci auguriamo che rimanga tale!) anche non essere più pane di frumento. L’introduzione di una materia più comune in certi luoghi, diversa dal pane di frumento (già si era parlato tempo fa della yucca per l’America Latina, e magari del riso in estremo Oriente), farebbe sì che esso non venisse celebrato come Cristo l’ha istituito nell’Ultima Cena e, quindi divenisse un’altra cosa. Magari anche il vino potrebbe essere sostituito con una bevanda più disponibile in certi luoghi. E se viene meno la materia, elemento essenziale, il Sacramento viene meno e la Messa non è più la Messa. E allora si deve dire che «la Messa è finita», perché non c’è stata nessuna consacrazione valida!
2) Anche per quanto riguarda la “forma”, se venisse alterata arbitrariamente, adattata, dal celebrante che presiede il rito, con parole che paiono più adatte e comprensibili (!) – come si è già fatto con il Padre Nostro – verrebbe meno un altro elemento essenziale per la validità del Sacramento. Il fatto è che pare essere già successo da alcune parti. Le ambiguità lasciano spazio pure a questo. Certo che se noi diventassimo i presunti “successori di Cristo” potremmo anche rischiare di presumere di fare meglio di Lui. Ma perderemmo la Salvezza eterna, perché quella non siamo capaci di farcela in casa da soli, al Suo posto. Ma ce n’è ancora bisogno della Salvezza,, dal momento che non esiste più il peccato (originale o attuale che sia), e se anche esistesse andrebbe obbligatoriamente perdonato senza alcun pentimento e conversione di chi lo ha commesso?
3) Ma spingiamoci ancora più in là nell’immaginare il peggio. Il “ministro” che celebra il culto, d’ora in poi, potrebbe anche non essere un ministro validamente ordinato (vescovo e presbitero). Ormai la Messa la “dicono” da diverse parti, i laici uomini o donne (o altro…) poco importa, basta che indossino dei paramenti liturgici (magari anche modernamente brutti…). Con la carenza di preti bisogna arrangiarsi!
Peccato che, non essendo presbiteri, non abbiano ricevuto alcun potere d’Ordine per poterlo fare validamente.
4) Allora non ci sarebbe neppure bisogno di istituirlo il “sacerdozio femminile”, perché sarebbe già la prassi a renderlo “normale”. E nemmeno di autorizzare i preti a sposarsi, e a divorziare, riaccoppiandosi poi in qualche modo con una o più “entità indefinite”.
Ma con queste disposizioni che comprometterebbero il Sacramento dell’Ordine e quello dell’Eucaristia, ci si arrogherebbe il diritto di fare ciò che Cristo non ha fatto, presumendo di potersi sostituire a Lui, sentendosi in qualche modo i Suoi “successori” e, come tali, autorizzati ad abrogare le regole che Egli ha istituito sostituendole con altre a proprio arbitrio, presentandole come illuminazione dello Spirito Santo (?).
Il risultato di tutto questo, se mai si dovesse realizzare (!), sarebbe che i fedeli, accostandosi per ricevere la santa Comunione, il Corpo reale di Cristo, vero Dio e vero uomo, rischierebbero di non sapere più che cosa vanno a ricevere, non solo per la loro non conoscenza della dottrina (che è già abissale perché nessuno li ha più istruiti come si doveva), ma soprattutto per la dubbia validità sacramentale oggettiva della celebrazione. In molti casi non lo riceverebbero, ma consumerebbero un semplice pezzetto di ostia non consacrata (o di altro ancora), non transustanziata. Essi verrebbero illusi, ingannati dal “presunto ministro” che celebra il rito fasullo. E in taluni casi, partecipando consapevolmente a tale “commedia” se ne renderebbero anche volontariamente complici.
5) Un sacerdote, validamente ordinato, che celebrasse in questa situazione incomincerebbe a non essere più del tutto certo di ciò che si trova nel tabernacolo, perché il “sacerdote” (o presunto tale) che lo ha preceduto potrebbe non aver detto una Messa valida, con la conseguenza di non aver riposto nel tabernacolo il Corpo di Cristo, ma delle ostie non consacrate che si verrebbero a mescolare con quelle validamente consacrate. Che profanazione, che disastro! Ma tanto se si insegna che quello che conta non è la “presenza reale” alla quale non credono più in molti, ma la solidarietà tra i “fratelli” (“Fratelli tutti”. Ma non è la Massoneria la paladina della “fratellanza universale”?), il volersi bene attorno all’altare, che cosa c’è da meravigliarsi? Tanto un dio vale l’altro. Gesù lo si cerca ormai solo nei poveri e non più nell’Eucaristia.
6) Se poi, in futuro, si dovesse arrivare ad avere addirittura – Dio non voglia – dei “vescovi” (uomini o donne, o “altro”, come accade da tempo in talune comunità non cattoliche) non validamente ordinati si verrebbe a compromettere, anche nella Chiesa cattolica, la continuità della successione apostolica. E allora si dovrebbe dire non solo «la Messa è finita, andate in pace!», ma addirittura «la Chiesa è “finita”, andate in pace!».
Dobbiamo aspettarci qualcosa di simile come esito del sinodo sulla sinodalità? Ma i piani del Cielo potrebbero anche riservarci delle sorprese, tali che il sinodo non si potrà fare…
E poi, si dirà, che un tale disastro è troppo, perché contraddice la promessa di Gesù «le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18). Le virgolette che racchiudono la parola “finita” sono state messe, nel titolo, proprio ad indicare che la Chiesa, nella sua totalità, non può essere finita, ma sembra talvolta proprio essere “finita”, o quasi, nella sua “visibilità terrena”, e potrebbe essere destinata ad estinguersi del tutto dopo la morte dell’ultimo Vescovo validamente ordinato. Destinata a morire in croce come il Suo Fondatore. Ma neanche in questo caso paradossale la Chiesa sarebbe veramente finita, perché essa si compone di tre livelli: oltre la Chiesa “militante” (quella terrena visibile) che potrebbe, al limite estremo, anche essere distrutta dagli uomini (?!), nessuno potrebbe distruggere né la Chiesa “trionfante” (in Paradiso), né quella “purgante” (in Purgatorio), perché queste sono già risorte, come Cristo è risorto. Ma resterà comunque anche qui un resto, quasi invisibile, se le porte degli inferi non potranno prevalere del tutto. Non dobbiamo neppure pensare che il Signore permetta che scompaia la Chiesa nella sua realtà terrena, anche quando la sua visibilità fosse compromessa come lo è oggi e, peggio ancora come potrebbe essere domani.
Anche se alcune parole del Signore lasciano intendere che qualcosa di simile possa accadere: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Troverà uno scheletro, un’istituzione ecclesiastica senza la fede? Almeno qualche Vescovo, qualche prete, qualche diacono e qualche fedele che ha la fede cristiana cattolica potranno esserci rimasti… Si direbbe di sì, dal momento che il Signore stesso dice: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12,37).
Domandiamo la grazia di poter essere tra questi, se il Signore non ci chiamerà, prima di quel giorno, a raggiungerlo. Come ebbe ad anticipare profeticamente l’allora sacerdote Joseph Ratzinger nel 1969: «Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. […] Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza e sperimenterà di nuovo i Sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica».
Intanto cerchiamo di fare qualcosa di concreto – senza la presunzione di salvare più di ciò che solo Cristo ha già salvato – che sia utile e formativo per impedirci di annegare a causa delle falle che si sono aperte nella nave e per metterci in condizione di ripararla, piuttosto che limitarci dare la caccia ai presunti colpevoli del passato. Riprendiamo in mano almeno il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, per assimilarne il contenuto, preghiamo e domandiamo insistentemente alla Vergine Maria che giunga presto il trionfo del suo Cuore Immacolato che apre la strada al trionfo visibile del Cuore di Cristo. E manteniamo la serenità cristiana nel profondo dell’anima, perché, Cristo ha già vinto!
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Gabriele Cianfrani:
L’UNITÀ DELLA TEOLOGIA E IL RISCHIO DELLA FRANTUMAZIONE
Non poche volte si assiste alla presentazione della scienza teologica in maniera frammentata, o meglio, frantumata.
Vale a dire che negli ultimi tempi sono emerse ‘varie teologie’: teologia del progresso, teologia della speranza, teologia della croce, teologia della morte di Dio e via di questo passo. Senza fare di tutta l’erba un fascio, riconoscendo la legittimità di una di queste rispetto all’altra, sembra proprio che una simile presentazione non arrechi altro che frantumazione all’interno della unica scienza teologica. Infatti, nonostante nella teologia rientrino varie aree come quello dogmatico, morale, spirituale, biblico ecc., in quanto scienza essa è «una». Il rischio che si potrebbe correre – di fatto accade – è quello di perdere di vista la totalità a causa di una eccessiva attenzione verso la parzialità. Inoltre, esprimersi come sopra riportato: «teologia di…», non pare sia il modo più corretto, nonostante la bontà delle intenzioni. Questo problema è stato avvertito anche da Joseph Ratzinger, il quale ci indirizza mediante le seguenti parole:
il pluralismo che porta alla rovina dell’unità nasce là dove uno non si sente capace di tenere insieme la grande tensione interiore della totalità della fede. Esso presuppone sempre al suo inizio una riduzione e un impoverimento, che non vengono eliminati dalla fioritura di concezioni parziali del cristianesimo, che emergono e sprofondano in forma concomitante o successiva – al contrario, anzi, diventa così del tutto evidente la povertà di ogni singolo tentativo. È più fruttuoso invece il pluralismo teologico, là dove riesce a ricondurre all’unità la multiforme varietà delle manifestazioni storiche della fede, che non cancella questa molteplicità, ma la riconosce come intreccio organico di quella verità che oltrepassa l’uomo.[1]
Quelle di Ratzinger sono parole alquanto importanti e rimandano al fatto che non bisogna perdere di vista l’unità della teologia, in particolar modo: ricondurre all’unità la multiforme varietà delle manifestazioni storiche della fede.
Vediamo in che modo si coglie l’unità della scienza teologica, la quale è una proprio in riferimento al suo subiectum, e lo vedremo con l’aiuto del Doctor Angelicus.
Nella prima pars della sua Summa Theologiae e proprio nella prima questione, l’Angelico riporta precisazioni che andrebbero più che mai riprese, e cercheremo di farlo, per quanto riguarda l’«unità» della scienza teologica, con gli articoli 2, 3, 7.
Iniziamo col prendere in considerazione l’articolo 2: Utrum sacra doctrina sit scientia. La risposta è affermativa, ma con alcune precisazioni. Infatti, vi sono due generi di scienze: quelle che procedono da princìpi noti alla luce naturale dell’intelletto (come l’aritmetica, la geometria) e quelle che procedono da princìpi noti alla luce della scienza superiore (così come la prospettiva procede da princìpi notificati per la geometria, e la musica da princìpi noti per l’aritmetica). La sacra dottrina è scienza in questo modo, perché procede da princìpi noti alla luce della scienza superiore, che è quella di Dio e dei beati.[2]
Nell’articolo 3 si procede ulteriormente: Utrum sacra doctrina sit una scientia, con la distinzione materialiter e formaliter. Pertanto, l’oggetto materialmente preso può essere l’uomo, l’asino, la pietra; formalmente preso risponde alla ragione formale dell’essere «colorato», che è l’oggetto della vista. In tal caso l’oggetto non deve essere preso materialmente, ma secondo la ragione formale di «colorato», che interessa tutti e tre gli oggetti. Parimenti con la sacra dottrina: considera alcune cose che sono rivelate divinamente, per cui tutte le cose che possono essere rivelate divinamente rientrano nella ragione formale dell’oggetto della scienza divina, alla luce della quale sono comprese sotto la sacra dottrina come sotto quella scienza che è una.[3]
Ora, ciò che non bisogna perdere di vista è che la sacra dottrina non si riferisce a Dio e alle creature equamente, sed de Deo principaliter, et de creaturis secundum quod referuntur ad Deum, ut ad principium vel finem. Unde unitas scientiae non impeditur.[4] Questa precisazione è molto importante, poiché il riferimento è principalmente a Dio, secondariamente alle creature ma sempre in riferimento a Dio. Allorché ci si concentrasse sull’indagine di un aspetto particolare, offuscando il riferimento principale a Dio, si avrebbe una indagine frantumata che comporterebbe il raccogliere quei pezzi che dovrebbero servire per ricomporre la totalità. Ma in tal caso la totalità sarà contraffatta, proprio perché la partenza dell’indagine teologica non considererà Dio come il riferimento principale e finale. Gli aspetti particolari devono rientrare in Dio come principio e fine, non come aspetti a sé come una sorta di puzzle da comporre.
Infatti, con l’articolo 7 si ha il chiarimento definitivo: Utrum Deus sit subiectum huius scientiae. E la risposta non avrebbe bisogno di ulteriori precisazioni: in hac scientia fit sermo de Deo, dicitur enim theologia, quasi sermo de Deo. Ergo Deus est subiectum huius scientiae.[5] Non solo, ma omnia autem pertractantur in sacra doctrina sub ratione Dei, vel quia sunt ipse Deus; vel quia habent ordinem ad Deum, ut ad principium et finem. Solo Dio è il subiectum della teologia e tutto ciò che la medesima tratta è sub ratione Dei, o perché è Dio stesso o perché dice ordine a Dio. Ma veniamo al punto che occorre sottolineare maggiormente, per avviarci alla conclusione, ossia il fatto che spesse volte alcuni argomenti sono trattati non sub ratione Dei, ma come se tali argomenti fossero il subiectum di se stessi. Già accadeva al tempo dell’Aquinate: vel res et signa; vel opera reparationis; vel totum Christum, idest caput et membra. Tuttavia, questi argomenti non possono essere trattati in maniera a sé stanti, sed secundum ordinem ad Deum.
Occorre recuperare l’unità del sapere teologico partendo dal modo di esprimersi, evitando le «teologie di/del/della/dello…», le quali, in tal modo, non esprimono altro che una sorta di frantumazione. Al riguardo, è possibile leggere quanto riportato dalla Commissione Teologica Internazionale, nel documento Teologia oggi: prospettive, principi e criteri:
Nei tempi moderni, in misura crescente, la parola «teologia» viene utilizzata al plurale. Si parla delle «teologie» di diversi autori, periodi o culture, riferendosi ai concetti distintivi, temi significativi e prospettive specifiche di queste «teologie».[6]
Il documento precisa che una certa pluralità è legittima, ma prestando attenzione alla teologia in quanto scientia fidei e scientia Dei, nel salvaguardare il subiectum della teologia che è Dio. Per questo motivo sarebbe meglio se si parlasse di «pluralità» anziché di «pluralismo», o meglio, sarebbe una esigenza, dacché la molteplicità presuppone l’unità.
_____________________
[1] J. RATZINGER, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca Book, Milano 20184, 85.
[2] Cf. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 1, a. 2.
[3] Cf. Ibid., a. 3.
[4] Ibid., ad 1um.
[5] Ibid., a. 7.
[6] Commissione Teologica Internazionale, Teologia oggi: prospettive, principi e criteri, n. 75.
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Ettore Gotti Tedeschi:
"AVENDO INTESO CONTRO CHI E’ LA BATTAGLIA, ABBIAMO INDICAZIONI SU COME COMBATTERLA OGGI ?”
Si, le abbiamo, Benedetto XVI ce le ha date
Nel suo splendido articolo su IPC ( “Contro chi è la battaglia ?” ), don Alberto Strumia ci indica l’avversario contro cui dobbiamo combattere e ci invita a tenerne conto. Molto intelligentemente sintetizza l’ operato del nostro avversario oggi, riferendosi a suor Lucia di Fatima che spiegò che Satana sta costruendo una Anti-Creazione .
Esatto, perfetto. Satana sta riscrivendo la Genesi: non più il Creatore li creò uomo e donna, non più disse loro andate e moltiplicatevi, non più li invitò a sottomettere la terra e ogni essere vivente. La nuova genesi blasfema dice esattamente il contrario: Genderismo, neomaltusianesimo, ambientalismo e animalismo. Lo capiamo anche leggendo un paio di notizie oggi sulla decisione del Presidente del Veneto di attuare anche lui una rivoluzione dei diritti civili finanziando una clinica che cambia il sesso ( scelta di civiltà) o leggendo quanto succede nello stesso ambito, nella chiesa tedesca.
Vorrei tentare di integrare il pensiero di don Alberto, quando ricorda l’espressione di don Giussani sul fatto che “si deve tener conto della totalità dei fattori (in gioco)”, specificando che si deve tener conto anche della totalità degli “attori in gioco”, dei loro obiettivi, dei loro mezzi, ecc. . Cioè noi cattolici di criterio dobbiamo “pensare strategicamente“ e strategicamente agire. Questo, secondo me, intendeva don Giussani con questa considerazione. Don Strumia lo specifica bene quando parla infatti dell’avversario con cui dobbiamo combattere. Ecco, riflettiamo un momento su questo avversario: Il diavolo. Tutta la storia dell’umanità, non solo la storia sacra, ne ha subito l’influenza. Oggi sembra agire con maggior malizia offrendo alla umanità la proposta di migliorare in tutto scientificizzandosi, e pertanto modificandone obiettivi e mezzi, rivoluzionando pertanto la Genesi stessa e le sue indicazioni. Questa è la grande tentazione di questo secolo, Ma noi dovremmo ricordarci che il Signore ci ha dato tutti i mezzi per vincere sempre in ogni tempo e condizione ogni tentazione. Proprio il grande cardinale Caffarra (con altri tre Cardinali) ce lo ha ricordato con i DUBIA riferiti ad Amoris Laetitia che sembrerebbe proporre qualcosa di diverso, di molto diverso. Ma il Signore non ci ha proprio chiamato alla santità, ad esser perfetti come il Padre Nostro è perfetto ? Ed a esserlo anche oggi e nel nostro stato. Proprio oggi e proprio nel nostro stato, non “nonostante” le tentazioni di oggi e le difficoltà del nostro stato. Conveniamo o no che la crisi di oggi è crisi di santità ? Benedetto XVI conclude Caritas in Veritate spiegando che queste crisi non si risolvono cambiando gli strumenti ,ma il cuore degli uomini. E nella parte da lui scritta di Lumen Fidei spiega che chi ha responsabilità di cambiare il cuore degli uomini è la Chiesa, con tre strumenti: preghiera, magistero e sacramenti. I sacerdoti cattolici ed i laici cattolici dovrebbero riflettere bene su questi due punti. Ma per cominciare è necessario tornare alle raccomandazioni di don Strumia: riconoscere l’avversario e aborrire il peccato, che non è certo conseguenza della la miseria materiale (“l’inequità“, nella ripartizione delle risorse) a generarlo, bensì la miseria morale genera la miseria materiale (come si sente la mancanza dell’insegnamento del Tomismo nei seminari).
Che fare ? certo il Signore non vuole che contiamo troppo sulle nostre capacità e abbiam troppa fiducia nello sforzo umano, ma neppure (io credo e chiedo conferma a don Strumia) vuole che ci rifugiamo nella passività di azione, che con la scusa di abbandonarsi nelle mani di Dio, di fatto trasforma la speranza in “pigrizia spirituale“ …Se ricordo bene San Tommaso scrisse nella Summa che la Grazia non sostituisce la Natura e Dio ci ha messo in mano gli strumenti che servono a non tralasciare di fare ciò che si può, aspettando l’aiuto di Dio. Perché, se ho ben capito, ciò equivarrebbe a “tentare Dio “ e pertanto anche la Grazia non agirà.
Ma ho una riflessione finale che è una domanda per don Strumia. Fino a ieri noi cattolici ci misuravano con i Misteri della fede. Oggi abbiamo un ”mistero” in più da affrontare, riuscire a capire dove la Chiesa di oggi vuole portare la fede cattolica e perché. Un piccolo nuovo sotto-mistero è anche capire come il Timor di Dio ( che non è terror di Dio…) sia stato trasformato in Timor della autorità morale. Un tempo ci insegnavano a sentirci “figli di Dio” ed agire come tali. Oggi sembrerebbe ci invitino a considerarci cancro della natura ed a vergognarci di non esser giardinieri o ortolani. Se il mondo cattolico oggi non ha pace non può seminare pace e fede con gioia. Non solo non credo al rifugio nel “piccolo gregge” (una “setta “ di fatto) o al passaggio a religioni più ortodosse (che è esattamente quello che il nostro avversario vuole!), credo invece che dobbiamo ristudiare Caritas in Veritate (e Lumen Fidei) di Benedetto XVI. Ci ha spiegato tutto quello che dobbiamo fare. Questo sarà il tema di volta che verrà discusso durante i prossimi appuntamenti della Scuola Ecclesia Mater. Benedetto XVI aveva già spiegato contro chi stiamo combattendo e come combattere oggi.
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Don Alberto Strumia:
Contro chi è la battaglia?
Oggi è frequente, tra coloro – e non sono molti, pur non essendo neppure pochissimi – che si rendono conto della gravità situazione sia ecclesiale-ecclesiastica (sbandamento dottrinale e morale, contrapposizioni tra i cosiddetti “progressisti” e i cosiddetti “tradizionalisti”, divisioni tra i laici e tra gli ecclesiastici, scandali di ogni genere, posizioni eretiche/ereticheggianti, scismatiche/scismaticizzanti, e forme varie di apostasia vera e propria, ecc.), che socio-politica… è frequente e urgente cercare di intervenire per correre ai ripari.
Per farlo si vedono all’opera diversi modi di procedere che, alla prova dei fatti – pur potendo essere in sé, almeno in certi casi, anche parzialmente buoni, e animati da ottime intenzioni – risultano insufficienti, ultimamente inadeguati, non abbastanza “realistici”:
– o perché non tengono conto della “totalità dei fattori” in gioco (per usare un espressione che era cara a don Giussani);
– o perché sono “velleitari”, per l’illusione di poter realizzare in un solo colpo progetti grandiosi con forze insufficienti, in quanto solo troppo umane. Il rischio, in questo caso, è quello di un involontario “delirio di onnipotenza”, che finisce per essere il rovescio della medaglia di quello degli attuali “padroni del mondo”. Sarebbe sempre meglio procedere gradualmente nella realizzazione di ciò che si è progettato!
1. Di certo è inadeguato il limitarsi a cercare di “tamponare le falle”, come sul piano socio-politico tentano di fare i governi, pure quelli “più saggi”, e non conniventi con le ideologie del mondo. Non bastano, anche se sono necessari, gli interventi “dall’esterno” della coscienza dell’essere umano (le leggi, le strutture, i provvedimenti giudiziari, ecc.).
2. Peggio ancora sono i tentativi di entrare mediaticamente (tv, social, articoli, spot pubblicitari, ecc.) nelle coscienze, manipolandole, per convincerle della bontà delle ideologie che dominano il mondo (“pensiero unico”) solo per interessi di potere ed economico-finanziari, di alcuni su tutti gli altri; e non per il bene comune. Si finisce in guerra e nell’autodistruzione, come vediamo accadere proprio in questi ultimi anni.
3. Tutto questo modo di procedere è proprio di un “orizzontalismo” troppo mondano e “umano” per essere risolutivo.
Domanda: la battaglia finale si gioca solo a livello umano, o c’è qualcosa d’altro in ballo?
4. Internamente alla Chiesa si può rischiare di riprodurre, anche involontariamente, lo stesso “modello” di giudizio e di comportamento che vediamo al di fuori di essa.
– i più convinti “tradizionalisti” tendono a vedere tutto il male a partire dal Concilio Vaticano II e tutto il rimedio nel riportare l’orologio e il calendario a prima del Concilio. Cosa per altro praticamente irrealizzabile e non corrispondente alla realtà.
– i più convinti “progressisti” vorrebbero il totale adeguamento dell’insegnamento della Chiesa alle ideologie del mondo (ambientalismo/naturalismo fino al panteismo, pauperismo/migrantismo incontrollato, sovvertimento di tutte le discipline morali, ecc.).
– Altri tentano la via intermedia tra le due posizioni: salviamo la Tradizione, senza rifiutare in blocco il buono, che riconosciamo nel Concilio, alla luce della “continuità” (in linea con Benedetto XVI). Una strada che si presenta come la più ragionevole, purché non si faccia conto solo delle nostre forze umane, ma si tenga conto che la battaglia non è solo tra uomini e dottrine umane. Non siamo al livello di chi, come già al tempo di san Paolo, si schierava dicendo: «“Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “E io di Cefa”, “E io di Cristo!”» (1Cor 1,12). E oggi, potremmo dire: “Io sono di Francesco”, o “Io di Pio XII”, “Io di nessuno di loro” e “Io passo con gli Ortodossi”, ecc.
5. Contro chi è la battaglia? È solo un’alternativa tra quella che un tempo si era definita come “la scelta religiosa” (oggi si parla di “ritorno nelle catacombe”, di “opzione Benedetto”, ecc.) e il “combattimento pubblico ad oltranza”, per ricostruire una “cristianità in grande”, imbarcandosi in grandi progetti di costruzioni che per ora rimangono a lungo solo sulla carta?
Abbiamo a che fare con un avversario di natura umana, o di un’altra natura superiore?
6. Mi hanno molto colpito, già da diversi anni, i “giudizi” sul nostro tempo espressi in diverse occasioni, da alcuni grandi uomini di fede e pastori, che considero come “maestri di vita cristiana”, e che ho avuto la grazia di avere vicini, fino a che erano con noi su questa terra, e ora ci vedono e penso ci proteggano dal Cielo.
6.1. Uno di loro è stato il card. Carlo Caffarra.
– In un’intervista rilasciata a Tempi ebbe a dire: «Una legge che impedirà di dire che i maschi sono maschi e le femmine femmine è la fine della civiltà, della adaequatio rei et intellectus (corrispondenza tra realtà e intelletto), della Verità. Dopo questo, basta, potremo dire tutto: tutto sarà vero e falso insieme, perché se io posso dire che mi sento maschio, dunque sono maschio, vale tutto» (Tempi, 14-07-2020).
È l’istantanea del relativismo odierno, della situazione attuale. Ma questa è ancora solo la presa d’atto degli “effetti” dell’azione di un nemico (come disse Gesù a proposito della zizzania: «Un nemico ha fatto questo», Mt 13,28). E chi è questo nemico?
– In un’altra intervista (del 2017) riferendosi alla lettera con la quale gli rispose suor Lucia di Fatima, Caffarra andò direttamente dall’“effetto” alla “causa”.
E non si fermò al livello delle “cause prossime”, come fanno oggi anche i migliori psicologi, sociologi, politologi, non essendo in grado di spingersi più in profondità, perché abituati a ragionare e vivere “come se Dio non esistesse”, e non esistesse neppure il suo primo oppositore (!). Ma andò fino alla radice del problema.
Disse: «Qualche anno fa ho cominciato a pensare, dopo quasi trent’anni: “Le parole di Suor Lucia si stanno adempiendo”. […] Satana sta costruendo un’anti-creazione. […] Satana sta tentando di minacciare e distruggere i due pilastri [la “vita” e la “famiglia”], in modo da poter forgiare un’altra creazione. Come se stesse provocando il Signore, dicendo a Lui: “Farò un’altra creazione, e l’uomo e la donna diranno: qui ci piace molto di più”» (intervista al sito aleteia.org in occasione del quarto incontro del Roma life Forum il 19 maggio 2017).
La battaglia, secondo Caffarra, è dunque, prima di tutto, contro Satana che è, per natura un angelo e quindi è superiore a noi, più potente di noi. Le nostre sole forze umane e i nostri progetti, per quanto belli e grandiosi, non sono sufficienti per vincerlo. Non possiamo cadere neppure noi nella tentazione di cedere a “deliri di onnipotenza”, come fanno i “padroni del mondo”, pur partendo da posizioni ad essi opposte. Ci vuole l’“umiltà del realismo” che ci fa ricorrere “più esplicitamente a Cristo” nelle valutazioni e nelle decisioni (e non solo quando siamo in chiesa), perché Lui è l’unico definitivo vincitore del demonio, perché è più potente, essendo Dio.
6.2. Questo non è un motivo di sconforto e di senso di impotenza. Al contrario è motivo di certezza di vittoria. A questo proposito mi è venuta in mente, da tempo, l’insistenza con la quale un altro grande maestro di vita, il card. Giacomo Biffi, ricordava regolarmente ai suoi fedeli e ascoltatori che comunque vadano le cose, Cristo ha già vinto!
«Il credente sa che Cristo ha già vinto; ma sa anche che la piena manifestazione di questa vittoria sarà un dono escatologico. Questo non lo scoraggia né lo disarma: per essere se stesso e accogliere totalmente nella verità la salvezza di Dio, egli instancabilmente si adopera a dar vita alla nuova società, alla nuova storia, alla nuova cultura» (Per una cultura cristiana. Da una lettera del 1985).
E oggi dobbiamo aggiungere: in proporzione a quanto è realisticamente possibile nella condizione storica nella quale ci si trova. Non serve combattere contro i mulini a vento!
In un altro testo ebbe a dire: «Solov’ev era anche sicuro che “Tuttavia, dopo una lotta breve e accanita, il partito del male sarà vinto e la minoranza dei veri credenti trionferà completamente” (cfr. Mt 24, 31: “Manderà i suoi angeli… raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli”). Ma, aggiunge: “La certezza del trionfo definitivo per la minoranza dei credenti non deve condurci a un’attitudine passiva. Questo trionfo non può essere un atto puro e semplice, un atto assoluto dell’onnipotenza di Cristo perché, se così fosse, tutta la storia del cristianesimo sarebbe superflua. È evidente che Gesù Cristo, per trionfare giustamente e ragionevolmente dell’Anticristo, ha bisogno della nostra collaborazione…”» (“L’ammonimento profetico di Vladimir S.~Solov’ev”, esercizi predicati in Vaticano a Benedetto XVI e alla Curia romana, nel 2007).
E qual è la nostra parte, oggi?
Si deve saper valutare che ci sono momenti, nella storia, nei quali la parte principale tocca a Dio, direttamente, perché noi, ormai ci rendiamo conto di essere divenuti «servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10) e ora “il grosso” tocca direttamente al Signore.
Penso che anche per noi sarebbe ingenuo e irrealistico non tenere conto di colui contro il quale si combatte la battaglia decisiva e di quali sono i principali soggetti e le forze a noi superiori che sono in campo. Dopo di che ciascuno potrà collocarsi con una vocazione più contemplativa o più attiva, a seconda della sua storia e della sua sensibilità, ma mai con un atteggiamento che dimentichi, nella concretezza, la centralità di Cristo, di Dio Padre Creatore, del Suo Santo Spirito e della “potenza attiva” insita nel pregarlo. Non siamo noi, con le sole nostre forze, a salvare il mondo e la Chiesa («Senza di Me non potete fare nulla», Gv 15,5). La compagnia che cerchiamo di farci, anche nelle occasioni di riunione serva per ricordarcelo sempre e ci sostenga nella fede che illumina e santifica la ragione.
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Nicola Barile
University of California, Berkeley
"La Chiesa dopo Benedetto XVI fra realtà ed utopia" è stato il tema dell’interessante incontro organizzato il 3 marzo 2023 dall’ Università Popolare Molfettese
La Chiesa dopo Benedetto XVI fra realtà ed utopia è stato il tema dell’interessante incontro organizzato il 3 marzo 2023 dall’ Università Popolare Molfettese
La serata ha visto un folto pubblico assieparsi nella pur ampia sala “Don Tonino Bello” della parrocchia S. Pio X a Molfetta in provincia di Bari, ha visto protagonisti don Nicola Bux e Aldo Maria Valli, già vaticanista RAI, moderati da Nicola Barile. Non si è trattato di un simposio sul pensiero di papa Benedetto, quanto di una riflessione, a partire dal contributo del suo pensiero, sul bivio in cui si trova la Chiesa attuale, come ricordato dal moderatore: da una parte il realismo, quello metafisico di S. Tommaso d’Aquino, dall’altra la deformazione dell’idea di utopia coniata da S. Tommaso Moro, per giustificare l’imposizione di idee e concetti del mondo contemporaneo.
Sia don Nicola, sia il dott. Valli hanno conosciuto Benedetto XVI e ne hanno ricordato entrambi il carattere mite e la profondità del pensiero; la loro interpretazione, tuttavia, diverge circa la valutazione del suo magistero, prima come teologo, poi come papa. Se per Valli Benedetto ha ereditato le tensioni che discendono, secondo lui, dal Concilio Vaticano II, non risolvendole, secondo Bux, invece, Benedetto ha manifestato creatività e originalità, ma sempre sforzandosi di mantenersi nel solco della tradizione cattolica; da qui la sua lettura non traumatica del Concilio, secondo quel principio della vita della Chiesa noto come “ermeneutica della continuità”. Se si pensa ad esempio alla trilogia su Gesù di Nazareth, non sarebbero pertanto il Concilio e le sue interpretazioni il problema della Chiesa attuale, quanto la riduzione della figura di Gesù a maestro di moralità, sostenitore di valori in linea con il mondo contemporaneo, ma inevitabilmente in contrasto con la realtà: si pensi, ad esempio, al mito del pacifismo, smentito dal ricorso, ancora oggi, dell’uomo alla guerra.
Entrambi i relatori, tuttavia, hanno concordato in conclusione i rischi dell’attuale fase sinodale, che appiattisce la Chiesa alla sua dimensione burocratica, facendone dimenticare la natura sacramentale. Un dibattito reso breve dai tempi contingentati della serata ha comunque consentito alla partecipata assemblea di evidenziare i dubbi che, evidentemente, questo attuale corso della Chiesa non riesce a fugare.
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Guido Vignelli
La scelta di ritornare nelle catacombe: ritirata strategica o resa al nemico?
Recentemente alcuni autori hanno pubblicato articoli e libri, diffusi soprattutto in ambiente cattolico conservatore e tradizionalista, che propongono una soluzione capace di favorire la sopravvivenza della Fede cristiana in una società che sta passando dalla indifferenza alla persecuzione della Chiesa.
Questa strategia prevede che la comunità ecclesiale attui una strategia di emergenza compiendo una nuova “scelta religiosa”, dopo quella fatta dall’Azione Cattolica Italiana negli anni 1960-1970.
La vecchia “scelta religiosa” spinse il laicato cattolico ufficiale a rinunciare a una specifica azione politica cristiana, al fine di contribuire alla costruzione di una “cristianità profana”, o meglio di una laicista “città dell’Uomo”. Quella scelta causò la sudditanza dei cattolici al progetto “progressista”, la loro irrilevanza politica e la consegna della società civile alle forze rivoluzionarie, come avevano vanamente ammonito intellettuali inascoltati del calibro di Del Noce e Baget-Bozzo.
Oggi, i fautori della nuova “scelta religiosa”, pur ammettendo il fallimento di quella vecchia, credono che sia ormai irrealizzabile l’incompiuto progetto – sempre raccomandato dalla Chiesa al laicato militante – di riconquistare la società alla Fede e di restaurare una Cristianità. Pertanto, essi esortano i fedeli a rassegnarsi all’apostasia della secolarizzata società moderna, considerata ormai come persa e irrecuperabile, a rinunciare a riconquistarla a Cristo e a ritirarsi dal “pubblico” al “privato”.
Essi propongono che la Chiesa non si ostini più a evangelizzare, o anche solo a risanare, la vita sociale, giuridica e politica delle nazioni, ma anzi eviti prudentemente di compromettersi in questo campo pericoloso rischiando di suscitare ripulse e persecuzioni. Bisogna semmai che la Chiesa si limiti a chiedere al potere laicista di tollerare benevolmente la sopravvivenza della presenza “religiosa” (ossia solo spirituale) cristiana nella sua qualità di umile contributo dato per facilitare il progresso dell’umanità e la tutela della natura.
Un preteso “ritorno alle origini”
In concreto, questa nuova “scelta religiosa” prevede realizzare una sorta di “ritorno alle origini della Chiesa”. Infatti, si pretende che ormai la Chiesa possa sopravvivere al dominio laicista solo ritornando al (supposto) modo di vita dei primi cristiani, rinunciando a “propaganda” e “proselitismo” (ossia all’apostolato e alla conversione) e limitandosi a un’attività di testimonianza spirituale da tentare solo nel campo personale e familiare, o al massimo locale.
Poco dopo la chiusura dell’ultimo Concilio Ecumenico, questa strategia di rinuncia e di ritirata fu proposta da alcuni teologi progressisti moderati, spaventati dalla reazione anticristiana del Sessantotto e preoccupati dalla crescente crisi religiosa. Ad esempio, alcuni aspirarono che la Chiesa, rinunciando a privilegi e poteri, si riduca a una “piccola comunità interiorizzata e semplificata”, al fine di “ricominciare tutto daccapo” (J. Ratzinger, Fede e futuro, Queriniana, Brescia 1971, cap. V). Altri elaborarono addirittura una esplicita “teologia del fallimento”, sostenendo che il fallimento storico della Chiesa ne prova la nobile estraneità al mondo.
Analoga soluzione viene oggi proposta al mondo cattolico dai fautori della nuova “svolta religiosa”. Essi esortano a disertare dalla fallimentare guerra in difesa della civiltà cristiana e di ripiegare in una “rivoluzione spirituale” che permetta ai cristiani di diventare “testimoni silenziosi e agenti segreti di Dio” e alla Chiesa di “sopravvivere nel privato” (Chantal Del Sol, La fine della cristianità e il ritorno del paganesimo, Cantagalli, Siena 2022, cap. V). Altri invitano i cristiani a “rifugiarsi in catacombe esistenziali” che permettano di “aprire condizioni di nicchia in terra ostile” (Boni Castellane, In terra ostile, La Verità, Milano 2023, pp. 90 e 125).
Inevitabili e insuperabili obiezioni
Tuttavia, questo programma di rinuncia, ritirata e nascondimento ecclesiale solleva inevitabilmente obiezioni insuperabili, sia storiche che pastorali che dottrinali.
Dal punto di vista storico, la prospettiva “catacombalista” si rifà a una “comunità cristiana primitiva” che sembra tratta da certi romanzi, film e telefilm sentimentali del secolo scorso. Infatti, il rifugiarsi nelle catacombe fu solo un ripiego talvolta imposto da situazioni drammatiche, ma non fu mai concepito come vita ordinaria, tantomeno come modello ecclesiale da imitare.
Oltretutto, l’attuale situazione della Chiesa non è paragonabile a quella di allora, se non altro perché Essa rimane erede e custode sia di un resistente prestigio culturale, sia di un cospicuo tesoro dottrinale, liturgico, giuridico, sociale e perfino materiale, che non è possibile nascondere e non è lecito liquidare fallimentarmente, tantomeno abbandonare al nemico.
Dal punto di vista pastorale, la scelta “catacombalista” abbandonerà la comunità ecclesiale al crescente potere del nemico e annienterà quei movimenti che tutt’oggi perseverano eroicamente nel difendere ciò che resta della civiltà cristiana attaccata dalla Rivoluzione. Sia l’insegnamento che l’impegno politico-sociale verranno prima ostacolati e poi esclusi, nel timore di suscitare le reazioni dei nemici della Chiesa, perdere la (falsa) pace religiosa e peggiorare le meschine condizioni di sopravvivenza.
Pertanto, questo “ritorno alle catacombe” non sarà una ritirata strategica, tentata nella speranza di raccogliere le forze rimaste per poi scagliarle contro gli avversari. Al contrario, essa diventerà una resa al nemico, nella illusione di far sopravvivere una Chiesa intimorita e silenziosa destinata a diventare complice di quelle forze tenebrose alle quali non vuole opporsi. Ciò favorirà la lenta e indolore estinzione di quella testimonianza cristiana che si vorrebbe salvare.
Dal punto di vista dottrinale, infine, col pretesto di “tornare all’essenziale” per salvarlo dalla crisi, la scelta “catacombalista” elude i diritti di Dio come Creatore e Legislatore della società, quelli di Cristo come Re dei popoli e quelli della Chiesa come Mater, Magistra et Domina gentium, in particolare il suo insegnamento sociale. Per giunta, questa scelta presuppone una concezione di Dio che tende al deismo, riducendolo a un Essere supremo che non governa il mondo, o almeno che è non è capace d’intervenire risolutamente nella storia contemporanea, per cui Egli abbandona la sua Chiesa al destino di essere vinta e sottomessa al Nemico.
Tutto ciò ci conferma una regola: ogni proposta che pretende di giustificare la viltà dei cristiani nel loro arrendersi alla Rivoluzione implica una offesa fatta alla divina Provvidenza e un tradimento della consegna affidata dal divin Redentore alla sua Chiesa: ossia quella d’“insegnare la verità a tutti i popoli”, “porre la fiaccola sopra il moggio” e “predicare il Vangelo sui tetti”, al fine d’“innalzarsi come vessillo tra le nazioni”.
A questo tradimento bisogna opporre il coraggio e la tenacia di restare fedeli non solo all’astratta dottrina cattolica ma anche al fattivo impegno dell’azione cristiana di riconquista della società.
Ad majorem Dei gloriam (etiam socialem).