Il Pensiero Cattolico

8 Novembre 2024

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Giovanni Giuffrida

Vitium Consensus? Confusione su confusione

Viviamo certamente in un periodo molto strano, nel quale la confusione pervade ogni aspetto della vita sociale. Ma se coloro che dovrebbero dare punti fermi contribuiscono a disorientare i fedeli, il problema viene sicuramente aggravato. Lo stesso Pontefice attuale, invece di confermarci nella fede e rassicurarci, a volte con le sue dichiarazioni contribuisce ad aumentare la confusione, per esempio attraverso le risposte non chiare ai “dubia” espressi dai cinque cardinali.

A volte, Papa Francesco ha persino esaltato il dubbio e l’inquietudine quale situazione in cui deve vivere il credente durante la sua vita spirituale. A contribuire a tale stato di confusione, si rende protagonista anche Mons. Carlo Maria Viganò, il quale pur rigettando l’ipotesi del giornalista Andrea Cionci divulgata attraverso il suo “best seller” dal titolo inquietante “Il codice Ratzinger”, mette in campo un’altra ipotesi, anch’essa molto discutibile, se non improbabile. Mons. Viganò, in un suo intervento nella conferenza di Pittsburgh datata 1° ottobre 2023, afferma che l’elezione di papa Bergoglio sarebbe affetta da nullità, perché egli eserciterebbe il suo ruolo di Papa in contrasto con quanto il diritto canonico gli attribuirebbe nello specifico. Nel suo intervento, Mons. Viganò afferma che non avrebbe pregio la tesi del consenso unanime a favore di Papa Francesco di tutti gli attuali cardinali, poichè tale argomento sarebbe smentito da un precedente storico avvenuto nel 1378: in quella circostanza, il consenso unanime dei cardinali era a favore dell’antipapa Clemente VII e, tra questi, vi era anche san Vincenzo Ferrieri, mentre il vero papa era Urbano VI. Il prelato a sostegno della sua ipotesi propone due argomenti:
1 – le dichiarazioni del Cardinale Edgar MacCarrick, il quale in un’intervista dell’11 ottobre 2013 presso la “Villanova University” affermava che papa Francesco sarebbe stato voluto dalla “deep church” e da un “very influencer gentiluomo italiano” e che con Bergoglio il papato sarebbe cambiato nel giro di quattro anni.
2 – dal comportamento del papa e nell’attuazione della sua politica ecclesiastica, il Pontefice sarebbe incorso in numerose eresie, che di fatto riuscirebbero ad evidenziare la reale volontà del medesimo di non volere esercitare il suo ruolo di Pontefice in conformità con la dottrina cattolica, secondo il suo contenuto bimillenario e la sua tradizione.
Traendo spunto dall’analogia con il matrimonio, che può essere dichiarato nullo per vizio del consenso, se chi accetta di sposarsi non intenda assumersi i doveri previsti dalle leggi canoniche e dalla dottrina della Chiesa (per esempio la mancata accettazione della volontà procreare), secondo mons. Viganò alcuni comportamenti dell’attuale Pontefice non sarebbero conformi al ruolo che il diritto canonico, le sacre scritture e la tradizione attribuiscono al papa. Per tale ragione, al momento dell’accettazione dell’elezione papale, il consenso sarebbe viziato sin dall’inizio da riserva mentale, desumibile dai “facta concludentia”, ovvero dal comportamento successivo del Papa.
Esaminando il primo punto, secondo mons. Viganò, il piano eversivo di papa Francesco sarebbe stato dettato da una consorteria denominata “Deep Church” in accordo col “Deep State” o oligarchia finanziaria, che avrebbe preso il potere nella Chiesa e nel mondo distruggendo le democrazie.
Il piano della “deep church” prevederebbe: la gestione della chiesa in modo sinodale, l’accettazione dell’immigrazionismo, la sostituzione etnica della popolazione cattolica, l’accettazione della teoria “gender”, le benedizioni delle coppie “LGBT”, la comunione ai divorziati risposati, l’accettazione di un nuovo comandamento sulla difesa dell’ambiente. Ne consegue che la Chiesa attuale dovrebbe condannare quella preconciliare e qualsiasi forma di ricorso alla tradizione.
Per quanto attiene al primo punto le argomentazioni di Viganò appaiono veramente inconsistenti, poiché egli non può considerare una prova le opinioni del cardinale McCarrick quando espone delle previsioni su Papa Francesco che cambierà il papato nel giro di 4 anni.
Oltre all’inconsistenza sul piano del diritto, poiché in ogni caso le dichiarazioni del cardinale McCarrick dovevano essere confermate all’interno di un processo, soprattutto le dichiarazioni del cardinale consistono in previsioni, intuizioni od opinioni.
Così pure il riferimento al “deep church” e all’esistenza del very influencer gentiluomo italiano, che si deve considerare una semplice illazione molto generica e senza il minimo fondamento probatorio.
La dichiarazione di un testimone può diventare prova solo quando questi esponga di fatti che egli abbia visto o sentito in modo diretto. Tali fatti peraltro per considerarsi prove dovrebbero essere confermati in un regolare processo.
2 – Più articolata è la seconda questione riguardante il vizio del consenso di Papa Francesco al momento dell’accettazione del suo incarico papale, il quale dovrebbe essere esercitato in modo conforme alle previsioni del diritto canonico, della Bibbia e della tradizione della Chiesa.
Secondo mons. Viganò, il consenso manifestato da Papa Francesco al momento dell’accettazione dell’incarico sarebbe stato viziato “ab origine”, poiché il Pontefice appena eletto avrebbe taciuto su una sua riserva mentale, che consisteva nel non aver voluto accettare l’incarico papale in modo conforme alle leggi della Chiesa.
Pure tale argomentazione appare poco fondata, poiché la riserva mentale del Papa andrebbe provata soprattutto attraverso la confessione diretta, oppure per mezzo di testimoni diretti o documenti. La seconda prova, che mette in campo Viganò, possiede i connotati di una maggiore consistenza: ovverosia dal comportamento dell’attuale Pontefice, durante il suo governo, emergerebbe una condotta eretica, non conforme ai dettami millenari della Chiesa cattolica, che lascerebbe emergere la sua riserva mentale al momento dell’accettazione.
Sebbene tale possibilità, in diritto canonico appaia astrattamente possibile secondo l’opinione di qualche autore e della giurisprudenza rotale (J.J, Garcia Failde, Simulatio totalis matrimonii canonici et metus, in Periodica, 1983, p. 251), tale dottrina nondimeno sarebbe fortemente criticata poiché rischierebbe di essere arbitraria e, nondimeno, per accertare un fatto occorrerebbe che le presunzioni ex can. 1584-86 fossero sottoposte a severi limiti. Le presunzioni per diventare prove di fatti devono presentare i caratteri di essere: precisa ed urgentes, certa, determinatam e coerenthia, concordantia, evidentia et connexa. In realtà, esaminando le singole argomentazioni riportate da Mons. Viganò, per dimostrare le eresie del Papa attuale, non ci appare che esse abbiamo tali requisiti previsti dal diritto canonico, poichè sono molto generiche, non precise, non concordanti.
L’attuale Papa, nonostante alcune affermazioni e scritti dove ci lascino perplessi sulla sua ortodossia, sembrerebbe che, almeno in via di principio, non abbia voluto cambiare il “depositum fidei”, anche se, nella prassi, in realtà, abbia lasciato dei varchi, prevedendo alcune eccezioni, che potrebbero cambiare la dottrina, trasferendo la responsabilità ai parroci, come nel caso, per es., della esortazione apostolica “Amoris Laetitia”, allorché permette la comunione ai divorziati risposati, dopo un “discernimento” della situazione da parte del parroco. Un altro permesso concesso da papa Francesco sembra quello riconosciuto alla Conferenza episcopale belga, in base al quale, in caso di raggiunta maggioranza, i vescovi belgi possono benedire le coppie omosessuali, sebbene, ultimamente, per mezzo del cardinale Parolin, Papa Francesco sarebbe tornato sui suoi passi riaffermando la dottrina di sempre in materia di sacerdozio femminile e in materia di omosessualità.
Come è facile notare le contraddizioni delle dichiarazioni del Papa non permettono di raggiungere il requisito della concordanza, precisione, coerentia, necessari per considerare la presunzione una prova idonea per provare la riserva mentale di Papa Bergoglio.
Ma se tale argomento può avere maggior consistenza dal punto di vista logico-giuridico specie sulla nullità del matrimonio, sulla nostra questione occorre tenere conto del can. 1442, che può considerarsi come pietra tombale sul tema: tale canone afferma che il Papa sarebbe giudice supremo e nessuna autorità sarebbe superiore a lui per poterlo giudicare.
Spesso chi non è d’accordo sull’operato di Papa Francesco mette in campo argomentazioni inconsistenti per cercare di trovare soluzioni facili o scorciatoie, al fine di uscire fuori dalla confusione, ma Gesù ci ha insegnato che solo entrando dalla porta stretta arriviamo a Lui.
In considerazione dello scarso fondamento in diritto e in fatto delle argomentazioni di Mons. Viganò, le affermazioni del prelato invece di aiutare ad eliminare i dubbi, aggiungono confusione su confusione tra i fedeli, i quali chiedono stabilità, di essere confermati e rassicurati nella fede. Allo scopo la Provvidenza ci ha lasciato la Sacra scrittura, la Tradizione e tanti santi pastori ancora presenti all’interno della Chiesa.

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LA “WANNA MARCHI” DELLA DOTTRINA DELLA FEDE CONTINUA IL PROGRAMMA

Arduino Facezia

Se Fiducia Supplicans ha procurato l’insorgere di mezzo episcopato mondiale, lo scandalo dell’intero laicato cattolico e il diniego di ortodossi, ebrei e mussulmani, il comunicato stampa odierno, 04/01/2024, pubblicato da Tucho Besame Mucho è a dir poco peggiore. Il meccanismo è sempre il medesimo, affermare la dottrina nel primo capitolo e lasciarla contraddire dalle azioni a libera interpretazione nella prassi.


“Gli irregolari” si sentono offesi nell’intelligenza da costoro, perché è evidente a tutti coloro che hanno un quoziente intellettivo medio e la licenza elementare che stanno propinando qualcosa che è talmente nuova, talmente eterea, talmente libera nel discernimento (leggasi ideologia), talmente slegata dalla liturgia della Chiesa, dalla dottrina del Vangelo, dal luogo di culto e persino da una qualche presenza comunitaria che si chiedono cosa realmente sia e soprattutto a nome di chi lo fanno.

Sono talmente confusi (leggasi confusionari) che avviano una riflessione su una cosa assente nel passato, non solo della Chiesa ma dell’intero genere umano, e basata solo sulla visione pastorale (leggasi opinioni) di Bergoglio. Se si fossero affidati alle brillanti tecniche persuasive di Wanna Marchi avrebbero venduto meglio questo amaro intruglio.

Cosa sono infatti queste nuove benedizioni pastorali? Il comunicato le propone come sviluppo circa la dottrina sulle benedizioni, facendo rientrare queste nell’ambito della pietà popolare. Basta! Non cita alcuna fonte. Elenca però le caratteristiche, le più per via negationis: non ritualizzate, non giustificanti, non matrimoniali, non approvanti, non ratificanti, non assolventi, non consacranti, non congratulanti. Esse devono essere una semplice e breve risposta del pastore alla richiesta, definite: ESPRESSIONI DI VICINANZA PASTORALE.

Legittimo chiedersi: ma espressioni di vicinanza da parte di chi? Di Gesù Cristo o delle persone dei preti? Perché il primo già ci è accanto benissimo da 2000 anni, felicemente regnante nella sua Chiesa nei modi che conosciamo e che Lui ha scelto; i secondi invece sono ultimamente molto confusi, e diversi persino maliziosi: non a caso Tucho sottolinea “ministri più liberi, vicini, fecondi […] senza paura di essere fraintesi” (cit.).

Finalmente l’apice della perorazione argentina arriva in grassetto. Viene offerto un caso di scuola per questa benedizione: “Il sacerdote può recitare una semplice orazione […] E conclude con il segno della croce su ciascuno dei due” (cit.)

Recita di parole e gesti dunque: praticamente un esempio classico di rito. Certamente l’assenza del’ “Adjutorium nostrum in nomine Domine” lo rende poco tradizionale, ma non meno ‘rituale’.

È lampante! si tratta dell’ennesimo capolavoro di menzogna che solamente Tucho Besame Mucho e company potevano stillare: raccomandare l’assenza di ritualità offrendo l’esempio di un rito. Dobbiamo rammentare a Sua Eminenza come il principio di non contraddizione però oltre che essere un caposaldo della logica aristotelica è un indicatore di sanità mentale, per cui chi non lo persegue o è pazzo o è falso.

Ma seriamente, chi ha inventato questa sottospecie di stregoneria? Sembra la formula del malocchio: la maga del mio paese in confronto ha una tradizione alle spalle che le garantisce più credibilità di questi imbroglioni di basso rango.

E non sfugga la violenza mafiosa del “liberamente costretti” con cui si rammenta continuamente, a quei pastori che hanno reagito giustamente in coscienza all’abominio liberalizzato, la necessità di questo cammino (il che ci dice che dobbiamo aspettarci altre manovre). La necessità di ciò ben misura il grado di nervosismo che ha procurato all’animo misericordioso e sinodale degli argentini il NO deciso delle periferie. Suona quasi come un ultimatum per chi non intende allinearsi al “nuovo” che deve avanzare.

Ma cari miei le periferie vi hanno fatto tana!!!

Mario Mascia

L’essenza dell’ordine in rapporto con la giustizia

Un connotato della realtà espresso nella sua essenza si riscontra nella funzione dell’ordine. Gli studi delle dottrine umanistiche e scientifiche denotano concetti distinti dell’ordine. Il concetto dell’ordine assume una centralità nel pensiero di San Tommaso fino ad essere citato maestro dell’ordine interiore, la sua è definita filosofia dell’universo. San Tommaso è stato definito il genio dell’ordine e maestro dell’ordine interiore e la sua filosofia è considerata una filosofia dell’universo in quanto esprime una filosofia dell’ordine.

Il termine universo richiama un ordine reale sia nella totalità che nell’unità. L’ordine scaturisce dal concetto di relazione tra le parte riunite in una composizione sistemica per perseguire un determinato fine.
Jérôme Lalande, astronomo francese, enuncia il concetto di ordine: “una delle idee fondamentali della nostra intelligenza comprende nel senso più generale le determinazioni temporali, spaziali, numeriche: le serie, le corrispondenze, le leggi, le cause, i fini, i generi e le specie; l’organizzazione sociale, le norme morali, giuridiche, estetiche, ecc”.
Le parti componenti disposte secondo un ordine preciso sono in relazione tra loro. Il presupposto secondo cui è concepito l’ordine è il principio sia in senso temporale che spaziale. L’ordine temporale riguarda la sequenza degli eventi, l’ordine in senso spaziale riguarda la contiguità dei corpi. La contiguità degli elementi partecipanti al sistema dei corpi viventi per la loro funzionalità sono disposti in una relazione di interdipendenza al di fuori della quale non possono essere concepiti autonomamente tali da perdere la propria funzione. La relazione risulta il cardine del corpo perché sia concepito come sistema sinergico così da esaltare il valore in termini di efficienza, presupposto per perseguire il fine del concepimento.
L’ordine assume il senso predeterminato del collegamento tra i componenti del sistema dinamico rivolto al fine ad esso attribuito. Quale attinenza può riguardare l’assunto dell’ordine nella vita umana se non quella di essere già predeterminato nell’ambito della natura, delle relazioni sociali in cui le norme garantiscono funzionalità ed efficienza. La causa determinante le norme assume un valore fondamentale perché la vita umana sia esprimibile in modo autentico. La causa agente assume quindi un ruolo rilevante nel concepimento dell’ordine per la disposizione degli elementi di un sistema vitale, finché gli effetti derivanti determinino il fine predisposto da principio.
Si tratta inoltre che sia acquisita la consapevolezza che il fine sia allineato all’ordine. La certezza è spiegabile in senso assoluto e relativo. L’intrusione delle variabili nel tempo e nello spazio possono pregiudicare l’ordine dell’equilibrio di un sistema. Il sistema osservato sul piano politico, sociale ed economico di una nazione può mettere in luce un sovvertimento degli equilibri economici e politici di un secolo. La storia mostra i limiti dell’ordine relativo, in quanto non può essere inteso se non in senso univoco che l’umanità non potrà mai concepire autonomamente. Resta l’interrogativo quanto l’ordine della convivenza umana riveste un valore etico nella vita sociale, economica e politica. La risposta rivela una attinenza imprescindibile col principio della giustizia.
L’ordine a cui l’uomo impone un valore fondamentale nella convivenza sociale richiama un principio ideale riconosciuto universalmente. La giustizia presuppone l’ordine nelle relazioni umane in base al riconoscimento dei comportamenti di uno o più individui legati da una attività regolamentata dalla legge. L’attuazione della giustizia richiede delle norme che determinano gli atti vietati in una comunità umana.
Oltre l’aspetto giuridico la giustizia assume un significato naturale che rende doveroso per ogni individuo l’osservanza verso i propri simili dei criteri di giudizio e comportamento conformi al senso di onestà e di correttezza verso il prossimo, in tal senso la giustizia assume un valore etico e non semplicemente normativo. Nel pensiero filosofico il concetto di giustizia ha assunto un significato fondamentale non solo nella vita umana ma soprattutto nella realtà naturale evidenziando la necessità di conservare ogni cosa nel proprio ordine affinché la giustizia possa esprimere un principio naturale di coordinazione e di armonia nei rapporti umani.
La visione di giustizia in Platone è l’armonia tra le facoltà dell’anima e tra le classi dei cittadini in quanto è assegnata ad ogni classe sociale quello che spetta ad ognuno per attuare il proprio compito. Il concetto di giustizia viene evidenziato sul piano dell’uguaglianza da Aristotele in quanto la giustizia include l’essenza della virtù poiché deve rappresentare il mezzo tra un difetto e un eccesso. Il contributo offerto da Platone e Aristotele merita un ulteriore approfondimento sul piano morale per giungere ad una visione autentica. Nelle visione cristiana la giustizia è in relazione con la realtà divina. La giustizia non si riscontra nella natura ma nella volontà di Dio secondo S. Agostino. Sapere quello che è giusto non è necessario per agire con giustizia, pertanto è necessaria la libera partecipazione e il supporto della grazia divina e a tal punto la giustizia si presenta come virtù morale personale.
San Tommaso pone un fondamento importante sulla giustizia definita come la ragione di Dio che governa il mondo. Se la volontà non deriva dalla ragione è solo arbitrio, mentre la legge non può sempre garantire la giustizia. L’uomo in rapporto con Dio non può essere veramente giusto, perché non è in grado di corrispondere quanto è dovuto; inoltre per San Tommaso la religione è la virtù che si unisce alla giustizia. In definitiva il principio della giustizia, da cui deriva l’ordine, non corrisponde ad un principio umano in considerazione dei limiti dell’essere ma è un’esclusiva divina.

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Gabriele Cianfrani:

QUANDO IL FARE PRENDE IL POSTO DELL’ESSERE: una inquadratura teologica

Poco tempo fa, proprio in occasione della cosiddetta festa di Halloween, qualcuno si è premurato di dire che è giusto accogliere tale festa così com’è, anziché continuare con le solite crociate di stampo medievale, che allontanano le persone dalla Chiesa piuttosto che avvicinarle.

Verrebbe da chiedersi per quale motivo il Medioevo debba essere ogni volta criminalizzato e per quale motivo si faccia riferimento alle crociate quasi sempre in maniera spropositata. Ora, questo è un modo per dire che nel mondo odierno troppo spesso si conclude in tal modo: «se le cose stanno così, è giusto che restino così». Infatti, quante volte anche in ambito liturgico si sente dire: «noi facciamo così»; «da noi si usa fare così» ecc., riducendo tutto ad una sorta prassi senza fondamento. Quante volte si sente dire che san Paolo VI si è appellato ai testimoni anziché ai maestri, dal momento che abbiamo più bisogno di testimoni che di maestri? Ciò non è sbagliato, ma il problema sorge nel momento in cui, soprattutto oggi, si preferisce la famosa posizione di matrice protestante out-out (o questo o quello, ossia una posizione di esclusione) anziché la cattolica posizione dell’et-et (e questo e quello, sia questo sia quello, ossia una posizione di inclusione, sempre con la dovuta valutazione). Cosa vuol dire? Vuol dire che nel contesto odierno, anche sul piano teologico, si rischia di sfociare nella posizione dell’out-out, del tipo: o la parte speculativa o la parte pratica, come se ciò che riguarda la speculazione fosse arido, freddo, distaccato dal mondo reale.
Non finisca qua, dacché spesse volte si propende per una sorta di inclusione ‘assoluta’ (assoluto viene da absolutus, ossia «sciolto da tutto», «senza legami»), che corrisponde all’eccesso opposto, col risultato di gettare tutto nello stesso calderone per ottenere una bella zuppa «anonima». Non a caso, oggi, si parla così tanto di «pastorale» da non riuscire nemmeno ad esprimere cosa d’intenda precisamente con tale parola, tanto da risultare «anonima»: una pastorale anonima.
In realtà i due aspetti brevemente accennati (esclusione netta e/o inclusione assoluta) sarebbero le due facce della stessa moneta, perciò il problema risiede, in ultimo, nella moneta stessa. Vediamo di chiarire.
Ciò su cui si insiste molto, soprattutto nel contesto odierno, è la ricerca della pace. Pertanto, occorre impegnarsi per far sì che si raggiunga quella pace tanto desiderata, favorendo il dialogo (assoluto?) e cercando di trovare «accordi». Non importano le chiacchiere e tutti quei discorsi speculativi così distanti dalla realtà, quel che importa è trovare la pace e stare bene con tutti. Obiezione: è giusto impegnarsi per la pace, ma di quale pace si tratta? Semmai si trattasse di una pace raggiunta per mezzo di «accordi», questi sarebbero sempre terreni e destinati a disgregarsi, prima o poi. Alla fine ci ritroveremmo come prima. Ci ritroveremmo in una sorta di pace esclusivamente orizzontale, fondata esclusivamente sull’uomo, sradicata da Colui che è venuto per donarci la Sua pace. A questo punto la pace per la quale ci si impegna non sarebbe altro che una pace «assoluta», sciolta da tutto, anche da Dio: la falsa pace! Certo, dal momento che l’impegno nei confronti della inclusione assoluta comporta, paradossalmente, l’esclusione netta: dall’inclusione assoluta scaturisce quella realtà unica (pensiero unico?) che riconosce solo se stessa e nulla all’infuori di essa. Il primo ad essere escluso è il Signore. Attenzione, la «pace» e il «dialogo» sono di grande importanza, ma la tendenza odierna di assolutizzazione comporta lo svincolamento altrettanto assoluto, prima di tutto nei confronti di Dio. Ed ecco che, come denunciava Ratzinger, oggi si tende a parlare di tutto tranne che di «conversione». Per quale motivo? Semplice, perché la conversione consta di due piani: la conversione interna (μετάνοια), alla quale segue quella esterna (ἐπιστροφή) come manifestazione della prima. Non è possibile separare i due piani, pena la non conversione.
Ora, dal momento che la conversione esterna si pone sul piano del fare, mentre quella interna sul piano dell’essere – occorre che vi sia conversione per poter agire di conseguenza –, e quella interna avviene per l’aiuto della grazia divina, che suppone la natura umana, ne consegue che i due piani devono esserci entrambi e occorre mantenerli uniti, ma al contempo distinti. Non è possibile propendere per l’esclusione netta né per l’inclusione assoluta. Ciò dovrebbe risultare chiaro per un pastore d’anime, dal momento che sono dinamiche insite nel sacramento della Riconciliazione. Ma dal momento che vi è anche lo smarrimento dei sacramenti, viene da chiedersi che tipo di «pastorale» sia quella di oggi…
Ed ecco che oggi si perseguono obiettivi quasi ed esclusivamente sul piano orizzontale del puro fare – si constata spesso l’ossessione del fare esteriore anche nella liturgia, senza contare le grandi feste come il Natale e la Pasqua, ridotte quasi del tutto a quel puro fare consumistico –, perdendo di vista il piano verticale dell’essere. Il risultato? L’anonimato «assoluto».
E cosa sarebbe tutto ciò se non la perdita della ricerca del volto di Dio (De te dixit cor meum: “Exquirite faciem meam!”. Faciem tuam, Domine, exquiram, Sal 27,8)? Quale segno vi è, migliore di quello della Croce, per ripristinare i due piani sopra riportati?
Pertanto, l’assenza della parola «conversione» è il segno distintivo di un Cristianesimo del puro fare, della pura pratica, con l’esclusione dell’essere e della speculazione. Obiezione: semmai si escludesse la speculazione, come si potrebbe rispondere all’invito di Dio di ricercare/scoprire/investigare il Suo volto?

Santo Natale.

Gabriele Cianfrani

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Augustinus Hipponensis

I vescovi e gli altri. Siamo di fronte a dichiarazioni formali di scisma?
Prime reazioni alla Dichiarazione “Fiducia Supplicans” sulla benedizione aliturgica delle coppie irregolari

Con la pubblicazione della Dichiarazione Fiducia Supplicans del 18.12.2023, che abbiamo commentato ieri (il nostro commento, ripreso da Il Pensiero cattolico, è stato, a sua volta, rilanciato anche dal blog Stilum Curiae del giornalista M. Tosatti), non si sono fatte attendere delle chiare prese di posizione da parte di singoli vescovi o conferenze episcopali (per una rassegna generale, cfr. L. Coppen, ‘Fiducia supplicans’: Who’s saying what?, in The Pillar, 19.12.2023; in traduzione italiana, Dichiarazione «Fiducia supplicans» sul senso pastorale delle benedizioni: chi dice cosa?, in blog Messa in latino, 20.12.2023.

Per un’analisi generale del documento, cfr. E. A. Allen, Vatican’s doctrinal czar parses details for enabling same-sex blessings, in Catholic Herald, 18.12.2023; Vatican appears to endorse couples in ‘irregular situations’ receiving blessings that do not ‘validate their status’, ivi. Per un esame canonistico della dichiarazione, cfr. L. Knuffke, Prominent canon lawyer Fr. Murray excoriates new Vatican doc endorsing ‘blessings’ of gay couples, in Lifesitenews, 20.12.2023).

Certo, formalmente, la dottrina non sembra sia stata intaccata. Ciò che sarebbe cambiato, con questo documento, è la prassi pastorale. Fiducia Supplicans insiste con decisione sulla distinzione tra dare una benedizione a una coppia omosessuale e benedire la loro relazione. Certo, chiunque può chiedere una benedizione a un sacerdote; questo non è mai stato in discussione. Quando, però, due persone chiederanno ad un sacerdote di impartire loro una benedizione come coppia, come potrà la Chiesa evitare l’impressione che il sacerdote, in quanto rappresentante della fede cattolica, benedica la loro unione? Senza contare che la benedizione in parola debba essere impartita senza «degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio» (n. 39). La benedizione dovrebbe essere spontanea e non impartita nella forma rituale propria della preghiera liturgica. Ma sicuramente le coppie che si avvicineranno – ammesso che ce ne saranno – a richiedere la benedizione, senz’altro vorranno, in un certo qual modo, solennizzare quel momento – evidentemente importante per loro – con la partecipazione di amici, parenti, e magari anche con in sottofondo la marcia nuziale di Mendelssohn. La Dichiarazione rimette ai pastori la libertà di decidere come rispondere alle richieste delle coppie. Li avverte, nondimeno, di non fare affidamento sugli “schemi dottrinali o disciplinari” («La Chiesa, inoltre, deve rifuggire dall’appoggiare la sua prassi pastorale alla fissità di alcuni schemi dottrinali o disciplinari […]»: n. 25). Insomma, una sorta di invito ad eludere la dottrina, per evitare qualsiasi spiacevolezza che possa sorgere dalla condanna da parte della Chiesa di atti non conformi alla legge divina. Il Dicastero per la Dottrina della Fede, c’è da pensare, permette (incoraggia?), in questo modo, il clero a mantenere una sorta di purezza rituale, affermando che non ha trattato l’unione omosessuale come un matrimonio, mentre agli occhi del mondo ha fatto esattamente questo (così P. Lawler, Vatican’s homosexual ‘blessings’ document invites priests to fudge both doctrine and practice, ivi, 19.12.2023). Continua la lettura su Scuola Ecclesia Mater

Avv. Francesco Patruno

Bergoglio approva la benedizione delle coppie irregolari.
Un documento ambiguo con profili di eterodossia? Un primo commento.

Era il 15 marzo 2021 allorché l’allora Congregazione per la dottrina della Fede, pubblicava un proprio Responsum, risalente al 22.2.2021, nel quale rispondeva al dubbio se la Chiesa disponesse del potere di impartire la benedizione alle unioni di persone dello stesso sesso. La risposta che era data era negativa.

Il Dicastero vaticano, all’epoca presieduto dal card. Luis F. Ladaria, argomentava, nell’allegata Nota esplicativa, che, essendo le benedizioni dei sacramentali (e non dei sacramenti!) richiedono, per coerenza, che, oltre alla retta intenzione di coloro che ne partecipano, «ciò che viene benedetto sia oggettivamente e positivamente ordinato a ricevere e ad esprimere la grazia, in funzione dei disegni di Dio iscritti nella Creazione e pienamente rivelati da Cristo Signore. Sono quindi compatibili con l’essenza della benedizione impartita dalla Chiesa solo quelle realtà che sono di per sé ordinate a servire quei disegni». Per questo, si affermava che non è «lecito impartire una benedizione a relazioni, o a partenariati anche stabili, che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio (vale a dire, fuori dell’unione indissolubile di un uomo e una donna aperta di per sé alla trasmissione della vita), come è il caso delle unioni fra persone dello stesso sesso. La presenza in tali relazioni di elementi positivi, che in sé sono pur da apprezzare e valorizzare, non è comunque in grado di coonestarle e renderle quindi legittimamente oggetto di una benedizione ecclesiale,…. Continua la lettura su Scuola Ecclesia Mater

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Nicola Barile

University of California, Berkeley

Recensione de «La tiara e la loggia» di Gaetano Masciullo

Può un cattolico aderire alla Massoneria? La risposta è ovviamente no, dopo le ripetute condanne della Chiesa: eppure, a suo tempo, la stessa Congregazione per la dottrina della fede, guidata dal cardinale Franjo Šeper (1968-1981), sembrò ammettere questa possibilità (19 luglio 1974), in nome dei tempi che erano cambiati, salvo smentire successivamente questa apertura (1981).

Una storia ancora tutta da approfondire, di cui tuttavia il lettore non troverà traccia nel recente, bel libro di Gaetano Masciullo, La tiara e la loggia. La lotta della Massoneria contro la Chiesa, Fede & cultura, Verona 2023: niente affatto, come si potrebbe dedurre a prima vista dalla lettura del titolo del volume o da una sua veloce scorsa, l’ennesima monografia sui rapporti fra Chiesa e Massoneria che pure, come nel caso della sorprendente apertura del cardinale Šeper, non manca affatto di riservare sorprese e colpi di scena, quanto uno studio condotto appassionatamente per «svelare la macchina cospirativa che è stata ordita nei secoli contro la Chiesa cattolica e che procede ancora oggi», di cui «la Massoneria è stato solo un mezzo per condurre una guerra che è ben più vecchia di quella iniziata nel 1717, l’anno ufficiale di nascita della prima loggia massonica».
Infatti, la fondazione della prima loggia massonica, avvenuta appunto il 24 giugno 1717 in una birreria di Londra ad opera di alcuni misteriosi individui non è avvenuta così, per puro caso ma, al contrario, è stata preceduta da vari e numerosi eventi, niente affatto «mere curiosità storiche», quanto piuttosto «utili indizi» che aiutano a situare nel tempo quell’evento, apparentemente insignificante ma, in realtà, foriero dell’abbraccio mortale che la Massoneria avrebbe riservato alle società di antico regime, oltre che a quelle contemporanee.
La tiara e la loggia documenta con dovizia di date e personaggi come le corporazioni muratorie francesi, inglesi e scozzesi divennero ben presto ricettacoli e scuole di quelle correnti dottrinali e teologiche (gnosi, cabalismo, catarismo ecc.) che si agitavano in modo sotterraneo nell’Europa cattolica, i cui esponenti iniziarono a frequentare, convincendo i primi liberi muratori della bontà delle proprie dottrine erronee e diffondendo contemporaneamente l’odio per la Chiesa cattolica. Con il passare del tempo, anche gli aristocratici furono attratti dagli insegnamenti che venivano impartiti da queste logge di franc-maçons, sicché esse divennero non più ritrovi di architetti e muratori protetti e finanziati da abati e cavalieri, com’era stato fino al medioevo, ma luoghi di incontro fra intellettuali, capaci di costruire sofisticate ma perigliose cattedrali del pensiero, e nuovi patroni e finanziatori, fortemente interessati a capovolgere il dominio cattolico in Europa e nel mondo. Può ben dirsi così che il mondo e la società moderni non sono altro che il frutto di un’iniziazione inconscia da parte delle società segrete, in primis della Massoneria, in funzione anti-cattolica, in cui le libertà individuali, così ben rappresentate dai comuni medievali, hanno ceduto via via il passo alla cura dei bisogni della collettività tipica dello stato moderno.
Lo stato moderno, non più (o meglio, non solo) personificato dal re, divenne caratterizzato, oltre che dalla cura della sicurezza, anche dalla spersonalizzazione del potere, presentandosi come autorità morale, che pretende di auto-fondarsi eticamente, anzi, di essere esso stesso la fonte della morale del popolo che governa; da queste sue caratteristiche, ne seguirono a loro volta altre, che ormai si possono ritrovare oggi in quasi ogni stato, come la gerarchia burocratica, la tendenza all’impero e quella tecnocratica, da cui discendono, a loro volta, la tendenza alla guerra e il controllo della cultura, per finire con l’egualitarismo, l’ingerenza economica e l’uso generalizzato della coercizione.
Non mi è possibile riassumere i duemila anni di storia considerati da La tiara e la loggia, che spazia praticamente dalla nascita delle chiese gnostiche nei primi secoli del cristianesimo a quel «secolo breve» che è stato il Novecento, passando per movimenti come quelli dell’illuminismo francese e del risorgimento italiano di due secoli (il XVIII e il XIX) considerati del «trionfo massonico», ma che riserva anche delle pagine sulla più stretta attualità, come quelle della guerra in Ucraina, ma mi sia consentito richiamare la lezione di Vittorio Messori che anima le sue pagine, quando invitava a «pensare la storia in una prospettiva “cattolica”, nella consapevolezza, data dalla fede, di un enigmatico Piano, di una Provvidenza che tanto nascostamente quanto fermamente guida l’avventura di ogni singolo uomo e dell’umanità».
Alla stessa stregua, il libro di Gaetano Masciullo si occupa di quelle cause invisibili della storia, tra le quali vi è certamente Dio, senza dimenticare che ci sono anche quelle visibili, appartenenti a questo mondo, che remano contro la volontà di Dio: tra queste, la Massoneria, appunto, e tutte quelle società segrete nate nella modernità per realizzare il progetto di un ordine del mondo «nuovo», rispetto a quello «vecchio» del cattolicesimo medievale. Si tratta di un sogno risalente almeno al mondo pagano, quando cioè il poeta latino Virgilio (70-19 a. C.) cantò in un’egloga famosa l’avvento di un nuovo ordine dell’umanità che, nel medioevo, fu identificato con la nascita stessa di Cristo.
Cosa rimane di questo sogno? Non molto, secondo Gaetano Masciullo, in quanto, benché sempre molto attive, «le logge non sono più fiorenti come un tempo (…).
Un ente perde la propria funzione quando è sconfitto da un ente con una funzione opposta, oppure quando raggiunge il proprio fine». Non per questo, però, i pericoli per la Chiesa e per l’uomo sono diminuiti, anzi, per certi versi, si sono fatti più insidiosi perché «Oggi la spada della lotta è stata affidata ad altre entità – per esempio agli stessi uomini di Chiesa che propugnano la teologia modernista – ma noi abbiamo il compito di conoscere la nostra storia, senza le lenti dell’ideologia, e proseguire nella battaglia, la buona battaglia della Fede».

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Un evento da ricordare: L'elezione del papa Martino V Colonna

L’11 novembre 1417 il Conclave, straordinariamente convocato durante il Concilio di Costanza, esaltava al sommo pontificato l’allora cardinale (laico) Oddone Colonna col nome di papa Martino V.

Oddone Colonna, in realtà, benché fosse stato creato cardinale dal papa Innocenzo VII, cui succedette il papa Gregorio XII (al cui conclave, nel 1406, lo stesso Oddone aveva partecipato), non riconosceva alcuna legittimità al papa Correr (che egli stesso aveva votato!), ritenendolo quindi un antipapa, un illegittimo. Al contrario, riteneva quale legittimo pontefice l’antipapa Giovanni XXIII Cossa eletto durante il concilio di Pisa nel 1410. Perché vale la pena ricordarsi di questo papa del XV sec.? Perché egli fu eletto da un conclave sostanzialmente “irregolare”, in quanto sedevano cardinali sia di nomina papale (e quindi legittimi) sia anche pseudo-cardinali, cioè porporati nominati dai due antipapi. Eppure, benché in questo conclave sedessero cardinali legittimi e pseudo-cardinali, da quest’assise fu espressa l’elezione di un papa legittimo. Ad essere precisi, su 23 partecipanti al conclave, i cardinali legittimi erano soltanto 9; gli altri erano tutti di nomina antipapale e quindi pseudo-cardinali. Questi ultimi, è vero, furono confermati e legittimati dal papa Martino V una volta eletto. In particolare, il 26 giugno 1418, papa Martino ricevette la sottomissione dei cardinali nominati dall’antipapa (un vero antipapa) Benedetto XIII. A febbraio 1419, poi, ricevette la sottomissione di Baldassarre Cossa (l’antipapa Giovanni XXIII). Ma, attenzione, si tratta di sottomissioni e conferme ex post, non ex ante l’elezione. Questo dovrebbe dirci molto sull’attuale frangente storico ed a non preoccuparci più di tanto se nel prossimo conclave dovessero sedere cardinali di nomina benedettiana e cardinali di nomina bergogliana, ritenuti – secondo una certa visione – come illegittimi. Alla fine, gli uni e gli altri esprimeranno sempre un papa legittimo. Ecco perché la petizione proposta da alcuni e che sta riscuotendo un certo consenso sui social è del tutto risibile, perché essa si fonda su una prospettiva, non di fede, ma guardando alla Chiesa come fosse un parlamento secolare e dimenticando la Provvidenza di Dio, che non può lasciar sola la SUA Sposa.

Augustinus Hipponensis

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Don Alfredo Morselli

I dubia dei Cardinali: problematiche di una non–risposta

È noto che cinque Cardinali, preoccupati per “le affermazioni di alcuni vescovi, che non sono state né corrette né ritrattate” hanno presentato al Papa cinque dubia, cioè cinque domande in materia di fede , in data 21 Ottobre 2023.
Una prima versione degli stessi quesiti era stata presentata il 10 luglio 2023. La riposta del Papa ai primi dubia è stata immediata (11 luglio 2023). Ma siccome detta risposta non è stata né consona al modo secondo il quale si risponde ai dubia (con un sì o con un no), e neppure esaustiva (in pratica è stata una non-risposta), i Cardinali hanno riformulato le domande e le hanno nuovamente presentate, nella speranza di ottenere dei responsi finalmente adeguati e soddisfacenti.
In seguito a questa nuova richiesta, il Card. Víctor Manuel Fernández ha ottenuto dal Papa il permesso di rispondere utilizzando stralci del precedente scritto: ma questa risposta, più che un chiarimento, è stata un poco elegante copia-incolla. Il neo-prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, infatti, non ha assolutamente tenuto conto della nuova formulazione dei quesiti. Certamente sarebbe opportuna un’analisi completa e approfondita di tutti i quattro dubia e dei relativi responsi . Senza escludere, a Dio piacendo, un prossimo studio più completo, mi propongo, per ora, di analizzare il testo del primo dubium, nonché la corrispondente risposta…

Ettore Gotti Tedeschi:

I DUBBI DUBITATI, MA NON OBLIATI

(riflessione rispettosa ma un po' burlona…)

Da povero economista, certo non teologo (anche se il mio approccio professionale è rigorosamente aristotelico ed ho appreso da San Tommaso d’Aquino e da Benedetto XVI che si devono conoscere le cause prima di risolvere gli effetti), leggendo i Dubia II e le autorevoli risposte agli stessi, mi son un poco preoccupato. Ma, sorpresa! mi son preoccupato per il mio lavoro più che di altro. Che senso devo infatti dare ora al mio lavoro?

Nel mio iphone non c’è una App di auto-discernimento delle mie azioni secondo circostanze e la coscienza può trarre in inganno, anche chi si occupa di economia …
Leggendo infatti le risposte ai Dubia e cercando anche io (come viene ivi suggerito) di contestualizzarle ed interpretarle, son arrivato a intendere che (le ho estese anche ai problemi economici) non ci sono norme morali assolute o atti intrinsecamente riprovevoli, dato che alla fin fine tutto può esser spiegato dalle circostanze e dalle intenzioni. Poi, eventuali eccezioni alle norme son legittimate dalla coscienza… La quale coscienza è scusata dal fatto che ci possono esser tentazioni superiori alle mie forze. Ragazzi! questo è ciò che un uomo d’affari sogna di sentirsi dire….
Essendo io però solo un povero economista con limitata capacità logico filosofica, mi son subito chiesto che valore abbia quindi oggi la mia “volontà” nel formare la mia coscienza, nell’esercitare correttamente il mio Libero Arbitrio, nel cercare di dominare le circostanze e  cercare di vincere le mie tentazioni con ogni mio sforzo. Grazie agli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, che feci per anni, ho cercato per il resto della mia vita di rafforzare proprio questa mia “volontà ”, ma ora mi chiedo:
ho forse perso tempo?
Avendo anche leggicchiato un po’ di storia economica, mi son sovvenuto di Jeremy Bentham (1748-1832) filosofo ed economista inglese (discepolo di Locke e Hobbes), esponente più noto dell’Utilitarismo, dottrina (necessaria alla successiva Rivoluzione Industriale) che spiegava  che nel valutare i comportamenti umani, il principio morale da utilizzare è la “utilità”. Pertanto una azione è lecita o no in funzione di quanto è utile. Il buono diventa ciò che è utile. Lo vuole il mercato. Dal punto di vista comportamentale, in pratica, questa dottrina utilitaristica spiega che non si deve metter limiti al contributo che ognuno può dare ed è pertanto necessario ridimensionare gli obblighi morali ed adattarli alle circostanze, relativizzando l’apprezzamento morale.
Tale dottrina implica anche la inaccettabilità di valutazioni negative su comportamenti o fatti, che, soprattutto la autorità morale considerava intrinsecamente cattive, perché potevano invece esser utili…
Ne consegue l’errore di imporre norme morali irrealizzabili perché avrebbe comportato spreco di risorse. Etico è fare ciò che è utile, più che ciò che si ritenga essere buono. Il bene deve anche essere utile. Nel dialogo soprattutto, è utilissimo farlo credere. Non voglio annoiare santi e teologi con divagazioni che verranno considerate forzate e inappropriate, ma ho qualche dubbio di esser in grado di capire che la Rivelazione divina cui ho cercato (con grande sforzo e certo risultati modesti) di orientare il mio comportamento, possa essere “reinterpretata” grazie al cambiamento climatico che provoca necessari cambiamenti culturali, sociali, economici, morali.
Avrei semmai immaginato il contrario: confermare la Rivelazione, anziché reinterpretarla. Ma testone come sono, fatico a capire che, conseguentemente ai grandi cambiamenti culturali, si debbano anche accettare come buoni, comportamenti che prima erano scoraggiati (forse troppo poco persino…, visto il risultato), oppure che vanno apprezzate azioni, con uno sforzo impensabile da fare, di discernimento. Ma chi sa farlo questo discernimento contestualizzato?
Ma infine, pensando da economista moraleggiante, trovo complesso capire che se qualcuno sbaglia e provoca danni (economici), pur di non fargli venire scrupoli o colpevolizzarlo, devo (quasi fossi un confessore) “assolverlo” per non essere io crudele nei suoi confronti. Ma vorrei anche umilmente raccomandare a chi si occupa di Dubia, di riflettere che se “bene e male” si confondono, e solo ciò che sembra utile è anche bene e buono, si rischia di scoprire, troppo tardi, che fare il male-utile (tutto da discernere naturalmente…) rende economicamente più che fare il bene. E scoprendo ciò il rischio è che ci si domandi perché mai si dovrebbe fare il bene (se in più la Rivelazione è in evoluzione e magari domani si scopre che premio o castigo, non ci sono).
Mi è venuto questo dubbio. Perciò rivendico la facoltà di “obiezione di coscienza” morale per gli economisti.
O sbaglio?

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