Il Pensiero Cattolico

8 Novembre 2024

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LA MOSTRA DI CARPI “OFFENSIO PLENA”

don Giuseppe Agnello

La prudenza bíblica è un dono di grande utilità nel pensare, nell’agire, e nel parlare (Cfr Sap 8, 6-13), che non dovrebbe mancare in uòmini di Dio, a maggiόr ragione se dotati di grandi responsabilità nel diàlogo con il mondo contemporàneo.

Una cosa senz’altro sàggia e schietta sarebbe il non farsi trascinare nel solo punto di vista dell’interlocutore, ma di conservare il pròprio punto di vista di credenti, perché in caso contràrio si diventa còmplici di aberrazioni di pensiero e di azione, che prèndono forza dall’ingenuità o ignoranza colpévole di chi li ha permessi. Tutto questo è mancato nella mostra che dal 2 Marzo 2024 si è inaugurata nella chiesa di Sant’Ignàzio di Carpi, sede del Museo diocesano; e che vuole avér tèrmine il 2 Giugno 2024, ma che speriamo vivamente finisca prima. Si frontéggiano, come ben sapete due visioni della realtà. La prima è quella del pittore Andrea Saltini, autore delle 20 tele, sostenuto dalla persona del vicàrio episcopale don Carlo Bellini, che definisce le sue òpere «intrise di spiritualità»; e sostenuto dalla crítica d’arte Cristina Múccioli, che le chiama «evocazioni misericordiose (di chi si accora le misèrie altrui sapèndole anche pròprie), convocate e accolte senza esclusioni igiènicoestètiche». In questa posizione non c’è il cattolicésimo dell’autore, il quale ha sí una sua ricerca del mistero, ma non nell’incontro primàrio con Dio, bensí con la misèria che lo fa soffrire. Egli stesso lo ammette: «Penso che la sèrie Gratia plena ruoti intorno alla ruota dell’uomo e al bisogno, in qualche modo, di trascèndere la nostra soffernza. In realtà non si límita a parlare di questa lotta; è, in sé, evidenza di questa lotta».

L’altra visione della realtà è quella degli scandalizzati da questa mostra e dalle roboanti presentazioni e lodi sul suo contenuto, dal luogo che la òspita e dalla diòcesi che la contínua a presentare come arte sacra, non vedendo la blasfemia del quadro INRI, che è la punta del borgognone. Questa posizione riposa su tre capisaldi dell’arte sacra: il soggetto sacro, la sua rappresentazione chiara del mistero di cui parla, e la glòria che si deve dare a Dio attraverso forme, matèria e colori. E di tutti e tre resta garante la fede cattòlica dell’artista, perché «l’uomo, senza la fede, non può piacere a Dio» (Cfr Eb 11, v.6) e «la vera fede è útile a tutto» (1 Tim 4, v.8), o, come si legge nella precedente traduzione CEI74: «la pietà è útile a tutto». Fede e pietà, dunque, sono necessarî all’arte sacra: fede nel mistero di Cristo integrale (perché la Chiesa si è impegnata sempre nella stòria a combàttere le eresie che intaccàvano il mistero di Cristo); e pietà come rapporto filiale col Padre, come dono dello Spírito Santo.

Dunque la nostra riflessione non è una riflessione sull’arte in gènere o su quella contemporànea, o sulle scelte diocesane di questa o quella diòcesi, che pure in questo caso ci tocca affrontare; ma sull’arte sacra, affinché nessuno cerchi fόglie di fico per coprire la vergogna di ciò che è successo. La fede dell’artista di arte sacra non è il deismo, non è una spiritualità confusa o un’antropològia àtea, ma deve èssere la fede della Chiesa (quella contenuta nel Credo e nel Catechismo della Chiesa Cattòlica), anche se l’artista si riconosce peccatore e pieno di misèrie. Il soggetto dell’arte sacra quindi non può èssere un’allusione alla stòria sacra o un títolo che la richiama, ma un riflesso o rappresentazione del Logos che si è fatto carne, o è stato prefigurato nell’Antico Testamento; senza altri veli rispetto a quello della stòria precedente all’Incarnazione, e senza travalicare la stòria nota e rivelata con reintepretazioni bizzarre o blasfeme: altrimenti l’òpera d’arte non sarà capita, potrà èssere fraintesa, e potrà èssere pure blasfema (con o senza l’intenzione dell’autore). Le attualizzazioni hanno sempre un límite: l’immaginàrio collettivo. E l’immaginàrio collettivo dei fedeli ha sempre una garanzia: la tradizione della Chiesa. Senza il límite e contro ogni garanzia di cattolicità, elementi consegnàtici dalla stòria sacra, il sensus fidei si ribella alle falsificazioni íntellèttualístiche, come è successo a Carpi. Ragiόn per cui, se anche si vuole assόlvere l’artista, non si pòssono scusare gli organizzatori, anche solo per il fatto che non si onora Dio contraddicendo la stòria e la fede, e nemmeno dando all’arte licenze che non può avere, quando è sacra. La Sacra Scrittura insegna che «chi custodisce un fico, ne màngia i frutti, chi ha cura del suo padrone ne riceverà onori» (Pr 27, v.18). Parole rivolte a chi crede che il fico è la conoscenza e il padrone è Dio, per cui non si può nell’arte sacra indúlgere sull’ignoranza e non avere cura dell’onore di Dio, spècie in chiesa. Questo è invece accaduto a Carpi, non solo per la questione del quadro senza perizònio e con la testa di Longino sulle pudenda del Signore. La mancanza del panno della purezza ha un suo precedente nel Crocifisso di Michelàngelo a Firenze, ma questa scelta isolata dell’iconografia sacra si spiega con lo studio anatòmico che l’artista stava facendo a quel tempo mentre era òspite del priore di un convento, tant’è che Michelàngelo stesso lo volle coperto e coperto rimase per sècoli. E dovrebbe ritornare ad èsserlo! Qui a Carpi siamo andati oltre, con pose, vesti, gesti ambígui, antistòrici, chiusi alla preghiera che l’arte sacra deve suscitare, e infine blasfemi. Ci scandalizza che dietro la frase di frà Cristòforo, che è poi citazione della Léttera a Tito: «Tutto è puro per i puri» (Cfr Tt 1, v.15), si vòglia risòlvere la questione, a rimpròvero dell’osservatore e a discolpa di tutti gli altri.

Sarebbe bene, per chi vuole valorizzare l’arte sacra, studiare le vite e l’arte di Giotto, del beato Angèlico, del servo di Dio frà Clàudio Granzotto, e del grande architetto della Sagrada Família Antònio Gaudí. In altri e piú famosi artisti possiamo trovare il gènio, la bellezza e la fedeltà rappresentativa dell’evento cristiano, ma in essi troviamo anche la premessa necessària all’arte sacra: l’umiltà, la preghiera, la penitenza che accompàgnano lo stúdio e l’esecuzione. Da esse derívano l’igiene estètico dell’òpera e anche la comunicazione esatta tra contenuto dell’òpera e attesa del credente. Il professόr Granzotto, prima ancora di diventare frate, diceva: «A me piace l’arte e l’Arte Sacra. Per questo mi tengo lontano da ogni dissipazione: non frequento osteria, mi sforzo di mantenermi buono. Se non si è buoni e raccolti non si può far dell’Arte Sacra. Bisogna sentire ed è allora che si può trasfòndere nel marmo il buono e il bello».

Ma torniamo alla mostra di Carpi e a come persino Agensir.it títoli: «Nessuna immàgine blasfema e dissacrante»; e vediamo a títolo di esempî, alcune delle òpere del Saltini, tenendo presente ciò che dice l’autore e ciò che vediamo noi. L’autore, per lo piú si propone una rilettura in chiave contemporànea del Caravàggio, e nel quadro “Pescatore di uòmini” ci riesce. Un san Pietro deposto nell’acqua, però, ha bisogno di mille spiegazioni per legare armonicamente l’intento dell’autore di un ritorno all’orígine della chiamata; il rapporto tra l’acqua che lo accòglie morto e l’acqua che lo vedeva vivo; la fede di chi deve pensare contemporaneamente al Pietro stòrico, a quello del Caravàggio citato e del Saltini che lo cita. Ad ogni modo, qui, la citazione del Merici, conserva al santo il perizònio che sarà tolto a Gesú.

Altra òpera: “San Giovanni Battista”, mezzobusto visto di spalle e nudo, su fondo nero, con la pelle rosso fuoco, ma il collo e il volto colór incarnato, ha il capo chino, mentre riceve lapilli nella notte, che l’autore ci spiega sono, come in molti altri quadri, «Segni gràfici accennati che vògliono rimandare sempre alla presenza dello Spírito Santo». Il pellerossa a metà è spiegato come màrtire consapévole, ma senza la didascalia dell’autore non c’è nulla della descrizione dei Vangeli che ce lo possa fare riconόscere come il Precursore. Sembra un giόvane ballerino in tuta rossa anatòmica, che, cogitabondo e pronto a ballare, riceve una gragnuola di lamelle d’oro o di luce, come nella finale del serale di “Amici” succede al vincitore. Da questo quadro risulta ancora piú chiaro che le didascalie bàstano se sono radicate nella realtà, altrimenti a poco serve una scritta che chiama “San Giovanni [in Laterano]” il San Giovanni Battista di Giovanni Micheluccî, sull’autostrada del Sole presso Firenze.

Il quadro “Non crederò” «è molto caro all’autore» perché ha una dòppia prospettiva: può èssere san Tommaso «che finalmente crede e si apre all’amore»; e può èssere Gesú, «che espone il petto, la ferita a noi». Come fa la stessa persona a somigliare a entrambi e a parlare di entrambi? Somigliando all’uomo della Denim che si sta svestendo o rivestendo, e ci dice il suo status: “Non crederò”.

Il quadro “Natanaele…un israelita in cui non c’è falsità” proségue, acutizzando il tutto, la rappresentazione dell’immaginàrio dell’autore: mezzobusto nudo e frontale di un giovinetto con uno strano sombrero a tre anelli, ma che guarda al cielo. “Paràclito”, invece, porta solo il nome della terza persona della Trinità, perché ad èssere rappresentato è un astronàuta che abbràccia un ammalato, visto che la salvezza la si può aspettare solo dallo spàzio. E se cosí è trattato il Divino Amore, che ne sarà della beata Vérgine Maria?

Nel tríttico “Gratia plena” è vestita come una cubista che ha scelto vesti bianche anziché nere, o come una modella di Thierry Mugler che è palpata e annusata, e passata al microscòpio di sguardi farisàici da una plètora di uòmini che la oggettivízzano. Come vedete, e spero che abbiate sotto gli occhî i quadri di cui parlo, l’arte contemporànea non può (costitutivamente) èssere arte sacra, ma solo a soggetto religioso, con tutte le varianti àntistòriche, àntidommàtiche, àntiuniversàli, antirazionali, e pure blasfeme, già viste. E veniamo a questo punto alla blasfemia piú evidente: il quadro “INRI (San Longino)”. Gesú è Gesú solo per la visibilità delle stímmate a piedi e mani, perché poi ha il corpo e il volto puliti di un efebo: niente ferite, niente ematomi, niente barba. È disteso a terra su un pavimento scuríssimo, confortato solo da un lenzuolo raggrinzato all’altezza del tronco, che non si capisce se è il lenzuolo con cui è stato calato dalla croce o ciò che resta di un letto movimentato. Longino non veste da soldato, non ha la lància né elmo in testa, ma «la mano che preme verso il costato è secondo l’interpretazione dell’autore il símbolo, l’atto stesso che identifica il personàggio – soggetto principale dell’òpera: San Longino. NOTA: il pezzo è stato pensato e si sviluppa orizzontalmente (come raffigurato sul catàlogo) dal momento che la prospettiva è stata creata dall’autore con un punto di vista dall’alto». Poi però il quadro si còlloca verticalmente; lo fa l’autore, aggiungendo altra spiegazione. Risultato? La prospettiva aèrea dell’efebo deposto, con un Longino riverso sul suo corpo e con la fàccia sulle pudenda senza perizònio; con la mano sinistra premente la pància del deposto e la destra che scompare in mezzo alle gambe aperte del giόvane. Uno che guarda sta scena che deve pensare? Se siamo davanti a Gesú e a san Longino, c’è la blasfemia o il “vitupèrio di cadàvere”, come qualcuno dice pensando alla fellatio in corso. Se non sono Gesú e nemmeno san Longino, INRI allora signífica: «Idioti! Non riconoscete “Illos”?». No, quando si perde il contatto con la realtà. L’arte contemporànea non è esente da questa règola: se vuol fare di testa sua e come le piace, non si difenda dietro il dito se poi cade nella blasfemia, perché qui nessuno è scemo. Concludo con un anèddoto contenuto nel Diàrio di Giovanni Papini, in data 11 Febbràio 1947: «Un certo Cristofanelli, di Roma, architetto, viene a lèggermi alcune pàgine di un diàrio immaginàrio di Michelàngiolo, scritto nel gergo di un mediocre giornalista del Novecento, senza pensieri alti e nuovi, con scarsa esattezza stòrica. Gli dico schiettamente il parèr mio e costui quasi si arràbbia, sicuro comè di avér letto tutto quel che si riferisce a Michelàngiolo e d’èssere un ecclellente scrittore. Debbo rattenermi per non dirgli quel che mèrita, cioè che il suo libro è penosa e ingiuriosa profanazione di un gènio ch’egli mostra di non avér compreso. Ma questi principianti quanto piú sono mediocri, tanto piú sono presuntuosi».

Lo stesso si potrebbe dire di me che commento Andrea Saltini, ma ricordi il Saltini e tutta la diòcesi di Carpi che nostro Signore Gesú Cristo è piú grande di tutti ed è «degno di ricévere…onore, glòria e benedizione» (Ap 5, v.12)

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S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

12 Marzo 2024: Prima Riflessione

Fratelli e sorelle in Cristo, prendete in considerazione la prima apparizione di Nostra Signora a San Juan Diego sul Tepeyac. Meditando questa storia, rimaniamo colpiti da quanto affascinante, assolutamente bella e sorprendente essa sia. Quale genuina e, forse, spaventosa sorpresa dev’essere stata questa prima apparizione per San Juan Diego. Chi era lui perché Maria, la Madre di Dio, gli apparisse? Perché avrebbe dovuto Lei invitarlo, tra tutte le persone, a cooperare al piano di Dio in una maniera così unica?

Eppure, nel caso del fedele messaggero di Maria, San Juan Diego, questa sorpresa sboccia in un coraggioso assenso alla volontà di Dio.
Quanto immenso e veramente formidabile dev’essere sembrato il piano di Maria al povero San Juan Diego. Tuttavia, egli accettò questa disposizione da Nostra Signora. Se riflettiamo onestamente e devotamente su quanto siano benedette dalla grazia le nostre vite, ne rimaniamo sorpresi?
Dovremmo!
Le occasioni della grazia che Dio ci dona ogni giorno sono davvero innumerevoli. Maria ti chiede, nei mesi a venire, di avvicinarti al suo Figlio Divino.
Chiediamo a Maria di ottenerci il coraggio di aderire al suo gioioso piano.

Preghiamo…

Tutte le meditazioni della Novena a Nostra Signora di Guadalupe

Eleonora Casulli

LA DONNA NEL GIUDEO-CRISTIANESIMO E NELLA CHIESA CATTOLICA

NON SI PUÒ CHE PARTIRE DALLA GENESI, MA…

I nostri tempi sono caratterizzati da una costante e pressante presenza della «questione femminile»[1] genericamente intesa, ridotta il più delle volte alla riproposizione sempre più insistente dei temi cari al movimento femminista occidentale[2] degli anni ’60-’70, con conseguente messa ai margini e linciaggio (spesso non solo mediatico) di chi prova a mettere in discussione ciò che ormai si vorrebbe fossero il pensiero e le prassi dominanti, politicamente corretti, indiscutibilmente unici.

Di fatto così non è. Da più parti ci si è resi conto in questi decenni degli errori e delle storture derivati da quella che è stata vissuta allora come «liberazione, riscatto, risarcimento» conseguenti a una condizione femminile che si percepiva caratterizzata da inferiorità su tutti i fronti rispetto al mondo maschile; da più parti ci si è resi conto che, insieme alle giuste rivendicazioni motivate dalla realtà dell’epoca e delle epoche precedenti, sono passate e si sono radicate nel pensiero e nel vivere comune ideologie tutt’altro che liberatorie per le donne, che hanno generato nuove e sempre più gravi forme di svalutazione, negazione della dignità, sottomissione, schiavitù. Considero questo uno dei grandi inganni del nostro tempo, che da più parti viene perpetrato a scapito delle bambine, delle ragazze, delle donne e delle famiglie: far passare come diritto, riscatto, dignità, libertà ciò che è l’esatto opposto di questi concetti.
Il Cristianesimo e la Chiesa, soprattutto Cattolica, sono stati tirati in ballo già dall’inizio e vengono ancora tirati in ballo in questo ingannevole gioco, attraverso le accuse via via a loro rivolte: maschilismo, patriarcato, sessuofobia, omofobia, transfobia. A Cristianesimo e Chiesa è stata attribuita da subito la parte dei «carnefici» e del «bersaglio facile» in questo triste gioco, poiché si ritiene che queste caratteristiche (maschilismo, patriarcato, ecc.) facciano parte dell’essenza stessa del giudeo-cristianesimo e si siano concretizzate e radicate nel mondo occidentale proprio grazie all’azione e all’influenza della Chiesa, riconosciuta (ma in negativo!) come perno attorno al quale si è sviluppata per secoli la civiltà dell’Occidente. Niente di più ingannevole e lontano dalla realtà.
Questo breve e non esaustivo excursus accenna alle problematiche a livello extraecclesiale, che incontriamo nella società dei popoli, fuori dalla Chiesa. Purtroppo, la questione femminile contempla diversi aspetti problematici anche a livello intraecclesiale (nelle dinamiche interne della Chiesa Cattolica), e negli ultimi tempi essi stanno assumendo connotazioni sempre più esplicite, minacciose, dolorose (dalla Bibbia Queer al dibattito sul diaconato femminile, passando per mariologie piuttosto fantasiose).[3]
Per liberarsi da questo inganno ed evitare di cadere in taluni tranelli, la via è soltanto una: la cultura cattolica, il fare ed essere Scuola. Si tratta come sempre di interessarsi, documentarsi, studiare e approfondire, per smascherare le sempre più numerose, potenti e risonanti mistificazioni della realtà che hanno portato in pochi decenni la questione femminile (che esiste e non si può negare, ma è ben diversa dal femminismo e dalle sue rivendicazioni) a prendere pieghe tutt’altro che favorevoli, liberanti e valorizzanti la dignità della donna.
In questo percorso, nelle mie intenzioni piuttosto lungo, non si può che partire dalla Genesi: proprio perché le accuse e le mistificazioni partono da «problematiche» percepite come radicali, bisogna andare alla radice. Per questo motivo ho voluto eplicitare anche nel titolo che le radici sono giudeo-cristiane. Sarà per me una guida sicura l’impareggiabile (a mio parere) Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem del Santo Padre Giovanni Paolo II, datata 1988 ma quantomai attuale e bisognosa di essere riscoperta.[4]
I passi della Genesi che interessano questo argomento sono: Genesi 1, 27 (primo racconto della creazione dell’uomo); Genesi 2, 18-25 (seconda descrizione della creazione dell’uomo); Genesi 3 (il peccato originale e le sue conseguenze sul genere umano), con particolare attenzione a Genesi 3, 15 (primo annuncio della vittoria finale sul male).
Tuttavia, poiché il mio prossimo intervento sarà sicuramente collocato nel tempo di Pasqua, desidero esordire parlando delle donne prime testimoni del Risorto e di Maria di Magdala “apostola degli apostoli”,[5] per poi tornare in qualche modo alle origini ripartendo dai racconti della Genesi.

________________________________
[1] “La nozione di questione femminile designa normalmente le condizioni concrete di esistenza delle donne nei diversi contesti sociali: mondo del lavoro, istruzione, famiglia e cultura”.
https://www.skuola.net/storia-contemporanea/questione-femminile.html

[2]Il dizionario telematico Oxford Language, utilizzato da Google, suggerisce questa sintetica ed esaustiva definizione di Femminismo: “Storicamente, il movimento diretto a conquistare per la donna la parità dei diritti nei rapporti civili, economici, giuridici, politici e sociali rispetto all’uomo: le prime manifestazioni del f. risalgono al tardo Illuminismo e alla Rivoluzione francese; estens., il movimento, ampio e articolato, che tende a porre l’accento sull’antagonismo donna/uomo, nel sociale come nel privato, e a realizzare una profonda trasformazione culturale e politica, riscoprendo valori e ruoli femminili in senso antitradizionale”. L’aggettivo «antitradizionale» la dice lunga, motivo per cui ho preferito questa ad altre definizioni.

[3] Cfr. https://www.iltimone.org/news-timone/arriva-la-bibbia-queer-ed-e-subito-inclusione-e-caos/
https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-01/dcm-001/c-e-posto-nella-tenda.html

[4]Testo completo su https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_letters/1988/documents/hf_jp-ii_apl_19880815_mulieris-dignitatem.html

[5]Mulieris Dignitatem, n. 16

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Don Nicola Bux

NON ESISTONO BENEDIZIONI NON LITURGICHE

Vatican News del 27 febbraio 2024, ha pubblicato l’articolo: Fiducia supplicans, benedizioni non liturgiche e quella distinzione di Ratzinger. Il titolo accosta la recente Dichiarazione, ad alcuni passaggi contenuti nell’Istruzione Ardens Felicitatis del 14 settembre 2000, promulgata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, prefetto il cardinal Ratzinger, con oggetto le preghiere per ottenere da Dio la guarigione. Quel documento nasceva dalla necessità di mettere ordine nella confusione di quegli anni, circa i raduni di preghiera e il carisma di guarigione.

L’accostamento che l’articolo di Vatican News fa, tra le preghiere di cui parla l’Istruzione Ardens Felicitatis e le benedizioni di Fiducia Supplicans è del tutto errato. La preghiera è una domanda insistente, come la parola stessa indica, la benedizione è una formula di approvazione – bene dicere – dall’alto, cioè da parte di Dio. Il buon pastore, a cui accenna l’articolo, che non si dà pace finché non trova la pecorella smarrita, non va a benedire la pecora perché si è smarrita, ma a prenderla sulle spalle per riportarla all’ovile, non senza farle intendere che è andata fuori strada.

Ma torniamo all’Istruzione. Sin dal titolo: Instructio de orationibus ad obtinendam a Deo sanationem (sulle preghiere per ottenere da Dio la guarigione), spiega l’obbiettivo: invocare la liberazione dal male corporale e spirituale. Nessuna preghiera può essere fatta a Dio per confermare lo stato di peccato in cui si fosse caduti. Infatti, il desiderio di felicità insito nel cuore umano, si unisce sempre con la volontà di ottenere la liberazione dalle malattie e di comprenderne il senso, quando se ne fa esperienza.

L’Istruzione Ardens Felicitatis, interveniva pure a disciplinare la novità crescente di raduni di preghiera, che si uniscono a celebrazioni liturgiche finalizzate ad implorare da Dio la guarigione. In casi non del tutto rari, si diffonde la voce di avvenute guarigioni; in tal modo, cresce l’aspettativa di ciò, e l’interesse per tali raduni. In tale contesto, si fa appello ad un opinabile carisma di guarigione. Raduni di questo tipo, indetti per ottenere guarigione, suscitano domande su come li valuti l’autorità ecclesiastica, in specie riguardo all’aspetto liturgico su cui essa deve vigilare e dare norme, affinché sia disciplinato rettamente. A tal fine, l’Istruzione premette la parte dottrinale riguardante le grazie di guarigione e le preghiere per ottenerle. Innanzitutto, il significato della malattia e della guarigione nell’economia della salvezza. Nell’Antico Testamento, il malato che implora da Dio la guarigione, riconosce che a causa dei suoi peccati è afflitto da giuste pene. Ma la malattia affligge anche il giusto, e l’uomo chiede a Dio ragione di ciò: è celebre il caso di Giobbe. Questi è figura di Gesù Cristo, della cui passione, secondo l’Apostolo, l’uomo può essere partecipe col suo dolore e persino gioire (Col 1,24): a tal punto, il Nuovo Testamento eleva la sofferenza.

In secondo luogo, l’Istruzione, presenta il desiderio di guarigione e la preghiera per ottenerla. Dopo che il malato ha accettato la volontà di Dio, è pienamente umano il suo desiderio di riacquistare la salute; non deve abbattersi ma pregare, e il Signore lo curerà. Il documento non si limita alla preghiera di guarigione da parte di ogni singolo fedele per sé e per gli altri, ma ricorda che la Chiesa eleva questa preghiera, specialmente mediante l’Unzione dei malati, che allevia e può anche guarire dal male fisico e psichico, per l’efficacia del sacramento, che è un annunzio di risurrezione. L’Epistola di Giacomo, infatti, mostra come la preghiera dell’unzione non è semplicemente ‘per’ ma ‘sull’infermo’, cioè si tratta di un’azione efficace, come ha definito il concilio di Trento.

Il documento presenta altri tre aspetti: Gesù stesso ha esercitato il carisma di guarigione, dono dello Spirito che viene concesso pure ad alcuni fedeli; le preghiere di guarigione nella tradizione e il carisma di guarigione nell’attuale contesto.

La seconda parte dell’Istruzione, presenta le disposizioni disciplinari. L’art. 2: Le preghiere per ottenere la guarigione – sottolinea – si chiamano liturgiche se si trovano nei libri liturgici approvati, altrimenti sono preghiere spontanee (a proposito di queste devono restare distinte dalle liturgiche e non si devono confondere con quelle: cfr. anche art.5, §1 e 2). Quindi non sono benedizioni, e non hanno efficacia, soprattutto se il fedele non vuol abbandonare lo stato di peccato. Anche il riferimento all’Ordo benedictionis infirmorum, presente nel Rituale Romanum, nel punto 2 dell’Istruzione, riguarda “i testi eucologici”, cioè le preghiere di guarigione in esso contenute, non le formule di benedizione che costituiscono invece il sacramentale vero e proprio; si noti la disposizione dell’art.8 § 2, sulla necessità di tenere distinte le preghiere di esorcismo dalle celebrazioni per ottenere la guarigione, sia liturgiche che non. Dunque, l’articolo di Vatican News incorre in una clamorosa svista, chiamando in causa Ratzinger.

In nessun punto dell’Istruzione si parla di benedizioni. Se si vuole, la distinzione tra preghiere ‘per ottenere’ e benedizioni ‘che ottengono’, è analoga a quella che la liturgia orientale fa tra formule deprecatorie e formule dichiarative. Conviene chiarire poi, che ‘liturgico’ (dal greco: azione del popolo santo) è il culto pubblico della Chiesa, popolo di Dio adunato nel Nome della Trinità; ‘non liturgico’, invece, è l’esercizio di pietà che il singolo fedele fa’ da solo o con altri, ma non coinvolge la Chiesa e necessita la di lei vigilanza, affinché non scivoli in isterismi, artifizi, spettacoli (cfr. art 5, § 3). La liturgia e la pietà privata sono ordinate l’un l’altra, ma non vanno confuse.

Infine, conviene affermare che la benedizione, in ebraico berakah, quale atto spirituale e sacro, fa memoria, loda la presenza di Dio e intercede, affinché la sua potenza discenda sulla persona o sull’oggetto e li santifichi; presenza e discesa possono essere ricondotte rispettivamente a Cristo e allo Spirito Santo: come, nei sacramenti, l’anamnesi e l’epiclesi. La benedizione nutre ed esprime la fede, attraverso il segno di croce e l’aspersione dell’acqua benedetta. La benedizione è un sacramentale, cioè una estensione della grazia del sacramento, che per essere ricevuta esige la buona disposizione a ricevere l’effetto principale del sacramento a cui è ordinato (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, a. 1667).

Premesso che la benedizione non è compatibile con uno stato di peccato – non si può benedire ciò che disgrega, consuma, distrugge – a quale sacramento è ordinata la benedizione di una coppia irregolare? Non è vero che la benedizione non promuove e non giustifica nulla, perché essa promuove implicitamente gli “atti disordinati” e la pseudo unione. Nel testo di Fiducia Supplicans, ricorre esplicitamente sette volte l’espressione “benedizioni di coppie dello stesso sesso”: ma di uno stesso sesso non esiste coppia, perché sono simili, e i simili fanno un paio, non una coppia.

Dunque, non esiste una benedizione che non sia liturgica, quando è fatta da un ministro ordinato, che esercita il munus sanctificandi con e nella sacra liturgia, a nome della Chiesa. L’articolo di Vatican News, dunque, è ingannevole e costituisce una spudorata falsificazione, forse con l’intento di piacere a corte.

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S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

"Gesù è lo stesso ieri, oggi e domani"

Omelia Dominica in Quinquagesima

Mentre facciamo gli ultimi preparativi per il tempo di Quaresima, la Chiesa ci invita a riflettere sulla Passione di Nostro Signore. Nel Vangelo, Nostro Signore annuncia agli Apostoli la sua imminente morte e risurrezione:


Ecco, noi andiamo a Gerusalemme, e tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo si compirà. Sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà.(1)

Nostro Signore chiarisce che il culmine del suo ministero pubblico non sarà la vittoria dei suoi nemici, la vittoria del mondo in ribellione contro il suo Creatore, ma, piuttosto, il compimento del piano d’amore di Dio per la salvezza dell’uomo, come era stato insegnato dai Profeti. Sarà la vittoria dell’Amore divino sul peccato e sul suo frutto – la morte eterna -, attraverso la via della sua sofferenza e della sua morte, abbracciata con piena fiducia nelle promesse di Dio Padre. La vittoria sarà ottenuta per la via della Croce.
La via crucis è costitutiva dell’opera di salvezza di Nostro Signore. È costitutiva della nostra vita in Cristo, come acclamiamo nell’inno Vexilla Regis di San Venanzio Fortunato: “O Crux, ave, spes unica” (“Ave, o Croce, nostra unica speranza”)(2). In un precedente annuncio della sua Passione e Morte, in occasione della professione di fede di San Pietro, subito dopo aver dichiarato: “Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno”(3), dichiarò: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”(4). Il tempo di Quaresima, in cui stiamo per entrare, è il nostro tempo annuale per meditare sul Mistero della Croce e per fortificarci, attraverso le pratiche antiche e collaudate della preghiera, del digiuno e dell’elemosina, per portare fedelmente, ogni giorno, la Croce con Nostro Signore.
Il Vangelo di oggi, dopo aver raccontato l’annuncio della Passione e Morte di Nostro Signore, ci dice che gli Apostoli “non compresero nulla di tutto questo”(5). Ricordiamo anche come Nostro Signore dovette rimproverare severamente San Pietro che, al momento della sua professione di fede a Cesarea di Filippo, quando Nostro Signore annunciò la sua Passione e Morte, rispose: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai.”(6) Nostro Signore identificò chiaramente l’origine del pensiero di San Pietro: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”(7). La risposta di San Pietro riflette la costante tentazione proveniente dal mondo, da Satana, di fronte alla sofferenza, all’offerta della propria vita, che è la forma quotidiana della nostra vita in Cristo. San Paolo, nel bellissimo inno all’amore divino della Lettera di oggi, ci insegna che la carità “tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”(8).
Quante volte sentiamo dire oggi che la Chiesa non è al passo coi tempi, che la Chiesa deve dialogare con il mondo, che la Chiesa deve trovare un compromesso con il mondo. No, la Chiesa non è indietro con i tempi, perché “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre”(9).Ciò di cui il mondo ha bisogno dalla Chiesa è Cristo, il suo insegnamento salvifico e i suoi sacramenti. Sì, la missione della Chiesa come Corpo Mistico di Cristo è quella di portare al mondo Cristo, che è la nostra unica salvezza, senza scendere a compromessi con il mondo, ma chiamando il mondo alla conversione, come fece il Signore stesso fin dal primo momento del suo ministero pubblico, quando dichiarò: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”(10). Quando fu processato davanti a Ponzio Pilato per essere condannato alla morte in croce, Nostro Signore chiarì la missione della sua incarnazione redentrice, la sua missione di Re del cielo e della terra: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità”(11). La sua Passione e Morte è stata la sua ultima testimonianza della verità, che ha portato alla sua Risurrezione e Ascensione, alla vittoria della Verità e dell’Amore divini.
Salito alla destra del Padre, dal suo Cuore glorioso trafitto Nostro Signore ha effuso sulla Chiesa i sette doni dello Spirito Santo. Dal suo Sacratissimo Cuore, Cristo effonde nei cuori dei membri del Corpo Mistico di Cristo la setteforma grazia dello Spirito Santo, il Septenarium sacrum, per ispirarli e guidarli a prendere quotidianamente la Croce per la loro salvezza eterna, per la salvezza del mondo. Mentre ci prepariamo al tempo di Quaresima, rivolgiamo la nostra attenzione alla Croce, strumento della nostra salvezza eterna. In particolare, facciamo attenzione agli inganni del mondo, che ci allontanano dalla Croce e quindi da Nostro Signore, che solo è la nostra salvezza. Ripetiamo spesso, ogni giorno, la preghiera: “O Crux, ave, spes unica”. Nel suo commento alla Domenica di Quinquagesima, il beato Ildefonso Schuster ci consiglia:

Quant’è profondo il mistero della Croce, così che perfino gli Apostoli, quelli che già da tre anni erano stati iniziati alla scuola di Gesù, ancora non l’intendono. Non solo essi non lo intesero nell’odierna salita a Gerusalemme, ma non vi giunsero neppure la sera del banchetto pasquale, in cui furono consacrati i pontefici del Testamento Nuovo. Pochi istanti dopo, omnes, relicto eo, fugerunt e lasciarono Gesù solo salir al Calvario. Quanto, dunque, vuol essere studiato e meditato Gesù Crocifisso, onde non errare circa un punto della massima importanza, verso il quale deve orientarsi tutta la nostra vita soprannaturale: il mistero dell’espiazione nel dolore.(12)

Ci troviamo di fronte a gravi difficoltà nella nostra vita personale e siamo tentati di cercare la loro soluzione al di fuori di Cristo e della sua Croce. Ci troviamo di fronte a un mondo assediato da un abissale declino della cultura cristiana, da un attacco alle verità più fondamentali sulla vita umana, sul matrimonio e sulla famiglia, e dalla violenza in molteplici forme, soprattutto nelle guerre. Affrontiamo la situazione della Chiesa assediata da una confusione pervasiva, dall’errore e dal loro frutto, la divisione. Siamo tentati di cercare la loro soluzione al di fuori di Cristo, che ha promesso di rimanere sempre con noi nella Chiesa fino all’ultimo giorno. Siamo tentati di abbandonare Cristo nella Chiesa attraverso lo scisma e l’apostasia. L’unico modo per affrontare tutte le sfide che ci si presentano nella nostra vita personale, nella nostra vita nel mondo e nella nostra vita in Cristo nella Chiesa, è quello di rimanere fedeli a Cristo, di rimanere fedelmente con Cristo sulla via della Croce, di abbracciare, secondo le parole del beato Ildefonso Schuster, “il mistero dell’espiazione attraverso la sofferenza”.
Ci siamo riuniti per la Winter School della Scuola “Ecclesia Mater” per affrontare le nostre sfide sulla via crucis. Preghiamo affinché il tempo trascorso insieme ci avvicini sempre più a Cristo nella Chiesa. Preghiamo affinché il tempo trascorso insieme ci ispiri e ci rafforzi nel seguire quotidianamente la via crucis. Preghiamo affinché il tempo trascorso insieme sia un’efficace preparazione all’osservanza del tempo della Quaresima, un tempo di forte grazia per la nostra vita cristiana.
Mettiamo ora il nostro cuore, unito al Cuore Immacolato della Vergine Madre di Dio, nel Sacratissimo Cuore di Gesù attraverso il Sacrificio Eucaristico. Imploriamo Nostro Signore con il mendicante cieco di Gerico: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me! … Signore, che io riabbia la vista”, confidando nella sua risposta alla preghiera del nostro cuore: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato”(13).

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Così sia.


____________________________________

(1) Lc 18, 31-33.
(2) “II.Hebdomada Sancta, Ad Vesperas”, Liber Hymnarius cum Invitatoriis & aliquibus Responsoriis [AntiphonaleRomanum, Tomus Alter] (Sablé-sur-Sarthe (Francia): Abbaye Saint-Pierre de Solesmes, 1983),p. 60.
(3) Lc 9, 22.
(4) Lc 9, 23.
(5) Lc 9, 24.
(6) Mt 18, 2
(7) Mt 18, 23
(8) 1 Cor 13, 7
(9) Eb 13, 8
(10) Mc 1, 15
(11) Gv 18, 37
(12) A.I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano. Vol.III. Il Testamento Nuovo nel Sangue del Redentore (La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua),4ª ed. (Torino-Roma: Casa Editrice Marietti, 1933), p. 37
(13) Lc 18, 38. 41-42


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Don Nicola Bux

Una recensione del libro: "La fede trasmessa una volta per tutte". L’autorità dottrinale nella teologia cattolica

IL CARDINAL RAYMOND LEO BURKE HA SCRITTO LA PREFAZIONE E L’INTRODUZIONE A: LA FEDE TRASMESSA UNA VOLTA PER TUTTE. L’AUTORITÀ DOTTRINALE NELLA TEOLOGIA CATTOLICA. E’ questo il titolo del libro uscito in lingua inglese (The Faith Once for All Delivered. Doctrinal Authority in Catholic Theology), per i tipi di Emmaus Academic, Steubenville, Ohio(USA)nel 2023.

E’ dal versetto 3 dell’Epistola del Nuovo Testamento che va sotto il nome dell’apostolo san Giuda, che mutua il titolo questo libro. Non si è sciolto l’enigma se si tratti dell’apostolo Giuda, soprannominato Taddeo (cfr. Mc 3,18; Mt 10,3) o anche “Giuda di Giacomo” (cfr. Lc 6,16) che, nell’Ultima Cena chiese a Gesù, perché si fosse manifestato solo ai discepoli e non al mondo (cfr. Gv 14,22). Altri propendono per Giuda, parente di Gesù. Dunque, la Lettera esordisce: “Cari fratelli, siccome desideravo vivamente di scrivervi a riguardo della nostra comune salvezza, mi son poi trovato nella necessità di indirizzarvi questa lettera, per esortarvi a combattere per la fede, che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre”. E prosegue: “Ciò a seguito dell’intrusione nella Chiesa di uomini empi che cambiano la grazia di Dio in dissolutezza e negano l’unicità salvifica di Gesù Cristo” (v.4). Se ciò accadeva al tempo apostolico, non ci stupiremo che accada ai nostri giorni. Al termine, però, san Giuda assicura quanti hanno conosciuto una volta per sempre la vera dottrina, che il Signore salva il suo popolo e fa perire i miscredenti, come ha fatto con gli spiriti ribelli e con Sodoma e Gomorra, che avevano scambiato per diritti i loro capricci. Così hanno provocato divisioni e scismi. In definitiva, l’apostolo invita – con questa Epistola che, nell’elenco dei libri del Nuovo Testamento, precede l’Apocalisse – a edificare se stessi sulla santissima fede, pregando lo Spirito Santo, mantenendosi nell’amore di Dio, aspettando la misericordia di Gesù Cristo per la vita eterna, di sostenere i vacillanti e avere compassione (cfr.20-23)…

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don Alfredo Morselli

"Con le benedizioni pastorali si benedicono sole le persone e non le coppie": FALSO!

Infatti, in Fiducia supplicans si legge:
[Introduzione] Ed è proprio in tale contesto che si può comprendere la possibilità di benedire le *coppie* in situazioni irregolari e le coppie dello stesso sesso

2. Sostenuto da una così grande e consolante verità, questo Dicastero ha preso in considerazione diverse domande, sia formali che informali, circa la possibilità di benedire *coppie* dello stesso sesso e circa la possibilità di offrire nuovi chiarimenti, alla luce dell’atteggiamento paterno e pastorale di Papa Francesco

III. Le benedizioni di *coppie* in situazioni irregolari e di *coppie* dello stesso sesso

31. Nell’orizzonte qui delineato si colloca la possibilità di benedizioni di *coppie* in situazioni irregolari e di *coppie* dello stesso sesso, la cui forma non deve trovare alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali

38. Per questa ragione non si deve né promuovere né prevedere un rituale per le benedizioni di *coppie* in una situazione irregolare 39. Ad ogni modo, proprio per evitare qualsiasi forma di confusione o di scandalo, quando la preghiera di benedizione, benché espressa al di fuori dei riti previsti dai libri liturgici, sia chiesta da una *coppia* in una situazione irregolare, questa benedizione mai verrà svolta contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi. Neanche con degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio. Lo stesso vale quando la benedizione è richiesta da una coppia dello stesso sesso.

41. Quanto detto nella presente Dichiarazione a proposito delle benedizioni di *coppie* dello stesso sesso, è sufficiente ad orientare il prudente e paterno discernimento dei ministri ordinati a tal proposito

Nella “Nota stampa a firma del cardinale prefetto Fernández e del segretario monsignor Matteo” si legge:

Oltre le citazioni di FS

“La Dichiarazione contiene la proposta di brevi e semplici benedizioni pastorali (non liturgiche né ritualizzate) di *coppie* irregolari (non delle unioni), sottolineando che si tratta di benedizioni senza forma liturgica”

“a riguardo della benedizione di *coppie* irregolari, il testo del Dicastero ha adottato l’alto profilo di una “Dichiarazione”, che rappresenta molto di più di un responsum o di una lettera”

“le benedizioni non ritualizzate non sono una consacrazione della persona o della *coppia* che le riceve”

“quando la benedizione è chiesta da una *coppia* in situazione irregolare”

“immaginiamo che in mezzo ad un grande pellegrinaggio una *coppia* di divorziati in una nuova unione dicano al sacerdote: “Per favore ci dia una benedizione…”

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Don Nicola Bux

“Fiducia Supplicans” non appartiene al Magistero autentico
e invita il cardinale Fernández a dimettersi

Versione originale in italiano dell'intervista concessa da don Nicola Bux a Edward Pentin per il suo blog

Qual è stata la reazione generale alla Fiducia supplicans in Italia – per lo più contraria, secondo lei, o ambivalente?

A motivo della vicinanza alla Sede Apostolica, i vescovi italiani sembrano cani muti: approvano o dissentono, o temono la “rappresaglia”. Tra i fedeli e i non praticanti, c’è chi considera FS e i tentativi di giustificarla, un insulto all’intelligenza; poi, chi conosce la dottrina della fede e della morale, in specie la normatività della Rivelazione, si pone il primo Dubbio dei 5 Cardinali quest’estate: è possibile che la Chiesa insegni oggi dottrine contrarie a quelle che in precedenza ha insegnato in materia di fede e di morale, sia da parte del Papa ex cathedra, sia nelle definizioni di un Concilio ecumenico, sia nel magistero ordinario universale dei vescovi sparsi nel mondo (cfr. Lumen Gentium 25)? Certo è che FS non appartiene al “magistero autentico”, e perciò vincolante, perché quanto in essa si afferma, non è contenuto nella parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, il Romano Pontefice o il Collegio episcopale, in modo definitivo, ossia con giudizio solenne, oppure con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato. Non vi si può nemmeno aderire con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto.

Cosa ne pensa del comunicato stampa del 4 gennaio volto a chiarire la dichiarazione? Ha risolto qualcosa?

L’ignoranza predomina nella gran parte dei battezzati, a motivo del fatto che da decenni, alla catechesi si preferiscono le questioni sociali; per le coppie irregolari eterosessuali e omosessuali vale ormai: love is love. Chi usa la logica, è contrario e si pone il secondo Dubbio dei Cardinali: è possibile che in alcune circostanze un pastore possa benedire unioni tra persone omosessuali, lasciando così intendere che il comportamento omosessuale in quanto tale non sarebbe contrario alla legge di Dio e al cammino della persona verso Dio? Legato a questo Dubbio c’è un altro: continua ad essere valido l’insegnamento sostenuto dal magistero ordinario universale, secondo cui ogni atto sessuale fuori del matrimonio, e in particolare gli atti omosessuali, costituisce un peccato oggettivamente grave contro la legge di Dio, indipendentemente dalle circostanze in cui si realizzi e dall’intenzione con cui si compia? Dunque, il comunicato del 4 gennaio è la classica toppa peggiore del buco.

È d’accordo sul fatto che la dichiarazione abbia messo in luce divisioni che erano già presenti, ma che ora sono allo scoperto?

Benedetto XVI, negli Appunti dell’11 aprile 2019, ha descritto la provenienza della débàcle della morale cattolica, e quindi anche delle divisioni tra i cattolici, a causa del ritenere non peccaminose la convivenza sia di una coppia etero sia di quella omosessuale. La divisione o scisma, prima sommerso, ora è emerso: se sarà dichiarato formalmente in occasione di un prossimo evento ecclesiale, come un sinodo o un conclave, lo vedremo. Certo, il prossimo papa dovrà fare i conti, se approfondire la divisione o ricucirla convocando un Concilio. A chiunque sia candidato a papa, si dovrà chiedere nelle Congregazioni pre-conclave di rispondere ai Dubbi accumulati dal 2015 in poi, pena l’aggravamento della divisione della Chiesa.

Perché ritiene che ci sia stata opposizione soprattutto in Africa, Europa centrale/orientale e non negli Stati Uniti e in altri Paesi principalmente occidentali?

Perché in queste aree, cioè nell’emisfero nord e occidentale, dopo il Vaticano II, la Chiesa ha contrastato l’ideologia relativista che penetrava nella morale e demoliva il diritto naturale, con la formazione alla dottrina e alla vita in Cristo, ossia alla morale cattolica, combattendo il pensiero neo pagano; così il popolo è rimasto fedele. Poi, si vada a chiedere ad un ebreo, se esista una benedizione(berakà) che non abbia una sacralità (noi diciamo: non sia liturgica) e se si possa benedire qualcosa che Dio maledice e ha in abominio, come il peccato contro natura. Un amico ebreo che ha saputo di FS mi ha detto: il papa non conosce la Bibbia? Per non dire dell’ironia dei musulmani e della presa di distanza degli ortodossi che hanno dichiarato ormai impossibile l’unità coi cattolici. FS e i comunicati successivi sono frutto dell’ignoranza del prefetto Fernandez.

Qual è il modo migliore per risolvere la confusione e la divisione derivanti dalla FS?

Spiegare che non c’è pastorale senza pasto, perché “L’insegnamento effettivamente è come un cibo, il cui possessore è colui che lo distribuisce” (San Gregorio Nazianzeno). La dottrina quindi è un pasto, ma se il pastore non ce l’ha, non può fare pastorale. Il dramma della Chiesa odierna è la separazione della pastorale dalla dottrina, ovvero dell’amore dalla verità. E lo stiamo pagando caro, come aveva previsto Giovanni Paolo II. Papa Francesco dovrebbe annullare FS e sostituire il prefetto con un uomo di “dottrina sicura, sana e pura” per usare le parole dell’Apostolo a Tito.

Come pensa che questa vicenda influenzerà il prossimo Conclave?

Sicuramente il prossimo papa se non vuole esserlo solo per una parte di Chiesa, dovrà porsi la domanda: qual’è la missione della Chiesa? Quella di adeguarsi al mondo o di salvarlo? L’unità della Chiesa cattolica è compromessa da FS, perché, su una verità morale così essenziale, accetta in pratica visioni opposte tra le Chiese sparse nel mondo. Un esempio: il nuovo vescovo di Foggia ha detto che, la sua, sarà la “chiesa di Francesco che benedice tutti”. Ma la Chiesa non è di Gesù Cristo? Fernandez si è screditato, pubblicando un documento che è l’opposto di quello del suo predecessore, Ladaria, nel 2021: questo sarebbe lo “sviluppo” o piuttosto l’eterogenesi della dottrina? Si è umiliato il Dicastero e la stessa S.Sede. Qualcuno ha già ribattezzato il Dicastero “per la distruzione” della fede. Qualsiasi documento, Fernandez firmasse in seguito, peserebbe su di lui il sospetto di ignoranza e malafede. Dovrebbe dimettersi.

Vai all’intervista in inglese sul sito di Edward Pentin

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Quo vadis? Chiesa dove vai?

Dalla conferenza tenuta a Piazza Armerina da Don Nicola Bux e Don Pasquale Bellanti [ Video ]

Il celebre episodio apocrifo del “Quo Vadis”, nel quale il Signore, a Pietro che vuole andare via da Roma, dice: “Vado a morire al tuo posto”, induce all’interrogativo: La Chiesa dove sta andando, va via da Roma? Incrocia ancora il suo Signore che vuole farla tornare a quei principi che le sono sempre appartenuti e che ora non sembrano più essere tali?

La Chiesa nell’attuale “cammino sinodale” si trova a percorrere sentieri intrisi di filosofia hegeliana, secondo la quale i fatti della fede sono conoscibili secondo la sola ragione, nel frattempo indebolita da altre percezioni esperienziali in gran parte emotive.
Oggi sembra che lo Spirito Santo, tanto evocato come elemento di novità, debba inaugurare un’epoca diversa da quella di Cristo, quando invece è stato inviato da Cristo affinché l’uomo possa meglio comprendere il Suo insegnamento, di Cristo, appunto, e non un insegnamento a sé stante o addirittura sostitutivo. Questa “stagione dello Spirito Santo” viene presentata, non raramente, come novità contrastante con ciò che Cristo ha insegnato e predicato, e questo non fa altro che ingenerare smarrimento, perplessità nei fedeli più consapevoli; in una sola parola, confusione. Per potersi correttamente orientare bisogna innanzitutto distinguere tra Chiesa e uomini di Chiesa con una certezza: La Chiesa è nelle mani del Signore, che l’ha affidata agli uomini peccatori, e non agli angeli, affinché, in un percorso di purificazione, potessimo elevarci, perfezionandoci attraverso i Sacramenti e la Parola di Dio, senza scandalizzarci delle nostre debolezze; non arrivando mai, però, a giustificarle. E’ già capitato nel corso della storia della Chiesa che i suoi uomini abbiano perseguito a vari livelli – di conoscenza, di vita morale- strade diverse indicate da Cristo. La Chiesa però con il suo magistero, ha sempre ritrovato il giusto sentiero sulle orme del Signore.
Quale metodo seguire in questa confusione crescente per non perdere la bussola? Quello suggerito sa San Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi 5,21-22: “Vagliate tutto e trattenete ciò che vale. Astenetevi da ogni specie di male”. Ciascuno di noi è chiamato a seguire questa norma di comportamento, servendosi di due strumenti: La Parola di Dio e il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Il fedele ha il dovere di prendere le distanze da insegnamenti di uomini di Chiesa che cercano di far prevalere le loro idee piuttosto che la Parola di Dio, e deve chiedere ragione, altrimenti diventa complice. Facendo tutto con dolcezza e rispetto, con la carità che ebbe Nostro Signore durante la sua passione, subendo, senza ribellarsi, il processo davanti alle autorità politiche e religiose; proclamando la verità e accettando, come Lui, ove non ci fosse altra via, il martirio. Rimanendo sempre all’interno della Chiesa che è il Suo Corpo.

Augustinus Hipponensis

Joseph Ratzinger, il gesuitismo e S. Pietro: questioni di coerenza

Sed si subtiliter veritas ipsa requiratur,

hoc quod inter se contrarium sonuit,

quomodo contrarium non sit, invenitur

(S. Gregorio Magno, Homilia 7 in Evang., n. 1)

Secondo alcune prospettazioni, Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, con il suo atto volontario di rinuncia, si sarebbe posto volontariamente in una condizione di auto-impedimento della sede e ciò allo scopo di “scismare” – si adopera proprio questo termine – gli eretici e gli oppositori al suo governo.

L’interrogativo che sorge è se questo piano, così congeniato, possa definirsi cattolico. Ne dubitiamo. Per coloro, che sostengono, invece, questa linea interpretativa, ciò sarebbe avvenuto, in quanto Benedetto XVI avrebbe agito nell’ambito di una restrizione mentale larga, modalità di azione, la quale – si afferma – sarebbe ammessa dalla teologia morale.
Andiamo con ordine.
Ad onor del vero, non ci sembra possibile applicare al defunto papa Benedetto le categorie moralistiche della restrizione mentale larga.
Per comprendere di cosa si tratta, dobbiamo ricordare che la restrizione mentale si verifica allorché, quando si comunica qualcosa, si restringe il significato delle parole che si proferiscono ad un altro senso, che non sarebbe così ovvio. In tale evenienza, se non vi sono circostanze esterne che aiutino l’ascoltatore o lettore a capire il diverso senso delle parole che si ascoltano o si leggono, si cadrebbe in un fenomeno di restrizione mentale stretta detta anche restrizione puramente mentale. Se, per es., si dicesse di aver visto una persona e non ci sarebbe alcuna circostanza esterna (ad es., un ritratto), che permettesse di poter intendere che si è vista quella persona solo in ritratto e non fisicamente, quell’affermazione sarebbe semplicemente menzognera e, quindi, immorale.

Tuttavia, v’è anche un altro tipo di restrizione mentale: quella larga. Il suo scopo intrinseco non sarebbe quello indurre in errore, ossia far credere il falso, ma nascondere la verità in casi nei quali questa verità non debba essere manifestata, per es. per salvare delle vite umane.

La restrictio late mentalis con l’intenzione di nascondere la verità non è però lecita senz’altro e senza limiti: certamente si può tacere, a certe condizioni, una parte della verità, facendo appello al principio che non sempre è obbligatorio dirla positivamente, contemperando in tal modo le esigenze di giustizia con quelle della verità, ma altrettanto certamente mai la si può negare. I moralisti seri – i probati auctores – avevano però già messo le cose in chiaro, spiegando che, se il tacere la verità stravolga il senso di quello che si dice e induce in grave errore, non sarebbe più omissione di verità ma commissione di falsità … Questo va tenuto ben chiaro.

Quali sarebbero, dunque, le condizioni per una restrizione mentale larga? Si richiede che il nascondere la verità sia doveroso, o almeno molto utile, e non ci siano altri mezzi disponibili che questo. Queste sono le condizioni perché questa modalità di azione possa ritenersi lecita moralmente, che, in ogni caso, deve ritenersi non mezzo ordinario, ma eccezionale, in vista di un fine superiore, considerato doveroso o, almeno, utile.

Sulla casistica e sulla liceità morale di questa modalità di azione si è più volte interrogata la teologia morale, praticamente dai tempi di S. Agostino, e segnatamente sul quesito se sia lecito sempre e comunque dire la verità, anche allorché da questa possa derivare un grave danno per sé, ma soprattutto per gli altri (ad es., in tempi di persecuzione).

In epoca moderna, essa è stata una metodica particolarmente cara ai gesuiti, i quali pensavano di trovare un antecedente di questo trucco addirittura nel Vangelo di Giovanni, laddove Gesù dichiarava che non sarebbe andato in Giudea, quando invece vi andò “non pubblicamente, ma di nascosto”. Altro esempio lo si rinvenirebbe nel libro della Genesi allorché Abramo suggerì a sua moglie Sara, che era molto bella, che dicesse a tutti di essere sua sorella, in quanto temeva che, se avesse detto che egli fosse il marito e che l’aveva sposata ad Ur (Gen 11, 28-29), l’avrebbero ucciso pur di prenderla con sé (Gen 12, 13). Così Sara disse di essere sorella del Patriarca tanto al faraone d’Egitto (cfr. Gen 12, 11-13) quanto ad Abimelech (Gen 20,12). In seguito, Abramo spiegò ad Abimelech che Sara era davvero sua sorella, poiché condividevano lo stesso padre, Terach, sebbene avessero madri diverse.

Anche nella vita di Santi potrebbe ricercarsi comportamenti simili.
Un esempio spesso citato è un noto episodio della vita di S. Atanasio di Alessandria. Quando l’imperatore Giuliano l’Apostata stava cercando la morte di Atanasio, questi fuggì da Alessandria e fu inseguito lungo il Nilo. Vedendo che gli ufficiali imperiali stavano guadagnando terreno su di lui, Atanasio approfittò di un’ansa del fiume, che nascondeva la sua barca agli inseguitori, e ordinò a coloro che guidavano la sua barca, che tornassero indietro. Quando le due barche si incrociarono, gli ufficiali romani gridarono, chiedendo se qualcuno avesse visto Atanasio. Secondo le istruzioni del Santo, i suoi seguaci gridarono in risposta: «Sì, non è molto lontano». La barca, che inseguiva Atanasio, risalì allora frettolosamente il fiume, mentre Atanasio tornava ad Alessandria, dove rimase nascosto fino alla fine della persecuzione.

Un altro aneddoto spesso utilizzato riguardava S. Francesco d’Assisi. Una volta egli vide un uomo fuggire da un assassino. Quando poi l’assassino si imbatté nel Santo, questi gli chiese se la sua preda fosse passata di lì. Francesco rispose: «Non è passato di qui», infilando l’indice nella manica della tonaca, ingannando così l’assassino e salvando una vita. Una variante di questo aneddoto è citata dal canonista Martin de Azpilcueta per illustrare la sua dottrina di una parola mista (oratoria mixta), che unisce la parola e la comunicazione gestuale.

I gesuiti – e non solo loro – poi, adoperando di continuo questa categoria di restrizione mentale unitamente all’anfibologia, finirono per cadere nella casistica e nel probabilismo, tanto care a Bergoglio. Non desta meraviglia, quindi, se da ciò si siano accusati i gesuiti del c.d. gesuitismo, ovverosia di ipocrisia e doppiezza, messi anche in ridicolo dai commediografi come Molière, che nella commedia Il Tartufo (Tartuffe ou l’Imposteur), in cui Tartufo sarebbe il prototipo della perversità e della corruzione dissimulate ipocritamente e considerate come personificazione del gesuitismo.

Non a caso, specie nel ‘700, i domenicani criticarono aspramente queste metodologie.
Blaise Pascal, d’altronde, in un celebre passo di una sua opera, metteva in bocca ad un gesuita questa celebre frase: «Una delle cose più imbarazzanti che esistono è quella di evitare la menzogna, soprattutto quando si vorrebbe dare ad intendere una cosa falsa. A ciò serve meravigliosamente la nostra dottrina degli equivoci, grazie alla quale è permesso usare termini ambigui, facendoli intendere in un senso diverso da quello in cui li si intendiamo noi stessi, come dice [Tomas] Sanchez […]»; concludeva che quando non si trovassero parole equivoche, si doveva ricorrere a «la dottrina delle riserve mentali». Aggiungeva, infine, «Sanchez la espone al medesimo luogo: “Si può giurare, dice, di non aver commesso una cosa, sebbene la si sia effettivamente commessa, intendendo dentro di sé di non averla commessa un certo giorno, o prima d’esser nati, oppure sottintendendo qualche altra circostanza simile, senza che le parole di cui ci si serve abbiano senso alcuno che possa farlo capire; e questo è assai comodo in molti casi, ed è sempre giustissimo, quando è necessario o utile per la salute, per l’onore o per i propri beni”» (Blaise Pascal, Lettera IX).

Per Pascal – la cui presentazione della pratica appare più caricaturale che esatta – la riserva consisterebbe dunque nel “dire una piccola verità e una grande menzogna”.

Il papa Innocenzo XI, inoltre, nel condannare il lassismo, aveva anche stigmatizzato, nel 1679, la seguente proposizione ispirata dal Sanchez: «Se uno, da solo o davanti ad altri, interrogato o di sua spontanea volontà, per divertimento o per qualsiasi altro scopo, giura di non aver fatto qualcosa che in realtà ha fatto, intendendo però dentro di se un’altra cosa che non ha fatto, o una via diversa da quella nella quale ha fatto, o una qualsiasi cosa vera aggiunta, in realtà non mente e non è spergiuro» (Denzinger, 2126).

La discussione, intorno, dunque alla restrizione mentale non è stato così pacifico, visto che si è riproposto, come abbiamo detto, in diverse epoche. Per es., nei manuali inquisitoriali erano fornite indicazioni su come ci si dovesse comportare in presenza di imputati che ricorressero a questa metodologia, soprattutto per non rivelare eventuali correi.

Fin dall’inizio del XIII sec., nella Summa poenitentialis, composta tra il 1222 e il 1229, il domenicano S. Raimondo di Peñafort, penitenziere del papa, propose un caso reso classico da sant’Agostino (De mendacio, V, 5; V, 9 e XIII, 22-23) nella seguente forma: come dovesse agire colui al quale si domandasse dove si trovasse, in previsione di ucciderlo, un uomo ch’egli sapesse essere nascosto in casa sua. Per cavarsi d’impiccio, S. Raimondo suggeriva, cosa che Agostino non avrebbe fatto, l’impiego di una locuzione equivoca, “non mangia qui”, in latino non est hic, che però l’interlocutore avrebbe intenso nel senso più ovvio di “non è qui” (est può essere terza persona singolare del presente indicativo di edere, mangiare, come di esse, essere). E ciò per un’evidente buona ragione.

Il problema della restrizione mentale è, quindi, tuttora dibattuto in teologia morale. Certo è che, se tutti la usassero senza limiti ai casi più o meno urgenti, si dovrebbe continuamente temere di essere in errore circa il senso delle parole degli altri, cosa che renderebbe molto difficile la vita sociale e qualsiasi relazione.

Con riferimento a Benedetto XVI, da parte la circostanza che non sono emerse evidenze documentali, che dimostrino che il papa adoperasse questa metodologia e, d’altronde, non si comprenderebbe l’urgenza e la necessità di usarla. Per giunta, se fosse vera la prospettiva di coloro che sostengono che Benedetto avrebbe voluto, così facendo, “scismare” una parte della Chiesa, provocando l’espulsione di una parte, più o meno consapevole, di fedeli dell’intero orbe cattolico, vi sarebbe più di un dubbio sull’utilizzo lecito – da un punto di vista morale – di una siffatta modalità di azione.

Per cui, la figura del defunto papa Ratzinger ne uscirebbe seriamente compromessa, dal punto di vista dell’etica cattolica, dal momento che giammai la Chiesa ha inteso provocare – nella storia – una sorta di espulsione di massa, per giunta inconsapevolmente da parte di molti fedeli. Neppure all’epoca dell’eresia ariana, che pure era la maggioranza ai tempi di S. Atanasio, la Chiesa fece ricorso a siffatto metodo per espellere “senza che se ne accorgessero” gli eretici.
L’erroneità di attribuire a Ratzinger un pensiero quasi di stampo gesuitico si fonda, in realtà, sul convincimento che l’ufficio papale fosse di “proprietà” del papa, che, di volta in volta, lo ricopre; in verità, non è così, giacché esso – come qualsiasi altro ministero nella Chiesa – è di Dio ed è per il bene del gregge e per la gloria di Dio. Gesù stesso, durante la sua vita pubblica, ha indicato che gli uffici nella Chiesa sono a beneficio ed a servizio dei fratelli: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. […] Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato».

Se è così, quindi, e se Ratzinger non è proprietario dell’ufficio papale, va dimostrato che abbia concepito il disegno “gesuitico” per il servizio dei fratelli. E che beneficio, di grazia, avrebbe apportato questo progetto alle pecore del gregge, che sono disorientate, confuse e perplesse? Soprattutto se è vero, come sostenuto, che il linguaggio adoperato da Benedetto XVI fosse “anfibologico” e quindi non facilmente intellegibile se non ad una cerchia ristretta di “eletti”, che l’avrebbero decodificato? Se fosse stato a beneficio dei fratelli, avrebbe dovuto parlare chiaro, con il limpido “sì, sì, no, no” evangelici, senza ricorrere ad un linguaggio equivoco, o se vogliamo “politico” o ricorrendo ad una riserva mentale larga.

Né può paragonarsi Ratzinger a Gesù, il quale parlava in parabole con gli avversari (gli scribi ed i settari farisei), ma non con i discepoli, cioè con i suoi seguaci perché, diceva il Signore, «a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato». Al contrario, Ratzinger, stando alle mentovate chiavi di lettura, avrebbe usato il linguaggio “anfibolitico” con chiunque, sia amici sia avversari, senza lasciare alcuna spiegazione (come invece avrebbe fatto Gesù, il quale non mancava di decodificare il suo linguaggio ai discepoli), neppure scritta e post mortem. Almeno, ad oggi, non è noto nulla di tutto ciò.

In ogni caso, Gesù usava un linguaggio anfibolico, che comunque attingeva dalla realtà che aveva dinanzi e che lo stesso adoperava non tanto per celare certe verità agli avversari, quanto piuttosto per venire incontro ai semplici, facendo esemplificazioni tratte dalla vita quotidiana di tutti i giorni.

Comunque, a prescindere dal linguaggio ratzingeriano, assuntamente anfibolico, dicevo Ratzinger avrebbe commesso un gravissimo peccato. In effetti, egli portandosi presuntamente e volontariamente con sé l’asserito munus, certamente non sarebbe stato coerente con quanto Cristo avrebbe chiesto sempre ai suoi Vicari: cioè di patire e di soffrire con il proprio gregge.

L’esempio del Quo Vadis, evocato da taluno, appare illuminante. S. Pietro, come si sa, era in fuga da Roma, funestata dalla prima persecuzione, quella di Nerone. Per la verità, egli accettò la fuga su sollecitazione della comunità cristiana, che lo invitava a mettersi in salvo. Mentre era per strada, poco fuori le mura di Roma, sulla via Appia, si presentò il Signore, al quale l’Apostolo chiese dove stesse andando (Quo vadis Domine?). Gesù gli rispose che, se lui avesse disertato il suo popolo, sarebbe andato a Roma a farsi crocifiggere di nuovo (Venio Romam iterum crucifigi). Parole, il cui significato era quello di ammonire l’Apostolo per la scelta di darsi alla fuga e di indicargli quale fosse la via corretta da seguire. Pietro comprese il messaggio del Signore, tornò a Roma e accettò il martirio.

Benedetto XVI, quindi, assuntamente auto-impedito e prigioniero in Vaticano, avrebbe dovuto accettare sino in fondo il martirio e di morire, persino, piuttosto che fuggire dinanzi ai lupi (ricordiamo le parole del giorno di elezione di Ratzinger: «pregate perché non fugga dinanzi ai lupi»).

Cosa sarebbe successo?
Beh, se avesse accettato il martirio e quindi la sua suprema testimonianza, avremmo avuto un papa legittimo e pienamente legittimato.
Ma sarebbe salito al trono un Bergoglio, che è ritenuto un eretico?

Beh, questo a Ratzinger non interessava, perché – come detto – il papato non è del papa, che ricopre in un certo momento storico quell’ufficio, ma è di Cristo e Cristo avrebbe provveduto alla sua Chiesa, tenendo fede alla sua promessa «le porte degli inferi non prevarranno». O forse Ratzinger – dobbiamo supporre – non credeva a questa verità? O forse concepiva il papato come un ufficio secolare, non dissimile da quello di un qualsiasi Presidente della Repubblica?

Alcuni autori evocano a questo proposito – e direi giustamente – l’esempio di Enea Silvio Piccolomini, che, benché – non dico – eretico, ma che aveva certe idee non proprio ortodosse (era conciliarista! Ed i suoi libri erano all’Indice), eletto papa, col nome di Pio II, le abiurò formalmente, uscendo con la celebre frase “rifiutate Enea, accogliete Pio”.

Qualcosa di analoga fece anche Paolo VI, ricordando che Montini era morto e che c’era appunto Paolo.

Proprio per la garanzia soprannaturale che assiste l’ufficio papale, se Ratzinger avesse accettato il martirio ed avesse perciò pienamente rinunciato, sarebbe stato eletto un Bergoglio o chiunque altro, che, benché fossero stati grandi peccatori, c’era la garanzia che non avrebbero potuto deflettere dal depositum fidei. Se invece, oggi, Bergoglio deflette, gettando la comunità cattolica in confusione, ciò è da ascrivere alla grave responsabilità di Ratzinger che – stando menzionata chiave interpretativa – si sarebbe trattenuto volontariamente il munus, ritenendosene padrone e concependo erroneamente il papato come un ufficio politico con cui fare giochini di varia natura.

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