Il Pensiero Cattolico

9 Marzo 2025

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S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Ottava Riflessione

Non ci sono forse Io qui, Io che ho l’onore di essere tua Madre? Non sei forse tu sotto la Mia ombra, la Mia protezione? Non sono Io la fonte della tua gioia? Non sei tu sotto il Mio manto, nel Mio abbraccio? Hai bisogno di altro, oltre a questo?

La Madonna ha pronunciato queste parole estremamente consolanti a Juan Diego in un momento profondamente doloroso. Juan Diego ha mancato nel corrispondere alla Sua richiesta, e suo zio, Juan Bernardino, che amava molto, era prossimo a morire.
La Tradizione di Santa Madre Chiesa ci rammenta come la Madonna non fosse estranea alla sofferenza: la Chiesa indica sette dolori particolari di Maria, e la preghiera del Rosario ci porta alla contemplazione dei cinque Misteri Dolorosi, in cui Ella ha partecipato con tutto il Suo cuore.
Noi sappiamo che anche Suo Figlio, Nostro Signore, ha patito grande sofferenza. Leggiamo nelle Scritture che Gesù ha pianto su Gerusalemme, ha pianto per la morte di Lazzaro, ha sudato sangue nel Giardino del Getsemani. Sappiamo pure, negli studi della parola di Dio dei Padri della Chiesa, che Cristo ha subíto tutto il peso del dolore per i nostri peccati durante la Sua Passione e Morte.
Non eluderemo mai il dolore in questo mondo: la Madonna, infatti, ha seguito alla perfezione la volontà di Nostro Signore, e Lei pure fu afflitta da dolori che non possiamo immaginare. Ma non dobbiamo mai lasciare che questa sofferenza diventi paura, né disperazione.
Dobbiamo abbracciare il dolore come opportunità per crescere nella vicinanza a Cristo, per offrire le nostre sofferenze e dunque unire le nostre vite più strettamente alla Sua. Non è forse Lui ad insegnarci che, per essere una cosa sola con Lui, dobbiamo prendere la nostra croce ogni giorno e seguirLo?
E se il dolore in questo mondo cresce al punto da credere di non poterlo sopportare, non dobbiamo esitare, neanche per un istante, a gridare alla nostra Beata Madre, che non mancherà di tenerci al sicuro “sotto il Suo manto, nel Suo abbraccio”.

Preghiamo…

Tutte le meditazioni della Novena a Nostra Signora di Guadalupe

S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Settima Riflessione

Questo mese, riflettiamo sulla Quarta Apparizione della Madonna a San Juan Diego. Nella fatica di assistere suo zio, gravemente malato, San Juan Diego non ha adempiuto la richiesta della Madonna di tornare sul colle Tepeyac. Deve aver provato grande vergogna a motivo di ciò, poiché ha fatto una deviazione per evitarLa, mentre accompagnava il prete da suo zio, ormai in fin di vita.

Ovviamente, non è possibile ingannare la nostra Madre Beata, la Quale è discesa dal Tepeyac per incontrare Juan Diego nella sua deviazione. Prendiamoci un momento per riflettere sulle parole della Madonna, forse le più famose di queste apparizioni. Invece di sgridare Juan Diego, lo consola.
Anch’Ella conosce tutto ciò che ci preoccupa; con le Sue parole a San Juan Diego, parla anche a noi, circa 500 anni dopo, così che possiamo esserne confortati anche noi.
Ascolta, mettiti in cuore, mio giovane figlio, che ciò che ti ha preoccupato, ciò che ti ha afflitto è nulla; non lasciare che ti turbi il volto, il cuore; non temere questa malattia, né qualsiasi altra malattia, né alcuna cosa aspra o dolorosa.
Non ci sono forse Io qui, Io che ho l’onore di essere tua Madre? Non sei forse tu sotto la Mia ombra, la Mia protezione? Non sono Io la fonte della tua gioia? Non sei tu sotto il Mio manto, nel Mio abbraccio? Hai bisogno di altro, oltre a questo?
Miei fratelli e sorelle in Cristo, non c’è nient’altro di cui abbiamo necessità.
Affrettiamoci a porci sotto la protezione della nostra Madre Celeste. Portiamo a Lei tutto ciò che ci causa paura.
Lasciamo che il nostro cuore diventi una cosa sola col Suo Cuore Immacolato, che è sempre unito alla volontà di Dio e attraverso il quale, in ogni cosa, Ella ci porta sempre più vicino a Colui che solo è la nostra salvezza.

Preghiamo…

Tutte le meditazioni della Novena a Nostra Signora di Guadalupe

S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Sesta Riflessione

Continuiamo a riflettere sulla Terza Apparizione e sulla richiesta del Vescovo di un segno a San Juan Diego. Nostro Signore chiama “beati” coloro che crederanno senza aver visto. Eppure, nella Sua misericordia, Nostro Signore ci concede segni del Suo amore in abbondanza, così che possiamo crescere ancor più nell’amore per Lui.

La tilma su cui Dio ha miracolosamente impresso l’immagine della Madonna per noi, suoi figli, è proprio uno di questi segni, un segno eccezionale del Suo amore.

Prendiamo un momento per esaminare i segni che Dio ha dato a ciascuno di noi.

Abbiamo permesso alle nostre anime di indurirsi sempre più e di logorarsi nella miopia del materialismo che pervade la nostra società? O crediamo che Dio manifesti segni del Suo Amore per noi, ogni singolo giorno?

Stiamo mettendo alla prova il Signore nostro Dio, richiedendo risultati esatti secondo la nostra limitata comprensione? O ci sforziamo di apprezzare la grazia di Dio secondo la situazione attuale della nostra vita?

Dovremmo sapere e credere che, anche se stiamo lottando per scorgere i segni che Dio ci ha mostrato, possiamo sempre rivolgerci alla meraviglia e all’amore che sono a nostra disposizione qui ed ora nel miracolo dei Sacramenti, mediante i quali Dio Figlio Incarnato agisce direttamente per santificarci, per concederci incommensurabilmente e incessantemente la Sua grazia e la Sua vita. Egli sta offrendo la Sua misericordia proprio adesso nell’incontro sacramentale con Lui nella Confessione. Sta offrendo la propria vita – il Suo Corpo, il Suo Sangue, la Sua Anima e la Sua Divinità – nella Santa Eucaristia.

La Madonna ci porti ad amare sempre più il Suo Divin Figlio. Dunque, vi imploro: nel continuare questa novena di nove mesi, dedicate più tempo all’adorazione davanti al Santissimo Sacramento, riposto nel Tabernacolo o esposto per noi nell’ostensorio. L’Ostia Sacra è il segno più grande che abbiamo dell’amore di Dio; possa il nostro amore per Nostro Signore nel Santissimo Sacramento crescere in vivacità e forza ogni giorno.

Preghiamo…

Tutte le meditazioni della Novena a Nostra Signora di Guadalupe

Eleonora Casulli

LA DONNA NEL GIUDEO-CRISTIANESIMO E NELLA CHIESA CATTOLICA

MASCHILE E FEMMINILE IN GENESI 1, 27

Nel mio primo intervento sulla tematica inerente alla «questione femminile» in relazione al Cristianesimo e alla Chiesa, avevo esplicitato che, proprio perché le accuse e le mistificazioni rivolte alla religione e alla istituzione partono da «problematiche» percepite come radicali, è necessario andare alla radice e, quindi, partire dalla Genesi. Così, dopo aver parlato delle donne prime testimoni del Risorto nel precedente intervento, mi accingo a ripartire dal principio.

Genesi 1, 26 recita: “E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra»”. Genesi 1, 27 recita: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. Mi preme ricordare inizialmente (e non me ne vogliano i lettori più addentrati) che i racconti della creazione contenuti nella Genesi vanno interpretati in modo allegorico e simbolico, non letterale: essi non presentano verità storico-cronologiche o scientifiche, bensì, attraverso un racconto senza tempo (il mito) ricco di immagini, simboli e metafore, dispiegano e veicolano verità profonde e immutabili su Dio, sul cosmo e sull’uomo (inteso come essere umano)[1].
Solo tali verità ultime e immutabili costituiscono l’oggetto della fede dei credenti, non il racconto dal quale vengono tratte. In Genesi 1, 26 la parola «uomo» nell’originale ebraico è «adam», scritto senza articolo, per cui va considerato un nome collettivo che indica la razza umana, l’umanità, ogni uomo sulla Terra, unica creatura fatta simile (a nostra immagine) al Creatore ma non del tutto uguale a Lui (a nostra somiglianza) in quanto, appunto, creatura. L’assoluta importanza di questo versetto è dovuta al fatto che “la verità rivelata sull’uomo come «immagine e somiglianza di Dio» costituisce l’immutabile base di tutta l’antropologia cristiana”[2], concetto che va tenuto sempre presente, poiché nel giudeo-cristianesimo rappresenta ciò che essenzialmente accomuna tutti gli esseri umani, di ogni tempo, luogo, condizione.
Al versetto 27 le parole «maschio» e «femmina» sono rese con «zakar» (letteralmente «il puntuto») e «neqebah» (letteralmente «la perforata»), il che potrebbe far pensare a una caratteristica esterna dell’essere, non così essenziale. In realtà, è l’andamento stesso della frase che ci fa capire altro: l’insistenza nel ripetere sia il verbo “creò”, sia “a sua immagine, a immagine di Dio”, prima di concludere con “maschio e femmina” serve a farci capire che sta proprio nell’essenza della creatura-uomo essere a immagine del Creatore in quanto maschio e femmina[3]. Il maschile e il femminile proprio in virtù delle reciproche differenze costituiscono quel tutto che è l’immagine del Creatore, non sono un «di più» rispetto all’essere esseri umani (in filosofia dovremmo dire che non sono accidenti, bensì limiti costitutivi dell’essere). La ripetizione «essere esseri» è da me voluta, a sottolineare che la teoria gender e quelle affini, tanto diffuse ormai nel mondo occidentale, si basano proprio sull’opposto: la femminilità/mascolinità non sono considerate caratteristiche dell’essere umano in quanto tale, bensì abitudini dettate dall’ambiente e dall’educazione che diventano identitarie o, peggio, sono ritenute orpelli, quasi come un vestito che può essere cambiato quando se ne ha voglia[4]. Questo mi spinge a un’ulteriore considerazione.
Dire che l’essere maschio e femmina fa parte dell’essenza dell’essere umano, la quale essenza reca l’impronta indelebile dell’immagine e somiglianza divina, significa dare un eguale nonché altissimo grado di dignità sia al maschile, sia al femminile; affermare il contrario, invece, toglie questa dignità tanto alla femminilità, quanto alla mascolinità. Questo ragionamento ci aiuta a capire quanto infondate, falsate e ideologicamente mistificate siano le affermazioni di chi attribuisce proprio al substrato culturale del giudeo-cristianesimo, al diffondersi della religione cristiana e all’azione della Chiesa nella società il dislivello nella dignità e nei diritti delle donne rispetto agli uomini, a favore di questi ultimi.
In realtà è proprio l’opposto! Il giudeo-cristianesimo ha introdotto nel mondo la novità assoluta della pari dignità sostanziale, che nel mondo pagano oggi tanto rimpianto e idealizzato non esisteva! Noi che, per grazia e senza meriti, riusciamo a cogliere tutto ciò, abbiamo il dovere di documentarci sempre meglio e non temere di difendere queste verità davanti al mondo che tanto le stravolge.
Non si può negare che nella storia ci siano state delle storture in ordine allo sbilanciamento della dignità e dei diritti a favore del mondo maschile, sia nel giudaismo sia nell’era cristiana; ma tali storture andrebbero considerate come tali e attribuite alle circostanze storico-culturali delle varie epoche e, in ultima analisi, all’imperfezione e fallibilità dell’essere umano corrotto dal peccato; è un grave errore considerare come causa diretta di queste deviazioni la sostanzialità del messaggio cristiano e la visione dell’uomo propria del giudeo-cristianesimo, agita dalla Chiesa per oltre duemila anni. Anche questo siamo chiamati a comprendere sempre meglio e a riaffermare con forza.
Nei prossimi appuntamenti approfondiremo gli altri passi della Genesi che ho elencato nel mio primo intervento.

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[1] Cfr. G. Cappelletto, In cammino con Israele. Introduzione all’Antico Testamento – I, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2006, p. 110-111.
[2] Mulieris Dignitatem n. 6

[3] Cfr. G. Cappelletto, In cammino con Israele…, p. 128.
[4] “Io non so mai chi sono eppure sono io/Anche se oltre il vetro per me non c’è mai un dio/Ma questo qui è il mio corpo benché cangiante e strano/Di donna dentro un uomo eppure essere… umano”. Ritornello del brano “Io sono una finestra”, di Grazia Di Michele e Mauro Coruzzi (in arte Platinette), in gara al Festival di Sanremo del 2015.

Testo completo: https://www.vanityfair.it/show/musica/15/02/10/festival-sanremo-2015-grazia-di-michele-e-mauro-coruzzi-io-sono-una-finestra-testo?refresh_ce=

Videoclip ufficiale (davvero eloquente): https://www.youtube.com/watch?v=ubhMk0FFPU4

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S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Quinta Riflessione

Riflettiamo, questo mese, sulla Terza Apparizione della Madonna a San Juan Diego. Quando Juan Diego ritornò dal Vescovo per trasmettergli nuovamente le intenzioni della Madonna, il Vescovo chiese un segno – un segno che la Madonna promise per il mattino seguente. 


La richiesta del Vescovo di avere un segno, per quanto possa essere stata ragionevole, colpisce una corda strana e risonante nella nostra società profondamente materialistica. Il nostro mondo è così affamato di segni di qualcosa di più grande che prova, penosamente e invano, a trovare un significato più profondo nella politica, nelle ideologie, nei piaceri materiali – nelle cose di questo mondo, che non lasceranno appagati.

Questo, però, non accade per mancanza di segni dell’amore di Dio. Accade perché abbiamo perso la nostra capacità di vederli.

L’apparizione della Madonna ci dà l’antidoto a questo materialismo: oggi siamo chiamati a essere segni della presenza di Nostro Signore nel nostro mondo. Quando viviamo con il cuore unito al Suo Cuore Immacolato nel Sacro Cuore di Gesù, Nostro Signore accompagna la nostra testimonianza con altri segni per confermarci e sostenerci nel nostro pellegrinaggio.

Questa non è una mera frase fatta. La Madonna sta chiamando ciascuno di noi a vivere la propria vita in maniera tale che la verità e l’amore di Cristo siano immediatamente chiari a tutti coloro che ci circondano. Cristo effonde nei nostri cuori, dal Suo Cuore Sacratissimo, la grazia per vivere così. Vivere le nostre vite in questa maniera è un obbligo che abbiamo davanti alla Madre Nostra e davanti al suo Figlio Divino, Nostro Signore e Salvatore: dobbiamo vivere le nostre vite nella ricerca fedele e generosa della santità che squarcia le tenebre del mondo circostante.

Sia chiaro, questo è un compito grande e difficile. Dobbiamo chiedere alla Madonna di intercedere per noi, così da poter ricevere la grazia di essere collaboratori di Cristo nella Sua opera di verità e d’amore.

Preghiamo…

Tutte le meditazioni della Novena a Nostra Signora di Guadalupe

Rossella Pastore

Basta parlare (solo) di misericordia

Si fa un gran parlare, oggi, di misericordia e amore di Dio. La maggior parte dei predicatori mette in risalto esclusivamente l’aspetto legato alla Sua bontà e compassione, confermando nell’errore i tanti fedeli (la maggioranza, anche in questo caso) già ampiamente persuasi che Dio perdoni tutto… a prescindere. A prescindere dal pentimento, a prescindere dal sacramento della Confessione… sempre che resti qualcosa da perdonare.

Il primo problema, infatti, è la perdita del senso del peccato, o almeno la relativizzazione della morale cattolica. Relativizzazione che si esplica in modi diversi: si può per esempio affermare che certe norme siano desuete («i tempi sono cambiati e anche la Chiesa deve aggiornarsi», come se quelle norme fossero di diritto umano e non divino), oppure dire che la tale parola/opera sarebbe pure peccato, ma le circostanze la rendono lecita (l’esempio più classico è quello della bugia di scusa [qui per approfondire], come se il fine giustificasse i mezzi…).
Assumendo che resti qualcosa da perdonare, che cioè qualche anima non abbia ancora del tutto smarrito la percezione del peccato, chi predica un Dio “tutto misericordia e niente giustizia” non fa altro che dare il colpo di dis-grazia, a queste anime. Chi confida temerariamente nella misericordia divina, infatti, non lascerà mai di peccare.
Obiezione comune, rispetto a questa visione, è la seguente: si può arrivare a lasciare il peccato anche “innamorandosi” di Dio, non solo per timore dei castighi o dell’eterna dannazione. In effetti, è risaputo che esistano due vie per arrivare a Lui: la via “del cuore”, tracciata dal beato Duns Scoto (sulla scia di san Francesco d’Assisi) e la via della ragione, un approccio meno sentimentale suggerito da san Tommaso d’Aquino. Entrambe le vie sono di per sé valide; anche la prima, perché alcuni Dio davvero li attrae con delicatezza e dolcezza, facendoli innamorare di Lui e al contempo facendo loro provare somma tristezza per esserGli stati lontano.
Tuttavia, la seconda sembrerebbe essere una via più sicura, perlomeno di questi tempi. Tempi di lassismo quasi totale; in cui, soprattutto, gli uomini sono meno sensibili al linguaggio dell’amore (tanto più che il loro concetto di amore è più che falsato… stravolto).
Insomma, i discorsi blandi e vaghi sull’amore di Dio non funzionano (quando non sono controproducenti). Non funzionano in particolare con i peccatori incalliti, a detta – tra gli altri – di san Giovanni Maria Vianney, patrono dei presbiteri e dei parroci. Le omelie del santo Curato d’Ars erano omelie “infuocate”, ricche di invettive contro gli impenitenti. Ma è questa, in certi casi, la vera misericordia: ammonire i peccatori è esattamente una delle sette opere di misericordia spirituale.
Più propriamente, misericordia e giustizia non si escludono a vicenda: pare invece che l’una comprenda l’altra. Quando è giusto, ad esempio quando castiga, Dio è anche misericordioso: Dio castiga, cioè – etimologicamente – “rende casto”, colui che ama, come si legge in Proverbi 3,12. Persino l’inferno è campo di esercizio della misericordia di Dio: Egli infatti non permette che le pene inflitte ai dannati siano superiori alla gravità dei loro peccati.
Allo stesso modo, quando ama, è anche giusto. Ama con amore di compassione il peccatore, e con amore di compiacenza il virtuoso. Con amore di predilezione, colui che più lo ama (si pensi a san Giovanni, l’apostolo vergine).
Inoltre, sembra essere tipico di Dio inviare prima dei “san Giovanni Battista”, che chiamino a conversione e lo facciano in maniera impetuosa, per poi manifestarsi personalmente e in tutta la Sua bontà/dolcezza. Del resto, l’instaurarsi di un rapporto confidenziale con Dio viene solo dopo essersi riconciliati con Lui. Questa prima fase è tipicamente dolorosa; ma, superatala, ci si può permettere di trattarlo con familiarità (ferma restando la riverenza). Nessuno che non sia casto (che lo sia stato reso a seguito di un castigo, se necessario), è degno di ciò.
Non solo: chi non teme Dio non è degno nemmeno della Sua misericordia. La Sacra Scrittura è chiara: «… salda egli rese la sua misericordia per quei che lo temono… ha compassione il Signore di quei che lo temono» (Sal 102,11. 13). Dunque, Dio usa misericordia con chi ha timore di Lui, ovvero con chi è pentito. Completa sant’Alfonso in Apparecchio alla morte (220): «Ma con chi lo disprezza e si abusa della sua misericordia per più disprezzarlo, Egli usa giustizia. E con ragione; Dio perdona il peccato, ma non può perdonare la volontà di peccare.
Dice S. Agostino che chi pecca col pensiero di pentirsene dopo d’aver peccato, egli non è penitente, ma è uno schernitore di Dio: “Irrisor est, non poenitens”. Ma all’incontro ci fa sapere l’Apostolo che Dio non si fa burlare: “Nolite errare, Deus non irridetur” (Gal. 6. 7). Sarebbe un burlare Dio offenderlo come piace, e quanto piace, e poi pretendere il paradiso».
A proposito di Paradiso, si consideri che non è la stessa cosa, accedervi dopo essersi pentiti in extremis (ammesso che in punto di morte si abbia avuta la grazia di formulare un atto di pentimento) e accedervi al termine di una vita ricca di meriti. Senza contare il Purgatorio che si avrà da scontare (e il Purgatorio non è una sala d’aspetto, ma luogo di tormenti, per quanto temporanei), il grado di gloria acquisito sarà diverso. Per ragioni di giustizia… e di misericordia: Dio ama e ricompensa chi più lo ama e più ha faticato per la Sua gloria.
Si è accennato, citando sant’Alfonso, alla “volontà di peccare”. Ma in un cristiano che sia ben formato, il peccato volontario è totalmente escluso. Quello in materia grave, evidentemente, ma anche quello in materia lieve: «Chiunque è nato da Dio, non fa peccato, perchè tiene in sè un germe di Lui; e non può più peccare, perchè è nato da Dio» (1Gv 3,9). Con ciò, non stiamo assolutamente affermando che sia vano dirci peccatori e bisognosi di misericordia. Colpevoli, manchevoli, lo rimaniamo: sì, ma di quali colpe, di quali mancanze? Non certamente di quelle volontarie! Il peccato “volontario”, in quanto tale, può essere sempre evitato. Si rimane miseri solo in quanto portatori del peccato originale e quindi naturalmente tendenti ad agire malamente o almeno imperfettamente (Rm 7,19). Ma, con l’aiuto di Dio e certamente con una buona dose di sforzo ascetico, è possibile raggiungere anche un grado altissimo di perfezione. I santi lo testimoniano.

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S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Quarta Riflessione

Continuiamo a contemplare l’importanza della perseveranza. Sebbene San Juan Diego abbia fallito nel convincere il Vescovo riguardo alla veridicità delle sue affermazioni, non ha però lasciato che il suo insuccesso fosse motivo di disperazione. Piuttosto, egli ha diligentemente seguito l’invito della Vergine Madre di Dio a tornare dal Vescovo Zumárraga.


L’abilità di riconoscere i nostri fallimenti con onestà ed umiltà è, di per sé, un dono della grazia, ed invero un segno del sano operare delle nostre coscienze. Infatti, i santi erano profondamente consapevoli dei loro fallimenti. Quando ci sentiamo colpevoli, dovremmo ringraziare Dio per il fatto che la grazia ci ha risparmiati (almeno in quel dato momento) dagli errori di una coscienza lassista o ottusa, condizione che sembra affliggere molti, in maniera particolarmente insidiosa, nei nostri tempi.

Quando falliamo, lasciamo che il nostro orgoglio intervenga, spingendoci a supporre che possiamo conquistare il peccato? O piuttosto ci voltiamo verso Dio, in cerca di aiuto? E quando chiediamo aiuto, domandiamo risultati immediati? O siamo disposti a perseverare nel piano di Dio per la nostra salvezza eterna? Riflettiamo onestamente su queste domande.

Come San Juan Diego ha imparato, i frutti dell’intercessione della Madonna non sono sempre immediatamente manifesti. Nondimeno, essi sono reali, e sono potenti. Continuiamo a chiedere alla Madre Nostra di ottenere per noi tutto ciò che di buono e santo desideriamo, conformemente al piano di Dio su di noi.

Preghiamo…

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Eugenio Fazia

A che pro' l'Ordine Sacro di Diaconato permanente alle donne?

Uno dei temi che in questo Sinodo, su insistenza di alcuni Padri, si sta trattando  è l’accesso delle donne all’Ordine Sacro del Diaconato permanente.  Ma, a parte le tante e valide ragioni con le quali   valenti teologi ed Eminenti Cardinali hanno bocciato l’argomento relativo alla concessione  dell’Ordine Diaconale  permanente alle donne e  l’abolizione del celibato dei sacerdoti,  mi permetto di fare una  mia considerazione che non vuole avere nulla di polemico, ma piuttosto vuole offrire un momento di riflessione sulla condizione attuale dell’ordine del Diacono permanente.


Io sono un diacono permanente ordinato da circa 25 anni, laureato alla facoltà di teologia presso l’università Pontificia Lateranense, e ora all’età di 74 anni mi capita di tanto in tanto di riflettere oltre che sulla mia vita privata anche sul mio ministero diaconale.
Per quanto riguarda il ministero diaconale, è triste ammetterlo, ma non ho mai esercitato alcun ufficio di ministero , tranne che per un qualche servizio liturgico.
Il diaconato è stato riconsiderato, come sapete, nel Concilio Vaticano II e precisamente nella Lumen Gentium cfr. parag. 29 con il titolo :“Rinnovata utilizzazione dei diaconi loro uffici di ministero” poi riguardo all’ufficio di ministero specifica più avanti quanto segue : “…. E siccome questi uffici, sommamente necessari alla Chiesa, spetterà poi ai competenti ceti Episcopale territoriali di vario genere se e dove tali Diaconi siano istituiti per la cura delle anime”.
Dunque i padri conciliari hanno lasciato ai Vescovi l’onere di decidere se ordinare i diaconi permanenti e in quale ruolo inserirli nelle attività pastorali sebbene nel Vangelo( Atti degli Apostoli cap. 6°) risulta molto chiaro quale fosse l’ambito in cui i diaconi permanenti dovrebbero esercitare il loro ufficio di ministero. I Vescovi pur ordinando i Diaconi permanenti non hanno mai deciso, fin’ora, in quali ruoli dovessero essere inseriti.
Nei primi tempi della mia ordinazione, non avendo ricevuto alcun incarico per esercitare il mio ministero, ho pensato che probabilmente ero ritenuto inadeguato a ricoprire un qualche Ufficio.

Con il passar del tempo però mi rendevo conto che la mia situazione era ben più diffusa e generalizzata. In quasi tutte le diocesi italiane, oltre che nella mia diocesi, il ministero del Diacono permanente si riduce ad un mero servizio liturgico (direi come sacrestano evoluto !) piuttosto che essere inseriti negli uffici della vita pastorale pertinenti al ministero del Diacono quali ad esempio negli Uffici quali Economato e Amministrazione, Edilizia del culto, Pastorale della famiglia, Ufficio per la pastorale della Carità uffici esistenti nell’organigramma della Diocesi.
Evidentemente i Vescovi considerano l’ordine Diaconale solo una forma di onorificenza o di premio per una presenza assidua nelle funzioni religiose e attività parrocchiali.

Ma se, “Sic stantibus rebus”, mi chiedo, che senso ha concedere alle donne l’Ordine Sacro del Diaconato permanente? Solo per un servizio liturgico? E magari, e ancora peggio, in supplenza di sacerdoti a causa di carenza di vocazione sacerdotale? Scriveva, infatti, San Giovanni Paolo II : “ un sacerdote può essere sostituito solo da un altro sacerdote”. Il Diacono permanente non può e non deve essere la soluzione della mancanza di sacerdoti.
Mi sembra, inoltre, pretestuoso sostenere che la presenza della donna nelle Istituzioni della Chiesa favorirebbe una “ventata di aria fresca” nella Chiesa.
Se poi, addirittura, qualcuno ritiene che la Chiesa sia maschilista e obsoleta e che pertanto oggi è importante favorire l’apporto del servizio delle donne, forse dimentica che la donna ha sempre avuto ed ha, tutt’ora, ruoli di primaria importanza nella storia della Chiesa. Ne cito solo alcune, perchè l’elenco completo sarebbe davvero molto lungo, che hanno dato notevoli contributi alla Chiesa e spesso anche alla comunità civile : S. Chiara, S. Teresa D’Avila, S. Rita da Cascia, S. Caterina, S. Giovanna D’Arco, S. Teresa di Lisieux , Santa Madre Teresa di Calcutta e molte altre ancora che o con la vita ordinaria o con il loro martirio hanno dato con la loro testimonianza al Vangelo reale vigore alle istituzioni della Chiesa.

Conclusione : non credo che i Padri sinodali, sostenitori dell’ordine sacro di diacono alle donne e dell’abolizione del celibato del sacerdote, ignorano le realtà in cui versa il nostro Diaconato permanente e tanto meno ignorano la reale presenza della donna nella storia dell’Antico Testamento e della Chiesa in ruoli davvero di rilievo.
Ma, secondo il mio povero pensiero, questi Padri sinodali, hanno in realtà, un solo obiettivo cioè quello di aumentare nella Chiesa confusioni e divisioni. Questi obiettivi di desacralizzazioni, evidentemente, sono i primi passi che fanno parte di un unico progetto finale di negare cioè la reale presenza di nostro Signore Gesù nell’Eucaristia. Quindi sarà più facile spianare la strada per la creazione di una nuova religione universale che riunisca tutte le religioni mondiali compreso la massoneria che, nonostante la scomunica ancora vigente, si sta adoperando, già da adesso, ad aprire un dialogo con alti prelati per ricercare e condividere punti comuni così come hanno dichiarato recentemente alcuni maestri delle rispettive logge al termine di un incontro riservato( a porte chiuse) a Milano con il Arcivescovo metropolita della Diocesi e un Cardinale. I punti comuni sarà possibile trovarli, ovviamente, solo dopo aver negato la reale presenza del nostro Signore Gesù Cristo nell’Eucarestia.

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Gabriele Cianfrani:

IL SIGNORE VEDE NEL SEGRETO, MA NON PARLA NEL SEGRETO:

l’estromissione di Dio dalla storia

Una delle espressioni più ricorrenti negli ultimi anni, se non addirittura una sorta di «mantra», è la seguente: Dio lo si trova dentro se stessi. Ma il Signore si è espresso con ben altre parole:


«Io sono il Signore, non c’è n’è altri. Io non ho parlato in segreto, in un angolo tenebroso della terra. Non ho detto alla discendenza di Giacobbe: “Cercatemi nel vuoto!”. Io sono il Signore, che parlo con giustizia, che annuncio cose rette […]» (Is 45,18-19)

Ebbene il Signore non ha parlato in angoli tenebrosi della terra non chiede di cercalo nel vuoto. Sì, perché mettersi alla ricerca di Dio solo dentro se stessi – una fede intimistica –, come a voler far trasparire una sorta di umiltà e di manifestazione della propria piccolezza, ma che in realtà si tratta di falsa umiltà e Dio scompare nel vuoto. Viene in mente la posizione circa il Deus absconditus, fortemente apofatica, a tal punto da comportare l’impossibilità di parlare di Dio. Per quale motivo l’articolo esordisce in questo modo? Perché negli ultimi anni si corre imperterriti verso due direzioni opposte ma al contempo dai risultati identici:

1^ direzione: la ricerca di Dio esclusivamente nel mondo materiale-naturale, promuovendo una forte azione ecologista – «ecologista», non «ecologica», e tra le due vi è una bella differenza –, fino al punto da considerare Dio così intimo al mondo naturale da essere scambiato per una sorta di madre natura;
2^ direzione: la ricerca di Dio esclusivamente nel mondo del proprio «io», nella sola dimensione interna dell’uomo, con la conclusione che «Dio vive nel mio/tuo cuore».

Queste due direzioni estreme, opposte tra esse, conducono al medesimo risultato e non tengono conto di una caratteristica fondamentale della Rivelazione di Dio in quanto tale: essa è sia naturale sia soprannaturale.
Per quanto riguarda la prima direzione, la ricerca di Dio viene condotta esclusivamente sul piano naturale, come se il medesimo fosse la manifestazione della sostanza divina, il modo attraverso il quale si manifesta la sostanza divina. Insomma, si tratta di una direzione che conduce alla visione panteista, nella quale Dio e l’uomo sono posti sullo stesso piano. Pertanto, la ricerca di Dio diviene la ricerca di se stessi e non è più Dio ad essere il principio e la fine ma l’uomo, che coincidendo con Dio pone se stesso al posto di Dio.
Per quanto riguarda la seconda direzione, la ricerca di Dio viene condotta esclusivamente nella propria «coscienza», nel proprio «io», come se Dio fosse presente localmente dentro di me e solo in me posso trovarlo. Probabilmente al liturgista non è sfuggita la precisazione «localmente», in riferimento alla presenza reale di Cristo nella Eucaristia, la quale è sostanziale ma non locale. Eppure la ricerca di Dio all’interno di se stessi, come se vi fosse localmente, cosa potrebbe comportare? Semplice: l’annullamento di Dio, dal momento che lo si rende soggetto al moto locale. Ebbene ci troviamo dinanzi a due posizioni estreme fortemente presenti nel mondo odierno: la prima riduce Dio al mondo materiale e in tal modo ne consegue l’annullamento di Dio, la seconda riduce Dio alla propria coscienza e in tal modo ne consegue ugualmente l’annullamento di Dio.
Il rischio che si nasconde è quello di una progressiva estromissione di Dio dalla storia dell’uomo, come se la medesima storia fosse totalmente estranea a Dio o come se coincidesse con Dio stesso che si manifesta ed auto-manifesta. Ed ecco il punto di arrivo della riflessione: mai come ora regna l’antropocentrismo, così incisivo da escludere Dio o da far coincidere, in ultimo, Dio con l’uomo. Certo, dal momento che la tendenza è quella di far dipendere il futuro, nella sua totalità, esclusivamente dall’uomo. L’azione dell’uomo è incisiva, ciò non si può negare, ma l’uomo resta pur sempre il custode di ciò che Dio gli ha affidato, non il creatore. Ovviamente il piano naturale non esclude di per sé l’anima intellettiva dell’uomo, che rientra nella sua natura, ma in questo caso il piano naturale viene considerato in maniera materialista. Non è tutto, in quanto le conseguenze delle due direzioni conducono, a quanto pare, ad un risultato ancor più allarmante:

«In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo» (1Gv 4,2-3).

Entrambe le direzioni conducono ad una sorta di naturalizzazione di Dio, nella esaltazione materiale-naturale che, proprio per questo, getta nell’oblio la soprannaturalità di Dio, e tale esito non è altro che la negazione del Verbo Incarnato. Sì, nell’ostinata ricerca di Dio esclusivamente nel mondo materiale-naturale oppure esclusivamente nella propria coscienza, ciò che si nega è proprio il fatto che il Verbo sia venuto nella carne, dal momento che Dio lo si riduce alla sfera della creaturalità, nella quale siamo noi. A questo punto occorre ricordare, come già fatto sopra, che la Rivelazione di Dio non è solo naturale solo soprannaturale, ma e naturale e soprannaturale, per cui i due piani devono essere custoditi, dacché la stessa gratia supponit naturam, non destruit, sed perficit eam. Questo delicato equilibrio consente all’uomo di dirigere con criterio la sua ricerca di Dio, altrimenti la ricerca, semmai si riducesse alle due direzione sopra riportate, condurrebbe non alla ricerca di Dio ma alla ricerca di se stessi, al posto di Dio. Ed ecco la progressiva estromissione di Dio dalla storia.

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Questo mese, contempliamo gli eventi della seconda apparizione della Madonna a San Juan Diego.Sebbene egli abbia fatto del suo meglio per soddisfare la richiesta di Maria, Juan Diego non riuscì a convincere Mons. Juan de Zumárraga dell’autenticità delle sue affermazioni. Nel tornare sul Tepeyac, Juan Diego dev’essere stato consumato dal dolore per questo fallimento, e forse era rimasto un po’ confuso dal fatto che la Madonna non fosse intervenuta più direttamente. La risposta di Maria è significativa: invece di criticare Juan Diego, lo incoraggia a ritornare dal Vescovo. Lo incoraggia a perseverare. I nostri fallimenti non ci rendono inutili davanti a Dio, né inamabili davanti alla nostra Madre celeste.

Infatti, Dio ci santifica nella nostra debolezza, se solo ci rivolgiamo a Lui per chiedere l’aiuto della Grazia Divina. Perfino la nostra più grande debolezza è invito a fare maggiormente affidamento su Dio. Miei fratelli e sorelle in Cristo, è la perseveranza, non la perfezione immediata, ad essere il segno della vita cristiana sulla terra. Noi siamo nati in Cristo nel Battesimo per crescere ancor più pienamente in Lui, per portare ancor più fedelmente e generosamente, con Lui, la croce dell’amore puro e disinteressato. Quali fallimenti pesano attualmente sulla vostra anima? La Madonna vi desidera riconciliati col suo Divin Figlio. Confessatevi appena potete e riprendete il cammino del pellegrinaggio che avete intrapreso nel Battesimo e che raggiungerà la sua destinazione nella vita eterna. Siamo chiamati alla stessa perseveranza che dimostrò san Juan Diego quando s’impegnò nuovamente a portare avanti la missione della Madonna. Chiediamo alla Madre Nostra di intercedere presso Dio per noi, affinché possiamo ricevere in abbondanza la grazia della perseveranza.

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