Il Pensiero Cattolico

21 Dicembre 2024

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S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Quattordicesima Riflessione

Fratelli e sorelle in Cristo, sebbene le apparizioni di Nostra Signora di Guadalupe siano avvenute circa 500 anni fa, Nostro Signore desidera ancora che continuiamo a visitare Nostra Signora di Guadalupe in pellegrinaggio. Egli desidera parlarci attraverso di Lei come Madre della Divina Grazia. Ha mostrato il Suo desiderio in un modo straordinario e meraviglioso: lasciandoci l’immagine di Lei sulla tilma di San Juan Diego.

La situazione del mondo e della Chiesa oggi non è meno stringente di quella dell’epoca delle apparizioni sul Tepeyac nel dicembre del 1531. Compiendo un pellegrinaggio per la Madonna, noi riconosciamo che il Suo messaggio è tanto impellente oggi come lo era allora.
Il rimedio della Madonna per la crisi di quel tempo rimane rimedio spirituale per noi oggi. Ella ordinò che una piccola casa sacra, ovvero una cappella, fosse costruita, e fece in modo che la sua immagine miracolosa impressa da Dio sulla tilma di San Juan Diego fosse posta in un luogo di rilievo dentro la cappella, così da poter portare chiunque avesse gettato lo sguardo su quell’immagine al Suo Figlio divino.
Con Nostra Signora di Guadalupe, vi invito a fare un pellegrinaggio al Suo santuario a La Crosse, Wisconsin, dove potrete contemplare la Sua sacra immagine ed essere portati ad incontrare il Suo divino Figlio mentre rinnova sacramentalmente il Suo Sacrificio al Calvario sull’altare e rimane realmente presente nell’incomparabile frutto del Suo Sacrificio, l’Ostia santissima riposta nel tabernacolo.
Per la Solennità di Nostra Signora di Guadalupe, il prossimo 12 dicembre, durante la solenne offerta della santa Messa, io, assieme a numerosi fedeli presenti nel santuario, e uniti a coloro che saranno presenti attraverso i media, compiremo l’atto di consacrazione a Nostra Signora di Guadalupe come culmine della novena di nove mesi con la quale abbiamo invocato la Sua intercessione.
Spero possiate venire in pellegrinaggio al santuario il 12 dicembre, per consacrarvi con me. Fino ad allora, costruite una piccola sacra casa nel vostro cuore. Contemplate lo sguardo materno della Madonna. Lasciatevi convocare in pellegrinaggio in un luogo santo dove potrete veramente incontrare il Suo Figlio divino nei sacramenti della confessione e della Santissima Eucaristia.

Preghiamo…

Video della riflessione con alla fine la recita della preghiera da parte del Card. R.L. Burke

Guido Vignelli

Ricuperare il corretto linguaggio per salvarsi da quello “ecclesialmente corretto”

Da secoli siamo sottoposti a un sistema rivoluzionario globale che, prima di essere politico o economico, è culturale; infatti, esso sta tentando di “rieducare” l’umanità al fine di realizzare una trasmutazione antropologica, ossia a creare l’uomo nuovo e una nuova società, dato che si rifiuta non solo la Redenzione cristiana ma anche la stessa Creazione divina.

In questo contesto, la propaganda rivoluzionaria scatena contro la civiltà cristiana una “guerra culturale” che talvolta è una pesante offensiva, ma più spesso è una logorante guerriglia, nella quale il sistema della informazione mass-mediatica svolge un ruolo decisivo.
Siccome questa rivoluzione usa molto l’immagine e il gesto, si tende a dare meno peso all’uso della parola; ma sia le immagini che i gesti tentano di giustificarsi con le parole e queste, a loro volta, suscitano immagini e gesti; si tratta quindi di fattori strettamente connessi tra loro che insieme influenzano quello che chiamiamo “senso comune”. Un secolo fa, Antonio Gramsci affermò che il comunismo si sarebbe pienamente realizzato solo quando, esercitando una egemonia culturale sulla popolazione, sarebbe riuscito a sostituire il vecchio “senso comune borghese” con un nuovo “senso comune proletario”. Per ottenere questo risultato, egli raccomandò agli agenti comunisti di avviare una guerra psicologica che favorisse una rivoluzione nel linguaggio capace sia d’imporre nuove parole, sia di dare un nuovo significato alle parole vecchie, in modo da renderle capaci di spargere “germi di socialismo”.
Negli ultimi tempi, questa rivoluzione nel linguaggio sta avendo manifestazioni particolarmente gravi e violente per opera della propaganda woke, la quale non solo compie genti simbolici, ma anche vieta o travisa o impone parole al fine di realizzare esplicitamente una cancel culture che in realtà non è “cultura della cancellazione” ma è “cancellazione della cultura”.
Il recente fenomeno del woke (ossia la “vigilanza”) con la conseguente offensiva della cancel culture (ossia la “cancellazione della cultura” tradizionale) hanno riacceso la “guerra delle parole” e quindi rilanciato il problema del linguaggio. Approfittiamone per riallacciarlo alle sue antiche radici.
Da qui nasce il problema della correttezza linguistica. Se un individuo, una società o una cultura usano un linguaggio falso, esso può veicolare errori che confondono la mente, vizi che seducono la volontà e tendenze che traviano il comportamento. Quando ciò accade, il linguaggio si perverte nella sofistica, si prostituisce alla moda dominante, fa degradare la conoscenza a opinione, con tutte le gravi conseguenze intellettuali e morali che ne derivano.
La Sacra Scrittura ammonisce che le parole false «seminano vento e raccolgono tempesta» (Os 8, 7); «morte e vita sono in potere della lingua» (Pv 18, 21); «se molti sono i morti trafitti dalla spada, ben più numerosi sono quelli trafitti dalla lingua» (Sir 28, 18). La sapienza cristiana approfondì il problema, anche in reazione alle insidie verbali delle eresie; ad esempio, san Girolamo affermò: «con gli eretici non bisogna avere in comune nemmeno le parole, perché bisogna evitare di dare l’impressione di favorire i loro errori»…[]

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S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Tredicesima Riflessione

Fratelli e sorelle in Cristo, quando la Madonna offrì a San Juan Diego il segno richiesto dal Vescovo, Ella insistette sull’importanza della sua cappella come luogo in cui avrebbe manifestato tutto l’amore misericordioso di Dio. Infatti, dal tempo delle apparizioni di nostra Signora di Guadalupe nel 1531, la devozione a Lei rivolta ha favorito una profonda e ricca vita di preghiera, devozione e culto a Dio.

Posando lo sguardo su di noi dalla  tilma di San Juan Diego, la Madonna ci ispira a preparare i nostri cuori a compiere un pellegrinaggio verso un luogo santo ove poter realmente incontrare il Suo Figlio divino, Nostro Signore Gesù Cristo, per giungere a conoscerLo più pienamente e ad amarLo più ardentemente, specialmente nel Sacramento della Confessione e della Santissima Eucaristia.
Vi invito a fare questo pellegrinaggio al Santuario di nostra Signora di Guadalupe a La Crosse, Wisconsin, il prossimo 12 dicembre: durante l’offerta solenne della Santa Messa, vi guiderò nell’atto di consacrazione a nostra Signora di Guadalupe.
Il santuario è un luogo di pellegrinaggio approvato dalla Santa Sede. È ufficialmente affiliato alla Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma e alla Basilica di Nostra Signora di Guadalupe a Città del Messico.
Chiunque venga al santuario in pellegrinaggio riceve le stesse grazie e benedizioni di quelle che riceverebbe andando in pellegrinaggio verso queste due grandi basiliche della Chiesa dedicate a Nostro Signore e Salvatore ed alla Sua Madre Vergine.
Assieme alla Madonna, vi invito a compiere un pellegrinaggio al Suo Santuario a La Crosse, Wisconsin, il prossimo 12 dicembre. Incoraggiate amorevolmente altri a fare altrettanto.
Fino ad allora, chiediamo alla nostra Madre celeste di intercedere per noi, affinché possiamo veramente incontrare il Suo Figlio divino, vivente per noi nella Sua santa Chiesa, ed amarLo ogni giorno più ardentemente.

Preghiamo…

Video della riflessione con alla fine la recita della preghiera da parte del Card. R.L. Burke

don Giuseppe Agnello

Sempre Immacolata, Sempre Vérgine e solo Madre:

Maria non è nostra sorella

Venerando in modo superlativo e specialíssimo la Madre di Nostro Signore Gesú Cristo, la Chiesa ha nei sècoli meditato il mistero che la riguarda e che ci ha raggiunto tràmite il suo sí, attribuendo a Maria santíssima tanti títoli di orígine bíblica, ecclesiàstica e stòrica. In essi si manifesta la fede di sempre, l’affetto filiale del pòpolo redento, e l’esperienza della sua presenza nella stòria di tutti i tempi. Chiunque vada a rispolverare i varî tipi di litanie che attèstano tutto questo, non potrà non notare l’assenza di un títolo mariano che da qualche decènnio circa ha preso piede nel mondo cattòlico: Maria nostra sorella.

Una novità che tenta di consegnarci un’insòlita Maria, affatto sconosciuta ai credenti, e ai credenti non contaminati da idee protestanti. Un libro del 2002, della dottoressa protestante Basilea Schlink, il cui títolo è “Maria nostra sorella”, ci riporta pròprio alla necessità di verificare una tale affermazione, tanto piú che reca la prefazione del nostro Raniero Cantalamessa e fa l’elògio della marianità di Martín Lutero. Vogliamo allora con voi riflèttere su questa novità, per capire se ha o no un fondamento; o se piuttosto debba èssere rigettata, non importa per bocca di chi sia cominciata a circolare.
Sappiamo dalla Gènesi che Eva, la cui integrità prelapsària era in tutto símile a quella di Maria santíssima Immacolata, è detta «la madre di tutti i viventi» (Gn 3, v.20). Questo ruolo, innestato nel suo èssere Donna, la còlloca insieme ad Adamo all’orígine della nostra stòria umana come progenitrice. Il peccato originale commesso, poi, fa entrambi i progenitori trasmettitori di quelle conseguenze e inclinazioni che dichiàrano esplicitamente che ogni uomo ha bisogno della salvezza di Dio. Dice il Catechismo: «La Rivelazione ci dà la certezza di fede che tutta la stòria umana è segnata dalla colpa originale liberamente commessa dai nostri progenitori» (CCC 390).
Come una madre ha trasmesso a tutti i figlî la colpa del cattivo uso della libertà umana, un’altra Madre doveva trasméttere a tutti i figlî, rigenerati dalla gràzia, l’immacolatezza e la santità nell’amore. Anche questa Madre è anzitutto annunciata o chiamata come “Donna” nel protovangelo genesíaco (Gn 3, v.15), nel Vangelo (Gv 2, v.4; Gv 19, v.26), in san Pàolo (Gal 4, v.4) e nell’Apocalisse (Ap 12); e come Vérgine e Madre nell’Antico Testamento (Mic 5, v.2; Is 7, v.14) e in varî passi del Vangelo. La genealogia di Gesú Cristo riportata da san Matteo, che è anche il brano evangèlico che da sempre accompagna la festa della Natività di Maria nella liturgia latina, evidènzia la cesura (e la non partecipazione di un uomo nel suo concepimento verginale) segnata da Maria rispetto agli antenati elencati per arrivare al suo sposo Giuseppe: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesú, chiamato Cristo» (Mt 1, v.16). Ciò che Maria dica di sé stessa lo sappiamo dal Magnificat (Cfr Lc 1, 46-56), dove si definisce úmile “serva” del Signore, ma anche “beata” fra tutte le generazioni (v.48). Donde spunti il suo èssere sorella, dunque, resta un mistero…o quasi. Sappiamo però qual è il brano (dopo quello delle nozze di Cana) che tanto piace ai protestanti per contestare ogni onore alla Madre di Dio e per fare di Gesú stesso il duro e freddo contestatore della Madre: «Mentre egli parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in disparte, cercàvano di parlargli. Qualcuno gli disse: “Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vògliono parlarti”. Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: “¿Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Poi stendendo la mano verso i suoi discèpoli disse: “Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre”» (Mt 12, 46-50).
Da queste últime parole sembrerebbe che Gesú stesso fàccia di Maria sua sorella oltre che sua madre, perché inserisce tutti coloro che fanno la volontà di Dio in questa “parentela” spirituale piú forte dei legami di sàngue. In realtà Gesú non è un distruttore del princípio di non contraddizione e nemmeno un ammucchiatore di stati di vita: chi è madre resta madre e chi è sorella o fratello resta tale (non esiste nemmeno in natura che una madre sia contemporaneamente sorella dei proprî figlî; oppure che una síngola persona sia fratello, sorella e madre contemporaneamente): Gesú rivela alle folle il vero privilègio di èssere suoi “familiari” nel còmpiere la volontà di Dio. Inoltre di Maria, madre di Gesú, di Cristo, di Dio, ma sempre “madre” dell’Unigènito Fíglio del Padre, la festa piú importante nelle chiese ortodosse resta quella dell’Annunciazione, perché, come spiega Elisabeth Behr-Sigel, è «festa còntemporàneaménte del Fíglio di Dio che si fa uomo e di colei attraverso la quale avviene l’umanizzazione del Verbo divino, l’irruzione di Dio nella stòria umana». Prima dell’Incarnazione, dunque, Maria è “sorella” in senso molto lato (o nel significato che dàvano gli Ebrei a tutti i parenti pròssimi della pròpria tribú) di quanti l’hanno preceduta ed èrano imparentati con i suoi genitori Gioacchino ed Anna.
Basti citare questo uso del tèrmine greco, secondo il semitismo di cui è calco, in 1 Cr 23, v.22, dove son chiamati “fratelli” i cugini primi: «Eleàzaro morì senza figlî, avendo soltanto fíglie; le sposàrono i figlî di Kis, loro fratelli». Dopo l’Incarnazione, questo uso scompare riferito a Maria, anche nell’incontro con santa Elisabetta, che è detta sua “parente”, ma non viene indicata col semitismo “sorella”. Perché? Perché è pròprio nell’Incarnazione del Verbo che avviene il passàggio e l’effetto dell’accoglienza di questa Donna nel suo nuovo e definitivo status di Vérgine e Madre, come tutta l’Eucologia cattòlica ricorda indissolubilmente. Il sí o fiat di Maria all’Àngelo gènera il Fíglio di Dio per òpera dello Spírito Santo, ma gènera anche noi con Gesú, in quanto figlî nel Fíglio per il dono del battésimo. Sant’Elisabetta, senz’altro ispirata, (o, se volete, l’evangelista senz’altro con le idee chiare) la riconosce in questo suo nuovo e definitivo status: «¿A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?» (Lc 1, v.43). Da adesso in poi Ella è Madre e Madre è confermata da Gesú sulla Croce al discèpolo prediletto: «Ecco tua madre» (Gv 19, v.27). Certo, ab aeterno Ella è Vérgine e Madre nei progetti di Dio, ma l’Incarnazione còmpie il mistero e tutto in vista della Pasqua.
Come Eva non ha sorelle o fratelli, ma solo figlî; cosí la Nuova Eva non ha sorelle o fratelli, ma solo figlî nel Fíglio. Volere dunque èssere accompagnati da Lei come sorella, da pari a pari, anziché per mano o sotto la sua protezione come si conviene a Madre, non solo è strano e peregrino, ma va contro la volontà di Cristo stesso, che è «il primogènito tra molti fratelli» (Rm 8, v.29) e tali ci ha resi sulla Croce.
E arriviamo adesso al modo in cui tutti gli uòmini si potrèbbero dire “fratelli in Cristo” o al modo che li rende davvero “fratelli in Cristo”. Per i non battezzati, questo mistero è dipendente dall’assunzione del Verbo dell’umanità di tutti gli uòmini, la quale rende “fratelli” che non pòssono riconóscere il Padre (che solo il Fíglio è venuto a rivelare) e non vògliono riconóscere la Madre (ossia la Chiesa, che sola al mondo ci può rigenerare). Ragión per cui «in interiore homine habitat veritas», come dice sant’Agostino, ma la carne, quando dòmina senza lo Spírito, non può farla emèrgere. Questi fratelli e sorelle, tra peccato originale e assenza di Genitori, rèstano dotati della dignità di creazione, ma ignòrano i doni della redenzione. Per i battezzati, invece, Cristo sulla Croce còmpie perfettamente l’innesto nel suo Corpo, perché distrugge il peccato, che è il vero ostàcolo alla comunione e alla fraternità cristiane. La Pasqua di Cristo trasforma la comunione creazionale in comunione salvífica e ci dona con chiarezza i Genitori che solo lo Spírito Santo ci può fare riconóscere. Padre Raniero Cantalamessa, nel Venerdí Santo del 2021 diceva:
«La Pasqua segna una tappa nuova e decisiva. Gràzie ad essa, Cristo diventa “il primogènito tra molti fratelli” (Rom 8,29). I discèpoli divèntano fratelli in senso nuovo e profondíssimo: condivídono non solo l’insegnamento di Gesú, ma anche il suo Spírito, la sua vita nuova di risorto. È significativo che solo dopo la sua risurrezione, per la prima volta, Gesú chiama i suoi discèpoli “fratelli”: “Va’ dai miei fratelli – dice a Maria di Màgdala – e di’ loro: ‘Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’” (Gv 20,17). “Colui che santífica e coloro che sono santificati –si legge nella Léttera agli Ebrei – provèngono tutti da una stessa orígine; per questo [Cristo] non si vergogna di chiamarli fratelli” (Ebr 2, 11). Dopo la Pasqua, questo è l’uso più comune del tèrmine fratello; esso índica il fratello di fede, membro della comunità cristiana. Fratelli “di sàngue” anche in questo caso, ma del sàngue di Cristo! Questo fa della fraternità in Cristo qualcosa di único e di trascendente, rispetto a ogni altro gènere di fraternità ed è dovuto al fatto che Cristo è anche Dio. Essa non si sostituisce agli altri tipi di fraternità basati su famíglia, nazione o razza, ma li corona. Tutti gli èsseri umani sono fratelli in quanto creature dello stesso Dio e Padre. A ciò la fede cristiana aggiunge una seconda decisiva ragione. Siamo fratelli non solo a títolo di creazione, ma anche di redenzione; non solo perché abbiamo tutti lo stesso Padre, ma perché abbiamo tutti lo stesso fratello, Cristo, “primogènito tra molti fratelli”».
¿Come ci entra in queste considerazioni del cardinale Cantalamessa Maria santíssima? ¿Si può usare quanto dice in questa occasione per comprènderla come “sorella nella fede”? Ritengo di no, in forza di tutti i privilegî che Nostro Signore ha voluto dare a Maria e per le ragioni già espresse sopra, che sono chiaramente bíbliche. Maria non è una discèpola che ha dovuto aspettare la Pasqua per avere la sua umanità riconciliata con Dio e in comunione perfetta con Dio; non ha un’umanità adamítica postlapsària che la renda sorella delle generazioni precedenti; è piena di gràzia e non ha dovuto aspettare il dono dello Spírito Santo nelle modalità degli altri redenti e credenti; non è nemmeno al pari di un qualsíasi beneficiàrio della redenzione, essendo Corredentrice dell’umanità secondo la profezia di Simeone; e in último, e in maniera decisiva, in forza dell’Incarnazione del Fíglio diventa solo Madre, nel permanere della sua verginità: Madre del Fíglio, Madre dei credenti, Madre che ci gènera alla fede, ma anche e di nuovo “madre dei viventi” nel senso piú soprannaturale che si possa dare all’espressione vèterotestamentària. Gesú non l’ha mai chiamata “Sorella mia” nel Vangelo.
L’espressione è nel Càntico dei càntici (Ct 4, v.9 e 5, v.2), e può riferirsi a Maria solo nel significato piú lato che ci sia: «nella dimensione del Regno di Dio, nel ràggio salvífico della paternità di Dio», dove anch’ella è fíglia del Padre come ogni creatura, per usare il n.21 della Redemptoris Mater (R.M.) di san Giovanni Pàolo II, ma cessa di èssere come ogni creatura se la consideriamo nel mistero di Cristo Salvatore. In questa encíclica, infatti, è ben approfondito il ruolo di Maria che ci precede nel nostro peregrinare, nella fede, verso Dio; e il papa insiste sul suo èssere Vérgine e Madre (com’è la Chiesa prima dell’incontro escatològico con Dio); approfondisce il concetto conciliare di Maria “compimento escatològico della Chiesa”, quanto a perfezione, santità, e glòria; spiega che è in cammino con noi come Stella Maris e Madre amorévole; subòrdina il ruolo di “discèpola” e di “sorella” (il papa non usa mai questo tèrmine, ma con un inciso nòmina la “fraternità”) a quello di Madre (Cfr R.M. nn 20-21), che ab aeterno le è pròprio perché ella «eternamente è stata presente nel mistero di Cristo» (R.M. n.19); spiega il ruolo di Maria “mediatrice” in quanto Madre. Pertanto, sostenuto da cosí alto magistero, torno alle Litanie lauretane, testimoni fedeli di cristallina dottrina: in esse trovo Maria, la Madre, La Vérgine, la Regina, e posso stare certo di non trovare la “sorella”.

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S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Dodicesima Riflessione

Fratelli e sorelle in Cristo, in qual contesto la Vergine di Guadalupe propone di insegnarci il mistero dell’amore sempre fedele e misericordioso di Dio? Nel contesto del nostro ingresso nella casa di Dio. Avendo annunciato a San Juan Diego la verità riguardo a Sé come Madre di Dio e Madre della Divina Grazia, Ella non ha proposto che questi fondasse un movimento o intraprendesse qualche altra iniziativa per il compimento della missione della Madonna, quanto piuttosto che chiedesse al Vescovo Juan de Zumarraga di costruire una cappella.

Nel Suo messaggio sul Tepeyac, in cui continua a parlare a tutti i Suoi figli nella Sua capella ivi situata, Ella li invita a fare un pellegrinaggio fino a Lei, così che possa portarli al Suo Figlio divino, poiché lo scopo ultimo di ogni pellegrinaggio è quello di unire i nostri cuori al Suo Cuore Sacratissimo, specialmente mediante il Sacrificio eucaristico.
Pertanto, vi invito a fare un pellegrinaggio al Santuario di Nostra Signora di Guadalupe a La Crosse, Wisconsin, il prossimo 12 dicembre, per prendere parte alla solenne offerta della Santa Messa.
Durante la Santa Messa, sotto il mosaico di Nostra Signora di Guadalupe, guiderò l’assemblea nell’atto di consacrazione a Nostra Signora di Guadalupe, come culmine della nostra recita quotidiana della preghiera ufficiale della novena di nove mesi.
Vi prego di venire al santuario per compiere l’atto di consacrazione con me. Nel frattempo, sforziamoci ogni giorno di unire i nostri cuori sempre più completamente al Sacro Cuore, attraverso il Cuore Immacolato di Maria.

Preghiamo…

Video della riflessione con alla fine la recita della preghiera da parte del Card. R.L. Burke

Don Enrico Finotti

Basi teologiche per la “Riforma della riforma”

La vigente riforma liturgica decretata dal Concilio Varicano II è un fatto teologico, che deve essere accolto per camminare in comunione con la Chiesa Cattolica. Se non si parte da questo dato storico e concreto ci si espone al rischio di voler fondare una ‘chiesa’ alternativa basata su concetti e scelte del tutto soggettivi, affidandosi alla leadersip di persone private che sfidano l’autorità costituita.

E allora necessario tener presente il motto: Quod Ecclesia fecit, potuit [Ciò che la Chiesa ha fatto lo poteva fare]. Ciò vale soprattutto in materia dogmatica e sacramentale. Infatti la dottrina della fede e le fonti della Grazia devono avere la massima garanzia di validità per l’essere stesso della Chiesa: senza integrità dogmatica e validità sacramentale la Chiesa collasserebbe e verrebbe meno il dogma della sia indefettibilità e della sua infallibilità in docendo et in sanctificando.
Occorre altresì ribadire un altro motto: De lege condenda et de lege condita [Riguardo alla legge in formazione (in fieri) e riguardo alla legge promulgata]. Bisogna distinguere tra lo stato di vuoto legislativo (de lege condenda) dei tempi in cui la Chiesa intraprendeva la riforma liturgica e permetteva una certa libertà di opinioni e di attuazioni, e lo stato in cui la legge liturgica è stata promulgata dalla legittima autorità (de lege condita). Da questo secondo momento si è tenuti ad osservare la legge liturgica applicandola integralmente secondo i libri liturgici definiti e promulgati. Ciò significa che nel momento attuale è necessario celebrare la liturgia nella rigorosa fedeltà alla forma oggettiva dei suoi riti. Di conseguenza ogni creatività soggettiva ed ogni divaricazione dai riti stabiliti deve essere rimossa e gli abusi vengano così individuati, condannati ed esclusi dal novero degli atti liturgici ufficiali della Chiesa.
Non viene meno comunque il giusto senso critico che tiene aperta la valutazione delle riforme liturgiche con le possibili perplessità e gli eventuali emendamenti da proporre all’autorità ecclesiastica competente. Infatti la Chiesa è semper reformanda nel suo itinerario verso la pienezza del Regno di Dio, e quindi anche la sua liturgia lo è nelle parti suscettibili di cambiamento (SC). In questo contesto sarà possibile la ricerca e il tendere sempre al meglio pur nella fedeltà alle leggi stabilite e nella sottomissione all’autorità della Chiesa.

E’ necessario premettere che le scelte liturgiche più impattanti sono state fatte fin dal primo giorno in cui venne celebrato il Novus Ordo Missae. Infatti il 7 marzo 1965 fu rimosso il tabernacolo dall’altar maggiore; l’altare, ridotto a semplice mensa, fu rivolto al popolo; e la comunione venne amministrata in piedi e camminando. Ciò significa che furono interessati simultaneamente i tre aspetti essenziali del dogma eucaristico: la Presenza reale (rimozione del tabernacolo centrale), il carattere sacrificale della Messa (mensa verso il popolo), la sacralità della comunione eucaristica (rimozione della balaustra). Queste tre scelte rituali sono decisamente le più incidenti nella percezione del popolo e quelle che saranno destinate a rendere permanente la differenza rituale tra il vetus e il novus Ordo Missae. Tuttavia tali indicazioni furono facoltative e non tassative per cui resta la libertà del sacerdote a farne uso o meno. Per questo è ancora aperta la possibilità di ricorrere a questa opzionalità soprattutto nelle chiese storiche dove l’altare maggiore, il tabernacolo monumentale e la preziosa balaustra restano testimoni della tradizione liturgica precedente.
Un primo passo possibile è attuare ciò che già la legge liturgica consente senza necessità di ulteriori e specifici decreti giuridici o particolari indulti. Si tratta del ritorno all’altare storico (altar maggiore) per la liturgia sacrificale; del ritorno all’uso del tabernacolo monumentale sul medesimo altare e del ritorno della balaustra per amministrare la santa Comunione. Questi tre elementi sono già consentiti dalla liturgia vigente e sarebbero in grado di risanare i tre aspetti essenziali del dogma eucaristico: mediante l’uso del tabernacolo storico e centrale si ribadisce con forza la reale Presenza; mediante l’uso dell’altare storico col suo orientamento ad Crucem si attesta visivamente il carattere sacrificale dell’Eucarestia (infatti l’altare monumentale latino è pensato da sempre come icona del Calvario al quale si sale per offrire il Sacrificio incruento); mediante l’uso della balaustra si amministra la Santa Comunione in bocca e in ginocchio ed è in tal modo assicurata la dignità del Sacramento e la devozione dei comunicandi.
Ci si interroga sul fatto che tali scelte non siano facilmente realizzate e ancor meno conosciute. Si risponde che queste non sono eliminate de lege (che anzi de lege sono consentite), ma sono impedite dall’ideologia. Tale ideologia ha intaccato vescovi e presbiteri che ostacolano de facto coloro che intendessero fare queste scelte, ma è pure penetrata ormai nel popolo che, educato in tal senso da decenni, resiste a tutti coloro che intendesse riproporre tale equilibrio.

E’ evidente che:

– fin tanto che il SS. Sacramento si trova in una ‘riserva’ emarginata, laterale e alquanto mediocre, mentre il tabernacolo monumentale rimane permanentemente vuoto, non si potrà pretendere che venga assicurato il nobile culto di latria che la Chiesa riserva al divin Sacramento dell’altare;

– fin tanto che la parte sacrificale della Messa viene celebrata su una semplice mensa priva delle caratteristiche proprie dell’altare/ara priva di ascendenza e rivolta permanentemente versus populum, non si potrà pretendere che il popolo di Dio e gli stessi sacerdoti percepiscano la Messa come attuazione sacramentale del Sacrificio cruento del Calvario, bensì tutti saranno indotti a ridurre la Messa ad un rito di comunione, quasi che essa sia soltanto il banchetto sacro del cenacolo senza alcuna valenza sacrificale;

– fin tanto che la santa Comunione viene amministrata in mano e in piedi ed eventualmente fosse distribuita in qualsiasi luogo della chiesa senza riguardo alla dignità di tale luogo, non si potrà attendersi né che i sacerdoti mantengano la nobiltà del gesto sacro nella consegna del Sacramento, né che i fedeli lo possano ricevere con adorabile circospezione e devozione interiore.

Questo recupero di equilibrio porterebbe da un lato a celebrare il mistero della fede nell’integrità del dogma eucaristico sotto i suoi aspetti indissolubili (Presenza Sacrificio e Convivio), dall’altro ad evitare per il futuro danni irreparabili al patrimonio artistico delle nostre chiese storiche con adeguamenti inconsulti e forzati.

La liturgia in tutte le epoche e in tutti i Riti approvati dalla Chiesa è sempre stata intesa come un protocollo sacro rigoroso e mai come un canovaccio libero lascito all’inventiva del sacerdote. Ciò significa che i riti sono sempre stati determinati anche nei particolari da rubriche precise in modo da escludere ogni equivocità e consentire deleteri soggettivismi. Il fatto si comprende alla luce dell’identità stessa della liturgia che riflette i gesti e le parole del Signore che sono le fonti della grazia. Tali gesti e parole non possono essere lasciate all’interpretazione precaria e talvolta eversiva del sacerdote, ma devono ricevere la massima garanzia di una trasmissione integra sia per l’onore dovuto al culto verso Dio, sia per l’efficacia soprannaturale della santificazione delle anime. Infatti un culto corrotto o mediocre, né onora Dio, né santifica il popolo.
La scelta ‘pastorale’ della vigente riforma liturgica ha intrapreso una modalità diversa (prima sconosciuta) per impostare i riti sacri: il modello del canovaccio nel senso di una legge/quadro che si limita ad indicazioni di massima con larghe possibilità di adattamento lasciate al sacerdote e agli operatori in genere nell’azione liturgica. In conseguenza il sacerdote stesso ha facoltà di intervenire con monizioni libere in molteplici passaggi del rito fino al punto da diluirlo in un cumolo di chiose soggettive e talvolta inopportune (sermonite); inoltre i riti stessi, definiti nell’Editio typica vaticana, sono consegnati alle varie Conferenze episcopali munite della facoltà di poterli rielaborare in loco col rischio di possibili danni alla qualità teologica e alla continuità con la secolare tradizione, oltre che in conflitto con l’unità liturgica del rito romano.
Con questa scelta il novus ordo Missae e l’insieme di tutti i riti liturgici romani riformati sono diventati precari e rischiano l’implosione interna: gli stessi fautori della riforma liturgica a questo punto non la possono più controllare a causa di quei medesimi principi ispiratori che essi stessi hanno difeso e che ora sfuggono alla loro gestione. Non possiamo lamentare ogni genere di abuso finché la liturgia sarà afflitta da criterio libero del canovaccio, che rende impossibile esigere una determinazione e pronunziare un giudizio oggettivo con conseguente sanzione.
Si tratterà allora, da un lato di evitare di applicare tutte le eccessive possibilità di creatività offerte dal vigente rito celebrando invece con rigore e fedeltà secondo il preciso dettato delle rubriche; dall’altro di auspicare un cospicuo emendamento in ordine al ritorno di un protocollo liturgico sacro più determinato, che non dia campo libero all’insidia della creatività e all’estro soggettivo e sentimentale del sacerdote e degli altri operatori liturgici.
Si osservi in proposito come quella libertà celebrativa che viene invocata per la liturgia non la si esige per l’esecuzione di uno spartito musicale, né per un protocollo sanitario, né per una operazione economica, né per un atto giudiziario o nell’elaborazione di un testamento, per i quali si pretende un’osservanza rigorosa e una esecuzione formale meticolosa e passibile di sanzioni. Se ciò vale per le effimere questioni umane, perché per ciò che attiene il culto divino e nelle fonti stesse della salvezza soprannaturale ed eterna dovrebbe valere un libero canovaccio esposto ad ogni genere di interpretazione e di gusti discutibili oltre che, non raramente, erronei e di basso livello teologico, spirituale e culturale?
In realtà il canovaccio è preferito al protocollo nel contesto antropocentrico, il quale insiste perché l’espressione della religiosità naturale dell’uomo abbia il suo spazio e prevalga sulla oggettività del culto stabilito da Dio. Il teocentrismo invece dà il primato alla liturgia in quanto realtà che discende dall’alto ed è rivelata in Cristo. Si deve del resto ricordare che la religiosità naturale è ormai inficiata dal peccato originale ed attuale e non glorifica il Signore, né salva e nostre anime.
Si tratta allora di ritornare al senso e al gusto della legge liturgica e alla sua osservanza fedele sulla convinzione che solo in tal modo il culto a Dio mantiene la sua nobile dignità e la salvezza delle anime ottiene la sua massima efficacia salvifica.

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Pio Daniele Mizzau

Architetto

Chiese o Fiere?

Luoghi di culto espressione di una forte apostasia generale

Se le chiese moderne sono brutte, è colpa di architetti atei …                                                                                     (Vittorio Sgarbi)

Punti della relazione

  • Immagini
  • Anamnesi generale
  • Indagini
  • Cosa fare?
  • il Futuro

Immagini

  • Cattedrali classiche emblema di un fervore del passato
  • Chiese o “volumi” moderni manifestazione apostatica

Anamnesi generale

Atei, agnostici, acattolici o cattolici, tutti o quasi si è d’accordo nel pensare che gran parte dell’architettura cattolica contemporanea è in genere respingente, asettica, politicamente neutra … brutta! Per non parlare dei moderni monumenti religiosi, magari ci si limitasse al buon vecchio kitsch, ai Cristi a braccia aperte in cemento pressofuso, o alle Madonne dal vestito blu troppo elettrico, oggi siamo al Padre Pio della Rotonda di Pentri (Bn), tragico esercizio stilistico contro il povero fraticello di Pietrelcina.
In tema di chiese e Padre Pio, si possono notare le tre costruzioni sacre che si trovano a pochi metri l’una dall’altra a San Giovanni Rotondo. La prima chiesetta del monastero delle Grazie, ultimata nel 1676, un dignitoso barocco meridionale. A fianco c’è la nuova chiesa, progettata da Giuseppe Gentile e ultimata nel 1959, più grande (non per Padre Pio), inpersonale, fredda. In basso la chiesa nuovissima, progettata da Renzo Piano, e inaugurata nel 2004, 6000 posti dalla forma improbabile, senz’altro non riconoscibile come chiesa. Qualcuno (Mons. Villa su Chiesa Viva n. 381 del 20.02.2006) ci ha visto vari riferimenti a un tempio massonico (croce di Pomodoro etc..).
Altri si limitano a notare che lo schema architettonico ricorda il ventre di una balena, un grande ambiente “polifunzionale” e rigorosamente aniconico! Tre monumenti così, a pochi metri l’uno dall’altro fanno riflettere sull’antico, sul moderno e sul contemporaneo: il concetto risibile di progresso in religione. E questa sembra l’idea di fondo che percorre il libro di Angelo Crespi “Costruito da Dio”(2017). Perché le chiese contemporanee sono brutte e i musei sono diventati le nuove cattedrali, giornalista e saggista di esperienza, è stato ispirato a scrivere quest’ultimo libro, come racconta egli stesso nelle prime pagine, da “un cesso!” (cit.).
Trovandosi in una chiesa del Nord Italia, “la chiesa moderna più brutta del mondo”, Crespi si è accorto che la porta della toilette si trovava proprio lì, a due passi dall’altare ove si celebrava l’Eucarestia. La toilette funge da emblema dell’arte contemporanea, vedasi il vaso di Duchamp alla Tate Gallery di Londra ove migliaia di persone lo contemplano. Da qui l’idea di scrivere un libro che racconti lo stano cortocircuito tra civiltà de-sacralizzata e architettura sacra.
Una verifica puntuale dello stato dell’arte (sacra) che mostra, punto per punto, passo per passo, come l’architettura religiosa abbia assorbito i canoni estetici di un’iconoclastia sempre più totalizzante una fatale nostalgia di Trascendenza.
Il brutto, il nulla, il freddo invadono gli spazi comunitari dedicati alla religione. E non è una metafora: nella chiesa di San Paolo Apostolo di Foligno progettata da Massimiliano Fuksas, un cubo di cemento, realizzato dopo il terremoto del 1997, i fedeli d’inverno gelano. Sono costretti ad ascoltare la messa nel salone parrocchiale, perché all’interno non si resiste. E i vincoli estetici imposti dal progettista non permettono di intervenire dotando l’edificio di un sistema di riscaldamento adeguato. Ed è tutta una galleria degli errori e degli orrori quella raccontata da Crespi nel suo libro. Dalla chiesa di Santa Maria della Presentazione a Roma progettata dallo studio Nemesi – moderna stazione ferroviaria – alla chiesa del Santo Volto a Torino progettata da Mario Botta – rossa fornace industriale! Ci sono anche significativi accenni alla presenza del Vaticano alla Biennale di Venezia che sotto l’egida del Cardinale Gianfranco Ravasi espone con titoli autoironici come “Creazione, De-creazione, Ri-creazione” e mai una volta che sia stata mostrata la croce…
Ancora una volta sembra realizzarsi la profezia del filosofo Augusto Del Noce «ogni presunta avanguardia cattolica, in realtà, è sempre la retroguardia del progressismo di ogni maniera» Secondo Crespi a questo movimento antisacrale dell’architettura religiosa genera un proliferare e trionfare di “nuovi spazi sacri,” laicamente sacri: I sempre più diffusi musei! Che raccolgono ripropongono, offrono, vendono, pur con tutte le contraddizioni del sistema dell’arte contemporanea una sorta di contemplazione spendibile, gestibile, socialmente agibile.
Infatti mentre di chiese se ne fanno sempre meno, di musei se ne costruiscono sempre di più. Che Dio perdoni gli architetti per le chiese che gli hanno dedicato !
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Alfredo Villa

Quale è il senso delle aperture del Vaticano sul fine vita?

Si tratta di una domanda apparentemente complessa per la quale vi sono alcune risposte relativamente semplici. Può essere da considerarsi come positivo il fatto che la Pontificia Accademia per la Vita, possa portare un contributo atto a favorire una legislazione migliore e che, in qualche modo, questa possa aiutare chi muore, ma in realtà essenzialmente il team curante ed i famigliari, ad affrontare delle scelte, di fronte alle quali, oggi, si hanno dei riferimenti normativi insufficienti e spesso, nella realtà, aggirati. Una buona legge, formulata anche con l’aiuto della Chiesa, che avrà comunque un ruolo veramente marginale in tale formulazione, potrà servire a ridurre il dolore e le difficoltà inerenti ad alcune tragiche situazioni particolari.


Tali aperture hanno invece poco senso, se non alcuno, se la Chiesa tendesse a concentrare le sue migliori energie sul processo del morire, sulle tecnicalità e le norme e non sul senso stesso della morte, senso che dovrebbe essere il nucleo di ogni sua azione pastorale.
Per quanto riguarda la morte ed il morire, però, l’opinione del popolo, che spesso è Voce di Dio, è che la Chiesa parli di qualche cosa di cui non sa nulla e che quindi parli a sproposito.
Il fatto che questo non sia per nulla vero è purtroppo l’evidenza di come non si sia riusciti a trasmettere ed in qualche modo a donare concretamente a chi muore la ricca e soprattutto salvifica, Tradizione cristiana, sul morire.
Questa opinione, che vuole la Chiesa estranea alla morte ed al morire, credo si basi sull’esperienza personale della maggioranza degli uomini contemporanei, che si appresta a morire spesso in solitudine.
La Chiesa, che in effetti dovrebbe essere l’unica a poter parlare della morte e del morire, ha in buona parte rinunciato a questo suo compito costitutivo nello stesso istante in cui ha smesso di essere presente, per lo meno nel mondo occidentale, dove si soffre e si muore, perdendo così l’ineffabile privilegio e l’incomparabile grazia che deriva dall’essere accanto ad ogni agonizzante, che con il suo morire inevitabilmente ed in modo misterioso, tende a confermare e rafforzare ogni Verità di Fede e dà testimonianza nella sua carne di quelle sacre Verità, che la Chiesa stessa è chiamata a portare ad ogni uomo.
Così facendo effettivamente priva sé stessa di tale Grazia, in quanto, pur con comprensibili motivi storici, sociali e di effettive energie in termine di numero di pastori, non è vicina ad un’inestimabile fonte di santità ed ad una forza vivificante, che a sua volta potrebbe, a mio avviso essere motivo di rinascita di fede e di vocazioni.
Credo si possa dire che l’accompagnare i morenti ad una morte cristiana potrebbe avere al giorno d’oggi gli stessi effetti del sangue dei martiri per le prime comunità.
Mentre leggevo i recenti articoli sulle “aperture e mediazioni legislative”, del Vaticano quanto ad idratazione, alimentazione e testamento biologico, mi sono venuti in mente le migliaia di sacerdoti che sul carro del condannato a morte, fino all’ultimo istante svolgevano il loro compito di favorire la salvezza di quell’anima.
Mi sono ricordato del primo “miracolo” di Santa Teresina di Lisieux che per salvare l’anima di un condannato a morte impenitente, che in quanto tale era destinato non sollo alla ghigliottina ma anche all’inferno, si è sacrificata con preghiere e privazioni, affinché quest’ultimo, richiedesse ed accettasse i conforti religiosi e pentendosi, potesse entrare in Paradiso.
Ho pensato alle promesse fatte da Gesù a Santa Faustina, quanto al dono della salvezza dell’anima della persona per cui si prega la Coroncina della Misericordia durante la sua agonia.
La Chiesa è sempre stata interessata alla salvezza delle anime, più che al come ed in che modo queste anime fossero strappate alla vita.
Se la Chiesa, che significa innanzitutto, in una gerarchia ben precisa, i suoi sacerdoti e religiosi e poi il popolo dei credenti, fosse ancor oggi accanto ai morenti a dire loro incessantemente e fino all’ultimo istante quelle parole di vita eterna che le sono state trasmesse da Cristo stesso, metterebbe sicuramente in secondo piano la mediazione su alcuni aspetti procedurali e sulla loro eticità.
E se poi, attingendo dalla tradizione quelle preghiere, quei gesti e quelle liturgie che preparano e consolano il morente, promuovesse ed impartisse quei Sacramenti che sono certezza di Vita Eterna, si renderebbe conto che, una volta fatto tutto quanto in suo potere e compiuto con fede il proprio compito con la dovuta sacralità, il fatto che si interrompa o no la nutrizione o l’idratazione sarebbe di per sé meno importante.
La difesa della vita a cui la Chiesa è chiamata, decade e diviene sterile argomentare, nello stesso istante in cui essa stessa smette di credere nella Vita Eterna, concentrandosi su di una prospettiva temporale e finita, senza essere più in grado di introdurre e preparare l’uomo alla sua inevitabile eternità.
È quindi la Vita Eterna che la Chiesa ed i cristiani sono chiamati a custodire e proteggere, anche perché le sono stati affidati gli strumenti per poterlo fare, ovvero la Parola di Dio ed i Sacramenti.
La Chiesa ha il dovere di stare accanto a chi muore, per trasformare la naturale paura in speranzoso avvento e questo grazie allo stravolgente annuncio del Vangelo, da portare soprattutto a chi tale annuncio non conosce o lo ha dimenticato.
La Chiesa ha l’obbligo, non morale, ma costitutivo di accompagnare i morenti, affinché questi conoscendo Dio, lo possano amare e per tale amore, desiderare ed essere certi, che tutte le Sue promesse saranno mantenute.
Nella sua bellissima lettera di commiato, Papa Benedetto XVI non nega il timore del morire, ma riconosce che il desiderio di incontrare Qualcuno che ha imparato ad amare per Grazia ed a conoscere, se pur parzialmente, attraverso la Chiesa, è infinitamente più grande di ogni angoscia.
Con poche e semplici parole il Papa non ha fatto altro che esemplificare con chiarezza quale sia il compito della Chiesa accanto a chi muore. E questo compito non può essere svolto se non si è fisicamente presenti al capezzale di ogni agonia.
Quindi non posso che pregare affinché la Chiesa riduca il discutere sul processo del morire, ma inizi a parlare a chi muore, dicendo quelle parole, che non sono sue, ma che è chiamata a custodire ed a trasmettere per la salvezza delle anime, che è, invece, suo compito esclusivo.
Essere una delle autorità morali tra altre, una delle molte religioni, la depositaria di una delle verità annunciate da un profeta, una delle strade possibili per giungere a Dio è tradire, nel suo nucleo, il fatto che Gesù sia Via, Verità e Vita.
Il negoziare, il mediare, la sinodalità o qualsiasi altra azione umana atta a mostrare il volto dialogante e comprensivo della Chiesa, non deve far dimenticare che il vero volto della Chiesa è quello del Cristo sofferente nella Passione e glorioso nella Resurrezione, un volto, il primo, che abbiamo la grazia di incontrare in ogni agonizzante.
La Chiesa non deve temere di perdere un “posto” in questo mondo. Ne ha già uno importantissimo che è quello di stare accanto a chi muore e soffre, anche perché tale posto non le sarà mai tolto, in quanto è un posto che nessuno vuole, soprattutto se questo compito doloroso ed impegnativo è da svolgere in assoluta gratuità.
Invece che lo “stare accanto” reale, che è fatica e coinvolge tutti i cinque sensi, il sovrastimare il dialogare ed il disquisire sulla morte ed il morire, può procurare la falsa certezza di aver fatto veramente qualche cosa per i morenti quando in realtà si è fatto ben poco per loro.
Il dialogo e la negoziazione rischiano d’annacquare la responsabilità individuale, anestetizzando la colpa personale e quindi -qui sta il vero pericolo- di annullare il santo impulso di chiedere costantemente perdono a Dio per le nostre mancanze.
Il disquisire di etica e morale non solo riduce la chiamata all’agire, ma dà quella falsa consolazione ed assoluzione personale, di cui costantemente ci nutriamo, che porta a dimenticarci del morente e lo priva di quella vera Consolazione e Assoluzione di cui ha estremamente bisogno.
A poco servono le prese di posizioni, che sono unicamente morali ed etiche, su argomenti che trascendono l’uomo e che resteranno per sempre nascoste nel mistero di Dio.
E per quanto è solo Dio che salva, l’Inferno alcuni possano ritenerlo vuoto, l’uomo sia un servo inutile nel piano salvifico di Dio, la Chiesa ed i cristiani sono obbligati a collaborare alla salvezza propria ed a quella del prossimo. Una salvezza che si gioca in ogni istante della vita ed in modo particolare nella morte, oltre la quale nulla è più possibile agli uomini.
Personalmente ritengo una Grazia incommensurabile quella d’aver la possibilità di essere accanto a chi soffre e di poter testimoniare a chi sta per morire, attraverso le mie povere possibilità, l’amore di Dio e la presenza della Chiesa e di poter avere il privilegio di pregare per la sua anima, sapendo che se la mia anima sarà un giorno immeritatamente salvata è sicuramente grazie al fatto che le persona che in quel momento sto accompagnando a morire, sarà la prima a chiamarmi in Paradiso ed a intercedere per me.
Sembra tutto molto, troppo semplice, ma credo proprio che sia così che si manifesta la Volontà di Dio quando ci comanda l’amore per il prossimo.
Forse l’amore per il prossimo si può riassumere, come massima sua manifestazione, nel consumante desiderio di saperlo salvo a costo della propria stessa vita. Del resto, questo non è null’altro che la testimonianza reale che ci giunge dalla Croce.
Che Dio non voglia che la Chiesa, che esiste proprio perché ha ricevuto tutti i talenti possibili, non sia come il servo della parabola, che prende l’infinità dei suoi talenti e li nasconda sottoterra, privando, nello specifico, il morente dell’unica cosa di cui ha veramente bisogno.
E soprattutto che non sia che questi talenti finiscano sottoterra, non per paura di un Padrone esigente, ma per il miraggio di un Dio buono che perdonerà comunque tutto e tutti.
Il perdono a priori non è certo il messaggio da portare a chi muore, che invece ha solo bisogno di Verità e di sapere che non vi è nessuna differenza tra chi muore e chi accompagna quanto alla responsabilità personale e comunitaria di desiderare quella Salvezza che sempre e per sempre viene offerta dalla Misericordia di Dio grazie all’incommensurabile prezzo pagato da Gesù e da tutti coloro che consapevolmente soffrono, alla Sua Giustizia.
Ciò che veramente conta ed è essenziale, ha poco a che vedere con le modalità del morire che uno Stato qualsiasi determinerà essere quella migliore, modalità che diventa apparentemente argomento importante quando, non sapendo più testimoniare la Verità di Cristo, si ha come unico interlocutore l’uomo.

 

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S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Undicesima Riflessione

Fratelli e sorelle in Cristo, nel piano di Dio per la nostra salvezza, la Beata Vergine Maria incoronata nella Sua Assunzione come Regina del Cielo e della terra è la Mediatrice di tutte le grazie. La Madonna ha svolto la Sua opera di Mediatrice in modo meraviglioso nel 1531 sul Tepeyac. La Sua Maternità divina, in virtù della quale Ella è anche Madre della Divina Grazia, è stata confermata da Nostro Signore in maniera straordinaria quando Egli lasciò la di Lei immagine sulla tilma, o mantello, di San Juan Diego.

Ad oggi, la sacra immagine rimane intatta ed irradia amore materno e miracoloso. Ho fatto personale esperienza di questo amore scrutando la tilma nella Basilica di Nostra Signora di Guadalupe a Città del Messico.
Nel Santuario di Nostra Signora di Guadalupe a La Crosse, Wisconsin, l’immagine sacra è stata riprodotta in forma di mosaico dallo Studio del Mosaico Vaticano. Tra quattro mesi, il prossimo 12 di dicembre, io e tutti i presenti, di persona o tramite i media, ci consacreremo a Nostra Signora di Guadalupe nel Suo santuario a La Crosse, Wisconsin. È mia sincera speranza che tu possa venire nel santuario per unirti a me in quest’atto solenne di amore per Nostro Signore e per la Sua opera di salvezza nella Chiesa. Nel santuario, Nostra Signora di Guadalupe ci manifesta il grande mistero dell’amore di Dio per noi, invitandoci ad avere totale fiducia nelle Sue promesse.
Consacrarci nel santuario sotto l’ispirazione e la direzione della Vergine Madre di Dio, Nostra Signora di Guadalupe, sarà la nostra risposta all’inesauribile e smisurato amore del Signore per noi. Sforziamoci di rispondere, anche nel nostro quotidiano, sempre più fedelmente e generosamente alle cure materne e al consiglio della Madonna. «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5). Dunque, possano i nostri cuori essere trasportati dal Cuore Immacolato di Maria nel Sacro Cuore del Suo Figlio, Gesù.

Preghiamo…

S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Decima Riflessione

Quando la Madonna intercedette per ristabilire la salute di Juan Bernardino, Ella gli comandò anche di comunicare al Vescovo il miracolo della sua guarigione. Fu in questo momento che Ella chiese pure che Lei e la Sua immagine sulla tilma fossero conosciute con il titolo di “Santa Maria di Guadalupe”. Le vere gioie richiedono di essere condivise. Quando siamo mossi da qualcosa di vero, di buono o di bello, sentiamo il bisogno di raccomandarlo agli altri.

Quando sentiamo una buona notizia, la prima cosa che vogliamo fare è condividerla. Godiamo addirittura nello spiegare in dettaglio, alla nostra famiglia e ai nostri amici più stretti, la complessità delle buone attività che ci piacciono. Quando amiamo davvero qualcuno, vogliamo che gli altri partecipino a questo amore con noi. Dunque, miei fratelli e sorelle in Cristo, prendiamo un momento per esaminare come condividiamo il nostro amore per la Madonna con coloro che ci circondano. La Santa Madre Chiesa ha preservato così tante belle devozioni mediante le quali possiamo fare esattamente questo. Invitiamo gli altri a pregare il Rosario con noi. Indossiamo lo scapolare o la Medaglia Miracolosa. Facciamo dell’osservanza delle feste mariane un punto fermo con un’adeguata celebrazione – magari invitando amici e famigliari alla Santa Messa o ad un pasto a casa nostra. Qualsiasi cosa vi sembri più spiritualmente e praticamente appropriata nelle vostre vite, non siate timidi nell’amore alla Beata Vergine poiché, crescendo nell’amore per Lei, vi avvicinerete sempre più al Suo Figlio divino, il Nostro Signore Gesù Cristo, e porterete una testimonianza ancor più grande al vostro amore per Lui che, solo, è la nostra salvezza, richiamando così altri a conoscerLo e a conoscere la salvezza che Egli offre a noi nella Sua santa Chiesa.

Preghiamo…
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