Il Pensiero Cattolico

21 Gennaio 2025

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Don Nicola Bux

Dal ciclo di catechesi sui Novissimi: “Le cose dell’Altro Mondo”

Giudizio particolare dell'anima e quello universale alla fine dei tempi

Il secondo termine dei Novissimi, cioè delle ultime cose che attendono l’anima di ogni uomo alla fine della vita, è il giudizio di Dio (Catechismo, art.134 e 135). Sia nel credo degli apostoli che in quello più completo niceno-costantinopolitano, si afferma che Cristo, a conclusione della storia umana, verrà a giudicare i vivi e i morti.

E’ interessante notare che anche gli ebrei e i musulmani credono nel giudizio universale; infatti, ancora oggi usano seppellire i loro morti ai piedi del Monte degli Olivi, dove è stabilito il luogo in cui avverrà il giudizio finale e tutti risorgeranno. Per noi cristiani, gli uomini saranno giudicati da Cristo, perché solo Lui è venuto a salvarli, passando attraverso la croce. Lì, sulla croce, ha sintetizzato tutta la sofferenza del mondo, assumendola su di Sé, perciò, col potere che ha acquisito come Redentore, giudicherà gli uomini  nei segreti dei loro cuori. Dopo l’ultimo sconvolgimento del mondo, ogni uomo, a seconda delle sue opere, sarà colmato di vita o dannato per l’eternità.  Al nr. 205, si legge che “Il corpo, a conseguenza della morte, cade nella corruzione, mentre l’anima che è immortale, va incontro al giudizio di Dio e attende di ricongiungersi al corpo che risorgerà trasformato, al ritorno del Signore”. Si parla qui del giudizio individuale, particolare. Tra i due estremi che sono l’inferno e il paradiso, c’è ancora una possibilità di purificazione, in quello stato che viene chiamato Purgatorio. Per evitare ciò, è molto importante essere sempre in grazia di Dio, accostarsi frequentemente alla confessione e lucrare le indulgenze, che ci liberano dalle pene accumulate con i peccati. L’art. 205 conclude: “Comprendere come avverrà la risurrezione, supera le possibilità della nostra immaginazione e del nostro intelletto”. Sappiamo che  Cristo ha compiuto la risurrezione in Sé stesso, perciò, si può tranquillamente pensare che chiunque vive e crede in Lui, sarà risuscitato nell’ultimo giorno. Per questo, noi abbiamo al centro della nostra fede la Pasqua, che è appunto la risurrezione del Signore. Al nr. 207 si afferma che“La vita eterna inizierà subito dopo la morte. Essa non avrà fine. Sarà preceduta per ognuno, da un giudizio particolare ad opera di Cristo e sarà sancita dal giudizio finale.” . Tuttavia, per noi cristiani, la vita eterna comincia già col battesimo, perché in questo sacramento riceviamo la vita di Cristo e la Sua grazia, sebbene contenuta in vasi di creta. Quando, a volte, mi prende la paura della morte, mi rassereno pensando che, se certamente il mio corpo dovrà morire, la mia anima, che è la parte più importante di me stesso, non morirà mai. Sarà per noi come l’esperienza di cambiare un abito, passando da uno, invernale, ad un altro, estivo…  Gesù ha detto: “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde sé stesso?” Se l’anima è immortale, dobbiamo fare molta attenzione alle opere che compiamo, ai nostri affetti, a tutto ciò che costituisce il bagaglio con cui arriveremo davanti al Signore.

Nell’art. 208 viene spiegato che “ il giudizio particolare riguarda la retribuzione immediata che ciascuno, dopo la morte, riceve da Dio nella sua anima immortale. Tale retribuzione consiste nell’accesso alla beatitudine del cielo, immediatamente o dopo un’adeguata purificazione, oppure alla dannazione eterna nell’inferno”.

Ecco, chiudendo gli occhi in questo mondo, li apriremo immediatamente davanti a Dio e questa sarà una visione beatifica, che annullerà ogni altro desiderio, perché Lui è la risposta a tutti i desideri dell’uomo. Se dedichiamo del tempo a Dio, per esempio, trascorrendo un’ora in preghiera, in adorazione, andando in chiesa, o stando a contatto con la natura, la nostra anima sarà rinfrancata e si avvicinerà sempre di più al Signore. Anche Gesù andava sulla montagna; infatti, i monti avvicinano al cielo, dove diventa più vivo il desiderio di Dio. L’art. 214 spiega che ”Il giudizio finale o universale consisterà nella sentenza di vita beata o di condanna eterna, che il Signore Gesù, in qualità di giudice, emetterà a riguardo dei giusti e degli ingiusti. A seguito di tale giudizio, il corpo risuscitato parteciperà alla retribuzione che l’anima ha avuto nel giudizio particolare”.  Ecco finalmente il momento in cui il corpo risuscitato tornerà ad essere unito all’anima. Quando avverrà questo giudizio? Dice il 215: “Questo giudizio avverrà alla fine del mondo, di cui solo Dio conosce il giorno e l’ora”.

Nell’ art. 216, si conclude affermando che “Dopo il giudizio finale, lo stesso universo, liberato dalla schiavitù della corruzione, parteciperà alla gloria di Cristo con l’inaugurazione di nuovi cieli e di una terra nuova. Sarà così raggiunta la pienezza del Regno di Dio, ossia la realizzazione definitiva del Suo disegno salvifico, di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del Cielo come quelle della Terra”. Finalmente, nella vita eterna, Dio sarà tutto in tutti e questa è la conclusione del giudizio universale.

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Luoghi di culto espressione di una forte apostasia generale

Mario Mascia

Accidia: dramma, sacrificio e liberazione

Dal convegno tenutosi il 3 gennaio 2025 dal titolo “La noia nel cattolicesimo nemico tramite e risorsa” presso l’Aula Magna Unikoine ad Oristano

L’operare distaccato e privo di profonde motivazioni, assimilato dall’individuo, può rivelarsi nel tempo mezzo di disincanto e disistima di sé determinando una dicotomia tra i propri talenti, inclinazioni e il frutto dell’attività svolta, che non è propriamente emanazione del proprio essere. Un riprovevole ripiegamento su sé stesso può dare adito alla fuga dalla realtà frustrante e ad un disimpegno da ogni attività origine di responsabilità. Sfuggire da circostante spiacevoli in situazioni senza certezze può determinare la noia, disposizione da cui promana insoddisfazione e abulia che proviene dall’inattività o dal ripetere azioni monotone e inutili.

Una causa emblematica fra tante e mortificanti a cui non sempre è possibile dare risposte salutari e convenienti può configurare una resa ad un approccio risolutivo a fronte di un dilemma al punto da configurare un vuoto motivazionale nelle iniziative progettuali. Lo stato d’animo risulta compromesso verso un progressivo indebolimento della volontà di intraprendere qualsiasi iniziativa. Qualunque inibizione dell’attività psichica e cognitiva può degenerare nell’abulia che giungerebbe in difesa la noia. Un modus vivendi dell’essere caratterizzato da un indifferentismo asettico, inteso in senso figurato, come incapace di suscitare o di subire emozioni, in una posizione di “spettatore neutro” nello scorrere degli avvenimenti di un mondo lontano ed estraneo dagli orizzonti del vivere presente può tradursi in un appiattimento arido in cui è smarrito il senso naturale del vivere.
La noia può essere considerata la corrispondente (dell’acedia) dell’accidia che fin dal medioevo, era un peccato capitale che commettevano coloro, dediti alla vita contemplativa, finivano per cedere nell’inerzia non compiendo il male ma neanche il bene. In senso stretto l’accidia è il peccato capitale meno riconosciuto in quanto così diffuso che si considera normale e perfino accettabile come l’indifferenza.
Il male dell’anima designa la mancanza di interesse verso ogni iniziativa determinando l’abbattimento, la malinconia ed una mancanza di gusto della vita. Nel Rinascimento il sentimento della noia si eleverà per gli spiriti tormentati dei geni e degli artisti, in quello della malinconia, alla quale la cultura occidentale, specie nel Romanticismo, assegnerà il valore di ripiegamento meditativo dell’animo su sé stesso.

Aridità dello spirito

L’accidia risuona nella dottrina cattolica come avversione all’operare fino allo smarrimento delle fede. Il male dell’anima designa una chiusura alla speranza negli episodi della prova che inducono a configurare nell’animo un dissiparsi dell’intento a ricomporre i frantumi dei disegni progettuali attesi ma infranti in una sconfitta. L’accidia rivela la debolezza dell’anima nell’assenza di attrazione, di desiderio della vita svuotata di senso. Alcuni passi biblici ben descrivono lo stato d’animo accidioso:
Presi in odio la vita, perché mi era insopportabile quello che si fa sotto il sole. Tutto, infatti, è vanità e un correre dietro al vento. (Qo 2,17) Una tristezza straziante e diffusa nei confronti della pesantezza del vivere viene espressa in modo lucido ed eclatante dal libro di Giobbe o dal profeta Geremia. In estrema sintesi la filosofia dell’accidioso è espressa nelle famose parole di Qoelet (l’ecclesiaste) quando dice; Vacuità delle vacuità, tutto è vacuità, e quindi sorge il dubbio a che vale impegnarsi?
L’accidioso nella sua ostilità al cambiamento è la rappresentazione della ineluttabilità della morte. I rimedi terapeutici possono essere utili per l’identificazione dei valori per cui vivere e quelli che lo fanno confrontare appunto con la brevità dell’esistenza e l’eternità del nulla. Nella condizione del letto di morte pochi o assenti saranno i rimorsi, e non riusciranno a farsi largo tra la folla dei rimpianti che lo accompagneranno alla tomba sulla cui lapide saranno scritte le due date senza nulla in mezzo. Il male dell’anima è stato oggetto di attenzione da diversi autori come Francesco, Petrarca e Giovanni Cucci.
“Una malattia dell’animo” è un testo ricavato dal “Secretum” scritto da Petrarca per esprimere il dissidio interiore delle due parti della sua anima in conflitto, una parte svolta da Sant’Agostino l’altra da Francesco in un lungo dialogo. Queste parti rappresentano gli ideali di purezza cristiana, il desiderio di gloria, passione, ambizione e amore terreno.
Per esprimere i suoi sentimenti Petrarca usa un linguaggio da guerriero: si sente attaccato come un soldato in battaglia e rivolto a comprendere i motivi che lo hanno portato in battaglia contro l’accidia mediante il dialogo col suo interlocutore. Sant’Agostino, esempio di virtù morale e spirituale, raffigura l’ancora di salvezza in grado di aiutare a vincere.
Petrarca espone le sue idee in modo impetuoso e avvincente, contrariamente alle risposte di sant’Agostino che espone un’analisi razionale. “Come notte d’inferno e acerbissima morte” l’accidia combatte contro l’autore con il suo esercito, mentre cerca di difendersi, ma “il trascorrere dei beni temporali”, “i dolori fisici” e “qualche offesa della troppa avversa fortuna” lo colpiscono con violenza. La consapevolezza del male che lo affligge e lo distingue dagli altri peccati, in cui la discontinuità e l’alternanza lo inebriano con il loro retrogusto, contrariamente alla negativa costanza dell’accidia, non permette di intravedere nessuno spiraglio. Contrariamente dal Petrarca, che parla del vizio capitale come di un sentimento intimo, Cucci nel suo tema, definisce l’accidia un male narcisista di cui soffre la società. Lo stile che utilizza Cucci è diretto e semplice nel riconoscere l’accidia e la depressione l’esito di una mentalità egocentrica e narcisistica formando la persona al centro della realtà. La tesi è suffragata da diversi studi psicologici che rilevano come la depressione e la tristezza si stanno diffondendo in maniera esponenziale nella società occidentale.
La diffusione delle applicazioni tecnologiche non è in grado di compensare la vacuità della vita interiore secondo Cucci, in quanto la tecnologia e l’abbondanza dei beni materiali non potranno garantire la realizzazione di una vita felice. Nella società, di cui siamo partecipi, molte persone soffrono di accidia, senza speranza e capacità di attenzione, la cui distrazione prevarica sulla dedizione alle attività di solidarietà umana o di carattere educativo, per cui la consuetudine consiste nel “lasciar fare” nell’ abbozzare senza mettere in discussione la propria condotta o edificarsi attraverso un percorso introspettivo sul proprio comportamento, proponendo un modello di virtù morali e spirituali.
La diffusione dell’accidia secondo Cucci è dovuta all’amore smodato per sé stessi che porta gli individui a stare prigionieri del proprio io, senza l’intento del miglioramento. Cucci descrive il male come una “morte lenta”, definendola come abitudine, rassegnazione e arrendevolezza di fronte alle difficoltà.
Intanto in Petrarca è presente la volontà di liberarsi dalla dicotomia che alberga in lui; dalle sue opere risulta che sia solo, narciso, in balia dei suoi mali, ma tuttavia disposto a lottare. L’accidia è comunemente adombrata da un falso riconoscimento e difficilmente concepibile come un male che può imperversare nella quotidianità in presenza di afflizioni, inquietudini e affanni; pertanto, è plausibile ricorrere ad un paradigma per cogliere spunti e riflessioni verso criteri di giudizio chiarificatori. La risposta che può ispirare la coscienza può trovarsi nelle opere di misericordia che possono giovare l’indulgenza giubilare.

LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE

1 – Consigliare i dubbiosi
2 – Insegnare agli ignoranti
3 – Ammonire i peccatori
4 – Consolare gli afflitti
5 – Perdonare le offese
6 – Sopportare pazientemente le persone moleste
7 – Pregare Dio per i vivi e per i morti

LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA CORPORALE

1 – Dar da mangiare agli affamati
2 – Dar da bere agli assetati
3 – Vestire gli ignudi
4 – Alloggiare i pellegrini
5 – Visitare gli infermi
6 – Visitare i carcerati
7 – Seppellire i morti


Liberazione

Il passo risolutivo del vizio capitale viene ricavato da un brano della pubblicazione “Amici domenicani” del 25 aprile 2020, esposto dal reverendo Padre Angelo Bellon in riposta ad un lettore.
Risposta del sacerdote:

1. Comunemente per accidia s’intende la pigrizia. Bisogna precisare però che si tratta di una particolare pigrizia, quella che si prova nell’amare Dio, nelle cose spirituali. Questa precisazione è importante perché vi possono essere persone attivissime, ma che sono colpite dall’accidia, perché nella vita spirituale sono del tutto prive di fervore e di impegno.

2. Il principale rimedio per combattere l’accidia, che secondo san Tommaso consiste in un vizio contrario alla virtù teologale della carità, consiste in un amore per il Signore più forte e più intenso. E poiché questo amore non dipende esclusivamente da noi perché è di ordine soprannaturale, è necessario domandarlo a Dio. Gesù ha detto: “nessuno viene a me se il Padre non lo attira” (Gv 6,44). Allora bisognerà chiedere insistentemente al Signore la grazia di poterlo amare sempre di più. A tal punto è necessario evocare la bella giaculatoria, che riprende le ultime parole dell’atto di carità: “Signore, fa’ che ti ami sempre più”. Dicono che Giovanni Paolo I la ripetesse frequentemente nei vari andirivieni della giornata.

3. È un’invocazione bella ed efficace. I teologi ci ricordano che, se noi siamo in grazia di Dio e chiediamo a Dio dei beni di ordine soprannaturale, meritiamo quanto chiediamo quasi per giustizia. Il che significa che Dio ce li deve dare. Il motivo non è difficile da comprendere: Dio era libero di adottarci come suoi figli, e cioè di dare a noi tutto quello che ab aeterno (“dall’eternità”) ha dato a suo Figlio Unigenito. Ma dal momento che ha voluto questo, si è in qualche modo obbligato nei nostri confronti. È più o meno quello che capita a due sposi che decidono di adottare un figlio. Sono liberi di farlo. Ma dal momento che lo fanno, si obbligano nei confronti del figlio adottivo e si impegnano a dargli tutto quello che danno ai figli di sangue.

4. A questo punto si rende necessaria una prontezza da parte nostra ad accogliere questo suo dono, che in genere si manifesta con un’ispirazione all’impegno. Questa inspirazione è una grazia. Se la riceverai con fedeltà e con prontezza ti accorgerai ben presto che ad essa ne seguono subito molte altre. La tua vita allora conoscerà una freschezza simile a quella della primavera.

5. In particolare, al dire di san Tommaso, la molla della devozione, e cioè del trasporto e della fedeltà verso il Signore, consiste nella mortificazione, vale a dire nella capacità di fare il bene anche quando ci costa e nel privarci di qualcosa per amore Suo. Si direbbe che, quando Dio vede che lo vogliamo amare con i fatti e che siamo capaci di dimenticarci di noi stessi, subito, come in una gara di generosità, accende in noi in maniera più forte l’amore e la dedizione per Lui.

6. Per vincere l’accidia ci si può autodeterminare, oltre che nel compimento esatto del nostro dovere quotidiano, anche in quello di qualche altra pratica non richiesta. Potrebbe essere un servizio costante fatto per amore di Dio in casa o fuori casa, oppure anche una particolare pratica di pietà, come ad esempio il Rosario tutti i giorni.

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Don Nicola Bux

Dal ciclo di catechesi sui Novissimi: “Le cose dell’Altro Mondo”

La morte: come preparare la nostra e quella degli altri. 

(seconda parte)

La morte è una realtà della nostra vita, perciò è inutile occultarla, come accade oggi nella nostra società occidentale. Di fronte a questo evento, noi cristiani siamo sereni, perché il Signore ci ha promesso che, con Lui, non dobbiamo avere paura di nulla. Sappiamo che la morte dura un attimo, è un passaggio; infatti, la celebriamo soprattutto nella Pasqua, così intesa come passaggio dalla realtà apparente e dolorosa di questo mondo, alla realtà eterna.

A partire da questo Natale, con l’apertura dell’Anno Santo ordinario, si possono ottenere le indulgenze, cioè la remissione delle pene che noi conseguiamo a causa  dei nostri peccati. Si tratta di un atto gratuito, donato dalla bontà di Dio che si ottiene, ovviamente, dopo essersi accostati ai sacramenti della confessione e della comunione.
Il pellegrinaggio e il transito attraverso la porta Santa, rappresentano il segno della fatica che si compie per ottenere questa grazia. Inoltre, le indulgenze si possono applicare anche alle anime dei defunti, che si trovano a scontare la pena temporanea nel Purgatorio.   (Compendio, negli articoli 308, 311 e successivamente, nei 314, 316 e 320).
L’unzione degli infermi è un altro gesto importante da compiere in vista della morte e in caso di  malattia seria. Spesso si amministra anche in previsione di un intervento chirurgico, perché, in quanto sacramento, ha il potere di sollevare fisicamente il malato. E’ un dovere per noi cristiani, chiamare un sacerdote prima che la persona morente abbia perso completamente conoscenza. Infatti, oltre all’estrema unzione, potrà ricevere anche l’Eucarestia sotto forma di viatico, che è il necessario accompagnamento dell’anima nel viaggio verso l’aldilà. Il momento del trapasso è da considerarsi molto delicato, perché, come afferma San Paolo, gli spiriti maligni, presenti fra noi sotto varie forme, sono sempre in agguato per rubare le anime, soprattutto quando esse stanno per lasciare i loro corpi.
A questo proposito, ci sono molte testimonianze, come quella raccontata dal biografo di san Martino di Tours… Ecco perciò, l’importanza, prima di affrontare il distacco dalla vita terrena, di essere cristianamente attrezzati con questi tre Sacramenti, detti anche “conforti religiosi”: confessione, estrema unzione e viatico. 
Ora riflettiamo sui punti 354 e 355 che riguardano le esequie. Nel funerale si chiede al Signore di assolvere in extremis il defunto e di accoglierlo tra le Sue braccia nel paradiso, così, in questa cerimonia sono da evitarsi manifestazioni simili ad uno spettacolo, con tanto di applausi e ridicoli panegirici (bravo il maestro Muti che li ha vietati al suo futuro funerale…). La morte del cristiano si manifesta alla luce della morte e risurrezione di Cristo, nostra unica speranza, perciò nelle esequie raccomandiamo l’anima del defunto a Dio, affinchè giunga presto alla beatitudine del Paradiso. Chiediamo che essa sia purificata dagli ultimi residui del peccato e successivamente, attraverso le messe in suffragio, imploriamo che sia liberata dalle pene del Purgatorio.
La stessa parola Purgatorio significa lo stato in cui si viene purificati. E’ una condizione dura, fortunatamente non eterna, tuttavia, da evitare. Ecco cosa scriveva San Francesco, nel Cantico della creature: “Guai a quelli che moriranno in peccato mortale e beati quelli che la morte troverà in grazia di Dio, poiché la seconda morte (la dannazione divina) non li potrà fare loro alcun male.” 
Nel compendio è importante capire anche i punti 471 e 476.  Riguardo all’eutanasia, il Papa ha ripetutamente affermato che la vita deve essere accompagnata fino al momento della morte naturale, ritenendo lecito l’uso delle cure palliative, ma senza accanimento terapeutico. Invece oggi, purtroppo, assistiamo ad un vero e proprio business che, falsamente, fa credere di agire per il bene del malato, al fine di evitargli lunghe e inutili  sofferenze.
Per questo, se non ci sono più speranze di guarigione e la morte risulta imminente, ritengo poco opportuno far ricoverare i malati, perché in ospedale rischiano di morire da soli; molto meglio tenerli in casa, circondati dall’affetto e dalla preghiera dei loro cari… Importante il punto Nr. 476:” Il trapianto di organi è moralmente accettabile, col consenso del donatore e senza rischi eccessivi per lui. Per il nobile atto della donazione degli organi dopo la morte, deve essere pienamente accertata la morte reale del donatore”.
In conclusione, consiglio di arrivare preparati al momento della morte, come un tempo i nostri anziani ci raccomandavano; loro, addirittura, solevano avere pronti persino i vestiti, in modo tale che tutto si compisse con ordine, senza confusione. Ecco, seguiamo i tempi stabiliti da Dio, abbandonati alla Sua volontà, senza paure o preoccupazioni eccessive.

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Luoghi di culto espressione di una forte apostasia generale

S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Preghiera quotidiana di coloro che si sono consacrati a Nostra Signora di Guadalupe

O Vergine Madre di Dio, Nostra Signora di Guadalupe,
al sorgere di un nuovo giorno io rinnovo la mia consacrazione a Te, mia compassionevole madre.
Prego di poter essere oggi, con San Juan Diego, tuo messaggero sempre fedele.

Ti prego, intercedi per la conversione del mio cuore a Cristo, Tuo divin Figlio. Lungo questo giorno, possa il mio cuore, unito al Tuo Cuore Addolorato e Immacolato, riposare sempre più perfettamente nel Suo glorioso Cuore trafitto.
In ogni cosa, possa io compiere ciò che Egli mi domanda.
Nelle difficoltà, nelle prove e nelle tentazioni, possa io, nel Tuo abbraccio, confidare nella Sua promessa di ottenere in me il trionfo sul peccato e sulla morte.

Prego anche per i tanti che hanno abbandonato Cristo e per i tanti che ancora non Lo conoscono.
Possa Tu portare milioni di anime a Cristo e possa io, Tuo messaggero, avvicinare anime a Lui che, solo, è la nostra salvezza.

O Signora di Guadalupe, sotto il Tuo manto pongo la mia famiglia e la mia patria, domandando che Cristo possa regnare in tutti i cuori dal Suo Sacratissimo Cuore.
Possa Egli, per Tua intercessione, effondere nei cuori umili e contriti il dono settiforme dello Spirito Santo, dissipando da essi ogni oscurità e peccato e infiammandoli con la verità e l’amore divini.

Possa io, vivo in Cristo, avanzare oggi nel pellegrinaggio terreno verso la mia dimora eterna con Te, con gli angeli e con tutti i santi, dove loderemo e glorificheremo per sempre Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo.
Con tutto il mio cuore, domando questo in Cristo, Tuo divin Figlio, mio Signore e mio Salvatore.

Amen.

Eleonora Casulli

LA DONNA NEL GIUDEO-CRISTIANESIMO E NELLA CHIESA CATTOLICA

MAI COSTOLA FU PEGGIO FRAINTESA

Proseguendo nel percorso che ci sta portando a riscoprire, basandoci sulle Sacre Scritture, la visione del giudeo-cristianesimo relativamente al mondo femminile in se stesso e in relazione col maschile, mi si conceda l’ironia sottesa nel titolo del presente articolo. La questione è certamente seria e importante, ma la quantità e la pertinacia dei travisamenti a cui è andato incontro il testo di Genesi 2, 21-23 nel corso del tempo mi spinge a cercare di sdrammatizzare.

Il testo recita:

“Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse:
«Questa volta essa
è carne dalla mia carne
e osso dalle mie ossa.
La si chiamerà donna
perché dall’uomo è stata tolta».”


Il torpore segue all’insoddisfazione che l’uomo trova nella compagnia delle altre creature, in particolare degli animali, che non gli consentono di uscire dalla solitudine esistenziale nella quale si trova (vedere il precedente articolo). Tale torpore indica, nella Bibbia, l’imminenza di un importante intervento della Grazia di Dio: si vuole sottolineare la passività dell’uomo rispetto a ciò che sta per accadere e, quindi, che la donna è il risultato di un’azione di Grazia, è opera dello Spirito Santo, è voluta da Dio per il bene delle sue creature. Basterebbe soltanto questo passaggio, in verità, a mostrare l’enorme distanza fra questa visione e quelle dei miti pagani e del mondo pre-cristiano: si pensi al mito greco del vaso di Pandora1, nel quale la prima donna mortale viene portata sulla Terra da Zeus per vendetta, al fine di danneggiare gli uomini, creata apposta per la perdizione del genere umano; ella, infatti, arrivata sulla Terra, apre il vaso che Zeus le ha detto di non aprire e da esso scaturiscono e si diffondono tutti i mali che affliggono l’umanità, compresa la mortalità. Sebbene si possano rintracciare analogie fra tale mito e il racconto della Genesi sul peccato originale, è evidente la novità del giudeo-cristianesimo: la donna della Genesi è creatura amata e voluta dal Creatore al pari dell’uomo, orientata al bene in quanto creatura di un Dio che è assoluta bontà ed è guidato dall’amore incondizionato verso l’umanità (a differenza delle divinità pagane). Inoltre appare chiaro come l’uomo, non vedendo Dio che opera la creazione della donna, non possa considerarla una creatura fatta su misura dei propri desideri: ella è e resterà sempre per lui un mistero e solo in Dio, Creatore di entrambi, i due saranno in grado di incontrarsi e conoscersi nel profondo del loro essere.2
Mentre l’uomo è assopito, Dio stacca una sua costola e con essa plasma la donna. Per secoli questa frase ha fatto della donna un sottoprodotto dell’umanità, un’eterna seconda, nel tempo e nel valore, in quanto “derivato” dell’uomo. Niente di più lontano dalla volontà dell’autore biblico. Infatti, “un’interpretazione del termine «costola» attenta al contesto letterario e culturale smentisce (…) tale mentalità. (…) Qui «sela=costola» serve per indicare la rassomiglianza tra due esseri e la parentela. Così l’uomo e la donna sono fatti dello stesso materiale; hanno la stessa natura e la stessa dignità perché fatti della stessa pasta”.3
Mi sembra essenziale e illuminante questo punto: al di là dei travisamenti accorsi nella storia del giudeo-cristianesimo, figli della comprensione graduale della Rivelazione che sempre bisogna tener presente,4 oggi sappiamo che questo passo biblico significa proprio parità di genere, per dirla con un linguaggio contemporaneo. Parità di genere non nel senso del maschio che concede alla donna la parità, dopo che ella ha lottato per ottenerla; qui la parità sta a livello di essere: l’uomo e la donna, il maschio e la femmina del genere umano, sono alla pari, uguali in tutto e per tutto perché così il Creatore li ha pensati, voluti e «costruiti».5 Ecco perché, a mio parere, ogni legittima lotta che vede come obiettivo il riconoscimento di questa parità non dovrebbe additare la tradizione giudaico-cristiana come uno degli ostacoli contro cui lottare, bensì come un potente alleato, una base sicura su cui poggiarsi e una copiosa fonte ispiratrice alla quale poter attingere. Almeno in linea di principio. Allo stesso tempo, non dobbiamo considerare a priori negativamente tutte le rivendicazioni di questa parità: esse vanno certamente passate al vaglio della fede cristiana, ma possono essere considerate parte di quei “segni dei tempi” che aiutano la Chiesa stessa a progredire nella comprensione della Rivelazione.6
La costola è nella tradizione giudaica la parte più nobile, perché contiene il cuore, quindi l’amore e la vita: questo dice molto sul valore e sulla funzione della donna e ci porta ai versetti successivi, laddove Dio presenta la donna all’uomo ed egli esplode in un canto di gioia e liberazione (“finalmente”). Finalmente l’uomo può uscire dal silenzio del proprio insormontabile isolamento esistenziale e aprirsi al dialogo profondo con un «tu» grazie al quale comprende fino in fondo anche la propria identità.7 L’uomo riconosce la donna come dono del Creatore (è Dio che la conduce a lui), non come propria conquista o come oggetto che esercita seduzione su di lui, facendo dell’uomo una preda della donna; la loro relazione, dunque, dice donazione e gratuità, pilastri del matrimonio cristiano e valori sempre più lontani, purtroppo, da quanto il mondo ci propone.
Le gioiose parole pronunciate dall’uomo (“è carne dalla mia carne/e osso dalle mie ossa”) ci riportano al giusto modo di intendere la plasmazione dalla costola: l’uomo riconosce nella donna una parte di sé, vede in lei e sottolinea l’appartenenza alla stessa realtà creaturale, le sue parole così concretamente corporali dicono in maniera splendida ed efficacissima il rapporto che si instaura fra i due: “una comunione profonda mediata dalla realtà corporale (…) ritenuta capace di far entrare in dialogo due persone”.8
Si arriva, infine, alla chiarificazione terminologica che conclude la comprensione nuova della realtà: al versetto 23 non si parla più di «adam», essere umano indeterminato, ma Adamo parla di se stesso chiamandosi «ish» (uomo, signore, marito) e chiama la donna «isshah» (letteralmente «uoma», in italiano «donna»): chiamandola con il femminile di se stesso, l’uomo riconosce in lei la comune radice di appartenenza, pur nella diversa identità. L’originale ebraico è potente ed efficace nel togliere ogni residuo dubbio su quanto detto.9

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[1] Per il testo italiano tradotto dall’originale di Esiodo: https://it.wikisource.org/wiki/Le_opere_e_i_giorni_(Esiodo_-_Romagnoli)/Prometeo_e_Pandora Per un commento esplicativo: https://aulalettere.scuola.zanichelli.it/sezioni-lettere/il-passato-ci-parla/la-prima-donna-pandora-lindefinibile
[2] Cfr. G. Cappelletto, In cammino con Israele. Introduzione all’Antico Testamento – I, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2006, pag. 140.
[3] Ibidem.
[4] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 94 e 99.
[5] «Costruire» è la più fedele traduzione del verbo ebraico generalmente tradotto con «plasmare», cfr. Cappelletto, pag. 140.
[6] Cfr. Gaudium et Spes 4, 11, 44.
[7] Non posso qui soffermarmi su quanto le scienze umane, la psicologia e la sociologia in primis, ma anche le più recenti neuroscienze, ci confermino questo attraverso i percorsi propri di ogni disciplina: l’uomo può prendere gradualmente coscienza di sé solo nella relazione con l’altro e con l’ambiente, a partire dal grembo materno.
[8] Ibidem, pag. 141.
[9] Interessante articolo che si sofferma sulla terminologia: https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/Partire_da_Adamo_ed_Eva.html

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S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Diciottesima Riflessione

Fratelli e sorelle in Cristo,
tra poche settimane farò il mio Atto di consacrazione a Nostra Signora di Guadalupe nel Santuario di Nostra Signora di Guadalupe a La Crosse, Wisconsin, durante l’offerta solenne della Santa Messa alle 12:15 (fuso orario centrale degli Stati Uniti).

Nelle prossime settimane, potremmo trovarci di fronte a prove e a trappole più grandi quanto più ci avviciniamo a compiere quest’epocale consacrazione alla Madonna, la Donna che schiaccia la testa del serpente infernale.
Preghiamo per una fede e una perseveranza maggiori nella nostra vita di preghiera e nella nostra vita nella Chiesa, così che possiamo procedere nel nostro pellegrinaggio terreno con il suo destino: la nostra dimora eterna con Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo, in compagnia degli angeli, della Beata Vergine Maria e di tutti i santi.

Preghiamo…

Video della riflessione con alla fine la recita della preghiera da parte del Card. R.L. Burke

S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Diciassettesima Riflessione

Fratelli e sorelle in Cristo,
tra un mese a partire da ora, il 12 dicembre, compirò l’atto di consacrazione a Nostra Signora di Guadalupe come culmine della Novena di nove mesi che abbiamo fatto per implorare l’intercessione della Vergine Madre di Dio in questi tempi così tormentati e preoccupanti per il mondo e per la Chiesa. L’atto solenne di consacrazione avrà luogo nel Santuario di Nostra Signora di Guadalupe a La Crosse, Wisconsin, durante l’offerta della Santa Messa alle 12:15 (fuso orario centrale degli Stati Uniti).

Con la Madonna, vi invito al santuario per vivere l’atto di consacrazione con me in questa data importante. Fu nel 12 dicembre del 1531 che la Beata Vergine Maria offrì al Vescovo Juan de Zumarraga il segno della verità delle sue apparizioni che questi aveva richiesto a San Juan Diego: il fiorire miracoloso delle rose in pieno inverno sulla cima di una collina brulla e pietrosa.
Ma, ancor più meravigliosamente, Dio offrì il segno definitivo di quella verità: impresse l’immagine della Vergine di Guadalupe sul mantello di San Juan Diego, così che Ella, in un certo senso e realmente, potesse continuare ad apparire ai Suoi figli che sarebbero giunti in pellegrinaggio per incontrarLa e, incontrando Lei, per incontrare il Suo divin Figlio, soprattutto nei sacramenti della Penitenza e della santissima Eucaristia.
Spero che possiate unirvi in pellegrinaggio con me per incontrare la Madonna nel santuario. Se non potrete compiere il pellegrinaggio al Santuario per compiere l’atto di consacrazione, vi prego di unirvi a me attraverso i media.
La Santa Messa sarà trasmessa sul sito ufficiale della Novena e sul sito del Santuario, e sarà trasmessa anche su EWTN. Altrimenti, fate l’atto di consacrazione nella vostra parrocchia davanti al Santissimo Sacramento. Per il momento, preghiamo per una devozione rinnovata alla Madonna ed un più fermo proposito di incontrare Suo Figlio, specialmente nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, e di seguirLo nelle nostre vite quotidiane.
In questo mese finale della Novena di nove mesi, preghiamo per ricevere protezione dalle trappole del maligno, e per la nostra forza e dedizione a donare i nostri cuori completamente, in unione con il Cuore Immacolato di Maria, al Sacratissimo Cuore di Gesù.

Preghiamo…

Video della riflessione con alla fine la recita della preghiera da parte del Card. R.L. Burke

Don Salvatore Vitiello

Giovanni Paolo II: Redemptor Hominis Cristo centro del mondo e della storia

Il documento è datato 7 marzo del 1979, San Giovanni Paolo II era stato eletto a ottobre del 1978; ergo, questo è il manifesto del suo pontificato. Nel ‘79 abbiamo due grandi realtà che dobbiamo avere davanti agli occhi, per comprendere il documento: a livello geopolitico è ancora intatto il blocco dell’Unione Sovietica, con i paesi satelliti, compresa la Polonia di San GPII, e a livello ecclesiale si è appena concluso il Concilio Vaticano II, dieci anni prima, e c’è ancora un movimento interno alla Chiesa di contestazione, soprattutto d’Oltralpe (la Germania, la Svizzera, la Francia), che era terribile.

Noi adesso stiamo soffrendo per delle ragioni precise, ma la sofferenza non si è mai interrotta e San Paolo VI ha sofferto quello che ha sofferto e ha cercato di tenere in mano le redini della Chiesa e il Giuss è stato un grandissimo perché ha salvato tantissimi dal rifiutare Cristo e la Chiesa, cioè ha intuito il ritardo di alcuni nella Chiesa, rispetto al mondo, nell’annunciare Cristo: il Signore lo ha illuminato e ha iniziato un nuovo modo, esistenzialmente significativo, di annunziare Cristo, che ha portato tutti noi oggi ad essere qui, secondo le nostre vocazioni e la nostra storia.
Per cui questo documento va collocato in quel contesto in cui fu pubblicato, anche per capirne tutto il coraggio.
Mi soffermo sulla parte più teologica ed esistenziale per ciascuno di noi, ma c’è tutta la seconda parte, sulla libertà religiosa, su ciò che gli Stati devono fare per garantirla e sul diritto dell’uomo ad esercitarla, che è già chiaramente un’indicazione, anche politica, per tutta quell’opera che farà San GPII e sul ruolo che eserciterà per la caduta del comunismo e il rinnovamento, anche in quelle zone, della libertà religiosa.

0. Cristo centro del Cosmo e della Storia

Dopo il saluto di rito: “Venerati fratelli e carissimi figli, salute e apostolica benedizione”, San GPII, da quell’uomo virile che era, inizia subito, a gamba tesa, e la prima frase dell’Enciclica, fatta di pochissime parole, è già tutta l’enciclica. “Il Redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia”.
Quante volte il Giuss ha ripetuto questa frase, negli anni successivi: Cristo centro del cosmo e della storia!
Per noi è ovvio che sia così, ma mi sembra che in molti ambienti, anche della Chiesa contemporanea, non sia più così scontato questo dato; anzi, Cristo è collocato tra le “altre possibilità”.
“Centro del cosmo” vuol dire che tutto l’universo, me compreso, te compreso, ha Cristo come centro.
Cristo è centro del cosmo, anche di quel pezzo di cosmo che sono io, anche di quel pezzo di mondo che sei tu, perché nessuno può pensare di essere fuori dal mondo. Siamo “dentro” il mondo, siamo “un pezzo” di questo mondo. E se Egli è il centro del mondo, è anche il centro di quel “pezzo di mondo” che sono io. Centro del cosmo e della storia. Il centro cos’è? E’ il punto verso cui tutti i raggi convergono, e, dunque, “centro della storia” vuol dire che tutta la storia va verso Cristo, tutta la storia ha Lui come centro. Per usare un’immagine, che si usa molto anche in teologia, prendete una clessidra e rovesciatela, mettendola in orizzontale: questa è la storia! Tutta la storia converge verso il punto centrale della clessidra, che è Cristo e da Cristo, tutta la storia riparte. Noi siamo adesso nella seconda parte della clessidra, viviamo, per grazia di Dio, dopo Cristo e dunque viviamo in quella parte di storia che è ripartita da Cristo. Ma Lui è il centro del cosmo e della storia, è il centro di una storia che dipende totalmente da Lui e che da Lui parte.
Questa frase, che per noi è abbastanza normale, ha fatto “saltare i nervi” a un sacco di gente nel ‘79, a tutta la teologia d’Oltralpe ed alla teologia un po’ à la page che dialogava, senza i dovuti accorgimenti, con il mondo protestante e con la modernità.
Uno dei problemi del Concilio Vaticano II era infatti cache quello del dialogo con la modernità.
Sono convinto che – e don Francesco Ventorino (don Ciccio) di Catania ha scritto su questo punto – il Servo di Dio, Mons. Luigi Giussani sia il più grande studioso e artefice di un vero dialogo tra cristianesimo e modernità; nessuno, come il don Giuss, ha accettato la sfida della modernità e nessuno come lui ha risposto a questa sfida. Purtroppo, ancora oggi, troppi ambienti accademici, rifiutano i dottorati di ricerca sul pensiero di Giussani. E questo non è normale! Perchè Giussani – sono convinto – sarà Santo, ma sarà anche “dottore della Chiesa”, perché è monumentale quello che ci ha lasciato e tutto ciò che io conosco di lui è parametro di riferimento per studiare tutte le altre cose. Anche i grandi Padri dell’antichità rinascono, quando il Giuss li cita e li legge, perché li declina in un modo nuovo, esistenzialmente significativo, cioè che diventa vero, interessante per me.

Dopo l’annuncio di Gesù Cristo “centro del cosmo e della storia”, San GPII proietta questa centralità di Cristo verso il grande giubileo del 2000 e dà, nel ’79, la chiave ermeneutica di quel Giubileo, dicendo che la Chiesa celebrerà il secondo millennio della salvezza, esattamente per quella ragione: perché Cristo è centro del cosmo e della storia.
Noi, dopo 25 anni, celebreremo nel 2025 un giubileo ordinario, e speriamo di ridire la stessa cosa: il giubileo è per ricordarci che Cristo è redentore dell’uomo e centro del cosmo e della storia.
Poi aggiunge un secondo elemento, che ho trovato molto interessante: dichiara che tutto il ministero del successore di Pietro è relativo a questa affermazione, tutto il compito che Gesù ha affidato a Pietro ed ai suoi successori è ribadire che Cristo è centro del cosmo e della Storia. È sconvolgente la coscienza che san GPII ha del suo ministero, la coscienza che il compito che Dio gli ha dato come successore dell’apostolo Pietro è per dire che Cristo, redentore dell’uomo è il centro del cosmo e della storia.
Leggiamo : “Alla prima e fondamentale verità dell’Incarnazione è legato il ministero che, con l’accettazione dell’elezione a vescovo di Roma e a successore dell’apostolo Pietro, è divenuto specifico del mio dovere sulla stessa cattedra”. Che coscienza del compito! E che coscienza del suo rapporto con Cristo e con il compito che Cristo gli ha dato!
Il compito principale del successore di Pietro è ricordarci che il Verbo si è fatto carne, ricordarci che Cristo è il centro del cosmo e della storia.
Nel mio lavoro teologico, l’Incarnazione ha un ruolo principale e straordinario. Ed anche questo devo al don Giuss!
Tutti abbiamo dei momenti di apertura della mente, dei momenti in cui capiamo che ciò a cui siamo stati educati, improvvisamente diventa più vero. Il Giuss dice: devi appropriarti di ciò che ti è stato dato. E questo cammino, che Davide indicava prima, è proprio un cammino di ri-appropriazione continua, perché nessuno può pensare di riappropriarsi di ciò che gli è stato dato una volta per sempre. Anche un tesoro, se non lo “ri-guardo” ogni tanto, i “gioielli” che hai dentro, se non li contempli un po’, se tieni chiuso lo scrigno, non serve a niente.
Lo dice anche più avanti San GPII: la fede per sua natura si implementa, si irrobustisce, si rafforza nel gesto missionario, che non è altro che ripetere l’antica frase della Chiesa, cioè la fede cresce donandola. La mia fede cresce donandola agli altri.
Questo legame tra insistenza sul mistero dell’Incarnazione e ministero del successore di Pietro mi ha molto colpito. “La Chiesa – continua San GPII – ha una coscienza sempre più approfondita sia riguardo al suo mistero e sia riguardo alla sua missione umana, sia finalmente riguardo alle sue stesse debolezze umane”. La Chiesa sa che ha un compito particolare, cioè annunciare il mistero dell’Incarnazione, la Chiesa sa che questo compito riguarda tutti gli uomini, che questo compito straordinario, enorme, che Dio le ha dato, non è frenato dalle debolezze umane, ma convive con esse. e le debolezze umane non possono assolutamente indebolire il compito che Dio ha dato alla Sua Chiesa.

1. L’Incarnazione al centro

Qual è la conseguenza del fatto che Cristo è il centro del cosmo e della storia?
L’enciclica cita nei primissimi passi i versetti di Giovanni: “Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14) Sappiamo benissimo che non è vero che tutte le religioni sono dei “cammini per raggiungere Dio”, non è vero che tutte le religioni sono delle lingue che possiamo usare per parlare con Dio, ma tutte le religioni sono dei tentativi umani per raggiungere il Mistero, dei tentativi umani di dire qualcosa del Mistero. In quanto tentativi umani, sono dei prodotti culturali e hanno certamente del bene dentro, perché l’uomo è ragionevole e dunque anche dentro un tentativo umano c’è del bene e del vero.
Ma il tema – tutti abbiamo sotto gli occhi lo schema delle freccette del Senso Religioso – è che il cristianesimo non è un tentativo umano di raggiungere il Mistero, ma è esattamente il contrario: il cristianesimo è l’annuncio prorompente che: “Quando giunse la pienezza dei tempi, Dio mandò Suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge” (Gal 4,4); è l’annuncio che il Mistero si è fatto carne, che Dio ha scelto definitivamente di farsi uomo, per parlare agli uomini con gesti umani e parole umane, perché gli uomini lo conoscessero.
In tal senso, c’è un passaggio del grande magistero del Giuss, che all’inizio mi sembrò un po’ oscuro, quando disse, se ricordate, che: “Cristo è venuto nel mondo per educare il nostro senso religioso”. Un passaggio molto forte! Io che ero già un teologo, con la mia piccola “cattedrina”, pensai: “Mi sembra un po’ poco dire una cosa del genere”. Invece è verissimo!
Perché cosa vuol dire “educare il senso religioso umano”?
Vuol dire entrare nell’umano – e chi entra nell’umano più di uno che diventa uomo, si incarna? – ed entrando nell’umano, dal di dentro dell’umano, condurre l’umano al rapporto con Dio. Quindi ha ragione il don Giuss! Cristo si fa uomo per educare il mio senso religioso.
E’ così vero – e chiedo scusa se qualcuno si scandalizza per quello che sto per dire – che se non ci fosse Gesù Cristo, io forse nemmeno crederei in Dio. Non avrei nemmeno immaginato di farmi prete. Dio è credibile perché si è fatto uomo, io credo, infatti, in Gesù Cristo innanzitutto, ed è Lui che mi porta a credere nel Padre e nello Spirito Santo. Poi, per carità, ognuno ha le sue strade: c’è chi parte dal Padre e arriva al Figlio, ci sono i Pentecostali che partono dallo Spirito Santo e arrivano al Figlio e al Padre, c’è chi parte dalla Madonna e arriva al Figlio… Tutti dentro l’unica strada cristiana, ovviamente.
Ma nella mia sensibilità, nelle corde che anche la mia famiglia mi ha donato, il fatto che si sia fatto uomo è dirompente.
Penso che, anche logicamente parlando, il mistero della Risurrezione illumini e renda credibile l’Incarnazione; ma è altrettanto vero che senza l’Incarnazione il mistero della Risurrezione non ci sarebbe stato. L’incarnazione è ciò che urta di più la nostra ragione! Ricordate la famosa obiezione di Leibniz: “Se è uomo, non è Dio, se è Dio, non è uomo, quindi il cristianesimo è impossibile”. Hai ragione caro Leibniz, razionalmente parlando, secondo il principio di non contraddizione, avresti ragione… Ma è successo! È un fatto innanzitutto il cristianesimo. Tutto il secondo volume del Percorso ci educa a stare di fronte a quel Fatto e a raccogliere i dati che stanno all’origine della pretesa cristiana e che rendano credibile quel Fatto, al punto tale da potervi aderire con tutto se stessi.
Dice San GPII, nella RH, che il Concilio si è chiuso, c’è stata la breve esperienza di 33 giorni di GPI, adesso “bisogna proseguire il cammino”. Prende un’eredità, è geniale questo, ed è ovvio! Nessun Papa può avere la pretesa di “cominciare da capo”; se un papa avesse la pretesa di cominciare da capo o di fondare un’altra chiesa, ci sarebbero dei problemi. Il Papa, ogni Papa, prende l’eredità bimillenaria che ha ricevuto e la porta aventi. San GPII afferma esattamente questo: si tratta di proseguire il cammino e, cito: “L’unico orientamento dello Spirito, l’unico indirizzo dell’intelletto e della volontà e del cuore è per noi questo: verso Cristo redentore dell’uomo, verso Cristo redentore del mondo. A Lui vogliamo guardare perché solo in Lui, Figlio di Dio, c’è salvezza.” Questo dovrebbe essere scolpito nella pietra e messo davanti alle porte di tutte le chiese del mondo! É scolpito nel nostro cuore?
Per me c’è stato subito un esame di coscienza, ma sereno, mi sono chiesto: “Per me è così? Per me Cristo è il centro del mio intelletto, della mia volontà e del mio cuore?” “L’unico orientamento dello spirito, l’unico indirizzo dell’intelletto, della volontà, del cuore, è per noi verso Cristo, redentore dell’uomo, verso Cristo, redentore del mondo. A Lui vogliamo guardare perché solo in Lui, Figlio di Dio, c’è salvezza. Dobbiamo costantemente tendere a Lui”.
Lavorare come tensione a Cristo! Giussani ce lo ha insegnato in tutti i modi, non come rispetto di regolette estrinseche, non come un insieme di norme a cui obbedire supinamente, ma lavorare come tensione a Cristo, cioè come affezione a Cristo, un’affezione così radicale che modifica, cambia anche il mio giudizio. Solo il cambiamento del giudizio permette, con la grazia di Dio e non senza sforzo e tempo, di cambiare anche l’atteggiamento. Tutto il resto è moralismo. E il moralismo non dura, non regge l’urto del mondo, l’urto delle obiezioni.
Questa insistenza su Cristo centro del cosmo e della storia è in realtà un’insistenza sul mistero dell’Incarnazione. Noi possiamo e vogliamo ricentrarci su questo mistero, cioè su un fatto impensabile per l’uomo; al massimo, l’uomo ha desiderato, nella storia, che Dio, in qualche modo, si rivelasse, ma era impensabile il dell’Incarnazione. Su questo punto, non solo oggi, ma da 2000 anni, l’uomo è scandalizzato, dal termine greco “σκάνδαλον”, inciampo; è 2000 anni che questo Fatto provoca la nostra intelligenza e la nostra libertà.
Primo perché è qualcosa di inimmaginabile e dunque una novità assoluta e, secondo, perché ci fa sperimentare una prossimità del Mistero, una prossimità del senso della nostra vita, una prossimità del Destino eterno che ci spaventa, perché un Dio così vicino da farsi uomo ci spaventa, mette in discussione tutti i nostri schemi quotidiani, reiterati, che invece devono essere messi in discussione. Pensare che Dio è stato un embrione nel grembo della Vergine Maria e che questo embrione si è sviluppato – quante volte il Giuss l’ha descritto – che è cresciuto e che poi è nato e che ha camminato su questa terra e che poi è stato uomo come noi; ma che quell’uomo lì è Dio, Colui che ha fatto il mondo, Colui che ha generato l’universo, Colui che ha pensato te e ha pensato me, da sempre. Questo è sconvolgente per noi oggi, dopo 2000 anni, è stato sconvolgente per gli Apostoli quando lo hanno capito, è stato sconvolgente per Maria, che si è fidata con tutta se stessa di ciò che Dio le diceva.

2. Nessuno è estraneo a Cristo

È sconvolgente non solo a livello intellettuale, perché cambia tutto il modo di pensare, ma è sconvolgente esistenzialmente perché, se Dio si è fatto uomo – lo dice San GPII – “non c’è nessun uomo estraneo al Mistero di Cristo”.
Citando il Concilio Vaticano II, San GPII scrive: “facendosi uomo Cristo si è unito in certo modo ad ogni uomo”. Traduciamo: il mistero dell’Incarnazione spalanca talmente il nostro cuore, da renderlo capace per grazia di avere una simpatia per ogni uomo perché ogni uomo è stato voluto, amato e potenzialmente salvato da Cristo. Questa verità, che noi viviamo in prima persona, perché abbiamo aderito a Cristo e dunque il nostro cuore è immedesimato con il Suo e il Suo cuore è immedesimato con il nostro, questa verità ci spalanca gli occhi e la mente, al punto da avere simpatia per ogni uomo, indipendentemente dalla sua storia, perché possa, come noi, incontrare Cristo.
Pensate questo cosa dice a tutto il perbenismo moralistico che frena la missione: se tu sei musulmano, non ti posso parlare di Cristo, devo rispettare la tua fede. Ma di cosa stiamo parlando? Dove c’è scritto nel Vangelo: andate ad annunciare a tutto il mondo tranne ai non credenti, tranne ai non cristiani? Allora chiudiamo baracca e burattini! Scusate, cosa siam qui a fare? Però noi siamo in questo atteggiamento. Tutto l’Occidente ha una paura enorme ad annunciare Cristo ai musulmani.
Se Cristo è centro del cosmo e della storia, non c’è nulla che sia nel tempo, non c’è nulla di umano che sia estraneo a Cristo. Nulla di umano intorno a te, nulla di umano in te. Questo porta con se’ una conseguenza enorme, perché l’unica cosa estranea a Cristo è il peccato. Vuol dire che il peccato non è umano.
Pensateci: nulla di umano è estraneo a Cristo, solo il peccato è estraneo a Cristo, e quindi il peccato non è umano.
Lo commettiamo noi uomini, certamente, ma non è umano, cioè non è ciò che ci qualifica come uomini. Anche qui tutta la retorica della “misericordia a buon prezzo” salta, perché non è vero che “siamo umani” e quindi “dobbiamo peccare”, quai fosse una necessità derivante dalla natura umana. Pecchiamo, certo, ma percepiamo che in quel gesto, contrario alla volontà di Dio, non si documenta la verità e la bellezza del nostro essere uomini.
Come si chiama questo annuncio straordinario che Dio si è fatto uomo ed è il nostro salvatore, il nostro redentore?
Ha un nome molto semplice, che tutti noi conosciamo e che ultimamente è stato abusato, senza peraltro dirne l’origine.
Se io dico una cosa ma non ne spiego l’origine e non ne do le ragioni, ciò che sto dicendo diventa retorica.
Il fatto che Dio si sia fatto uomo e sia morto e risorto per noi, cioè che sia il Redentore, ha un nome semplicissimo, che la Chiesa conosce da 2000 anni, non è una novità, si chiama: “Misericordia”.
Ricordo un volantone bellissimo di Pasqua, quando il don Giuss scrisse: “L’ultima parola su tutte le brutture del mondo è la parola misericordia.” Questa è l’ultima parola su tutte le brutture mie e della storia; il che vuol dire, semplicemente, che l’ultima parola la dice Dio è Cristo, Parola fatta uomo, morto e risorto.
Questo annuncio genera, in chi lo accoglie, una stupefacente e inattesa stima anche per se stesso. Non solo la stima per l’altro che comunque è destinato a Cristo, ma anche la stima per me, perché se Dio mi stima e mi ama, al punto da mandare il Suo Figlio ed il Suo Figlio, Dio-fatto-uomo, mi stima e mi ama al punto da morire in croce per me, da risorgere per me, da associarmi alla Sua ascensione al cielo, perché io entri nel Mistero Trinitario – straordinari Misteri! – chi sono io per non stimare me stesso? Chi sono io per non stimare il fratello che è cristiano come me?
La stima di me stesso non nasce da un’illusoria ipertrofia dell’ego, da un “ingigantimento” del nostro io.
La stima di me stesso, per noi cristiani, nasce dalla stima che Dio ha avuto per me, facendosi uomo, salvandomi e chiamandomi al rapporto con Lui. Da lì nasce la stima! Una stima del genere non può essere abbattuta da nessun peccato, non può essere adombrata da nessuna infedeltà. La conseguenza immediata è che quando pecchiamo, non ci stimiamo.
Scriva San GPII: “L’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo e non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere, deve con la sua inquietudine e incertezza e anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e la sua morte, avvicinarsi a Cristo” (RH n. 10).
Poi si cita il CVII, Gaudium et Spes 22: “Solo Cristo, centro del cosmo e della storia, svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”. Qui mi è venuto subito da pensare, ma forse per mestiere, a tutti quegli uomini che non hanno ancora conosciuto Cristo e che sono rimasti mistero a se stessi. Subito dopo, però, mi è nata una gratitudine profonda, perché per noi, che Cristo lo abbiamo incontrato, per noi che Cristo lo abbiamo conosciuto, per noi che da una vita viviamo con Lui e vogliamo vivere con Lui, lo svelamento del nostro essere è più pieno. Perché Cristo svela l’uomo all’uomo. perché Cristo mi rivela chi io davvero sono, Cristo mi rivela qual è la consistenza del mio essere, che è fondamentalmente consistente della relazione con Lui, dal quale tutte le altre relazioni prendono forza e significato.
Sembra un’altra religione, ma è il cristianesimo, mi raccomando, non è un’altra religione.
Cristo centro del cosmo e della storia e solo Cristo rivela l’uomo all’uomo.

3. La radice della missione

Continua San GPII: “Il compito fondamentale della Chiesa è di dirigere lo sguardo dell’uomo verso il Mistero di Cristo”. Ohibò… non verso l’ecologia? Noi siamo la Chiesa di Cristo a tutti i livelli, dai battezzati, ai consacrati, ai vescovi, ai cardinali, ai papi, ai professori di teologia, siamo la Chiesa di Cristo se dirigiamo lo sguardo dell’uomo verso Cristo? E come si fa?
Solo se tu guardi a Cristo, ovvio! Siete padri e madri di famiglia, i vostri bambini quando vi fermate a guardare qualcosa, cosa fanno? Guardano quello che voi guardate, è evidente, accade così.
Perciò la Chiesa può dirigere lo sguardo degli uomini a Cristo solo se lei per prima guarda a Cristo. E questo vale per me: io potrò dirigere lo sguardo dei miei alunni a Cristo, solo se io per primo guardo a Cristo, – attenzione – solo se io li guardo, guardando a Cristo. Questo secondo passaggio è fondamentale, perché posso guardare a Cristo in maniera mistica e disincarnata, pregherò per loro, ma loro non se ne accorgono. Se invece io li guardo guardando a Cristo e sono attento ai loro sguardi, ai loro sonni, alle loro distrazioni, alle loro assenze, ai loro modi di trattare gli altri in aula, ai loro modi di relazionarsi con il docente, se sono attento a tutto, se mi ricordo i loro nomi – miracolo! – loro si accorgono che li guardo in modo diverso e, magari, si domandano: perché mi tratti così? E da lì nasce un mondo! Quando un alunno domanda al docente: Professore, perché mi tratta così? (nel bene, ovviamente, non nel male), qualcosa sta capitando, sta accadendo un inizio di stupore per un incontro.
“Il compito fondamentale della Chiesa è di dirigere lo sguardo dell’uomo verso il Mistero di Cristo e aiutare tutti gli uomini ad avere famigliarità con la profondità della redenzione. Facendo questo si tocca anche la più profonda sfera dell’uomo, la sfera dei cuori umani, la sfera delle coscienze umane e delle vicende umane”. Pensate che lucidità GPII ha nell’indicare la strada!
Non si toccano le coscienze, i cuori e le vicende umane, distogliendo lo sguardo da Cristo e confondendosi con esse, ma si toccano i cuori, le coscienze e le vicende umane avendo lo sguardo fisso verso Cristo e aiutando gli altri a guardare a Cristo. Perchè? Perchè Dio si è fatto uomo e quindi guardando Lui, noi guardiamo l’uomo, guardando a Cristo guardiamo le vicende umane, Lui è entrato nella storia.
Non fare così è ricadere nel vecchio dualismo gnostico precristiano, cioè è ricadere in un concetto per il quale Dio starebbe da una parte e la storia da un’altra e, quindi, compito dell’uomo sarebbe mettere insieme questi due poli, assolutamente inconciliabili. Ma questo significherebbe vanificare 2000 anni di cristianesimo, vanificare l’Incarnazione.
Dopo Cristo – lo ripeto – non c’è più nulla di umano che sia estraneo a Dio, solo il peccato, che essendo estraneo a Dio, è estraneo anche a me, uomo. Questo è innanzitutto un giudizio, cioè va capito, e poi diventa un’esperienza continua, un allenamento continuo, un richiamarci continuo, gli uni gli altri, a questo livello di coscienza, a questo livello di rapporto con la realtà.
Da questo incontro con Cristo, centro del cosmo e della storia, nasce in noi che lo abbiamo incontrato uno stupore per la dignità dell’uomo ed è questa la dignità della grazia dell’adozione a figli, di cui parla San Paolo, la dignità della verità interiore dell’umanità, la quale, ancora di più, risulta per noi alla luce della realtà che è Lui, Cristo.
L’umanità voluta, creata dal Padre, redenta dal Figlio, santificata dallo Spirito Santo, scopre la sua straordinaria dignità. Quanto parlare si fa oggi della dignità umana, dei diritti umani, un parlare quassi sempre “scardinato” dall’origine; questo scardinamento è pericolosissimo perché, direbbe Péguy: “Siamo come parassiti che godono dei frutti di una cultura senza ricordarne l’origine”. Tutti i richiami alla fraternità, all’accoglienza, alla pace, che non partano dall’Incarnazione e da Gesù Cristo, corrono il rischio terribile di non dare le ragioni e, quindi, di scadere nel moralismo e di non reggere l’urto della realtà, che vuol dire, innanzitutto, l’urto del mio limite. Non pensiamo alla realtà fuori di noi; anche! Infatti abbiamo una cultura che ormai ha quasi dimenticato completamente Cristo; ma l’urto più grosso è quello del mio limite, quello della mia smemoratezza.
Nella profezia che i santi sempre vivono, San GPII afferma: “Questo annuncio, l’annuncio di Cristo unico salvatore del mondo, è ciò che davvero il cuore umano attende”. Il cuore umano è fatto per questo. Ricordo il Card. Biffi che diceva: in mezzo a tutte le contraddizioni, noi abbiamo sempre una possibilità di fronte a noi nell’annuncio di Cristo: la possibilità che è data dal cuore dell’uomo, perché il cuore dell’uomo è fatto per questo, per quell’esigenza infinita, universale che lo spalanca al Mistero.
“Sentiamo profondamente il carattere impegnativo della verità che Dio ci ha rivelato – bellissimo! – Il primo compito della Chiesa è quello di essere custode della Verità – e sentiamo grande senso di responsabilità – scrive San GPII – per questa verità, sentiamo il dovere di evangelizzare e per farlo guardiamo ancora a Cristo che è stato il primo evangelizzatore, cioè ha portato la buona notizia che Dio è l’Emmanuele. Nell’annunciare la verità che non proviene dagli uomini, ma da Dio – la dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato – pur agendo con tutta la forza dello Spirito, è necessario conservare profonda stima per l’uomo, per il suo intelletto, la sua volontà, la sua coscienza, la sua libertà” – Sembra di sentire il don Giuss – “In tal modo, la stessa dignità della persona umana diventa il contenuto dell’annuncio” – perché se Cristo rivela l’uomo all’uomo, annunciando Cristo io annuncio all’uomo la sua dignità, lo rendo consapevole della sua dignità, lo desto, lo sveglio, lo richiamo alla sua dignità – “E la Chiesa in questo modo diventa custode di questa libertà che è condizione e base della vera dignità della persona umana”.
Dicevamo prima, con un confratello, che bisogna ridire le parole fondamentali del cristianesimo, ri- insegnare il vocabolario di base cristiano. Pensate solo, ad esempio, come la parola “libertà” venga oggi usata e “strapazzata” da chiunque, dandole un contenuto assolutamente altro da quello che essa ha in se stessa.
Nell’affermazione che Cristo “in certo modo si è unito ad ogni modo”, l’enciclica include due conseguenze enormi. La prima – che il Giuss riprende – afferma: “Se Cristo si è unito ad ogni uomo, l’uomo diventa la via da percorrere per la Chiesa: l’uomo via della Chiesa”. A me sembra che questo, oggi, sia particolarmente dimenticato, perché all’uomo, via della Chiesa, rischiano di sostituirsi le strutture: dalla sinodalità ai consigli pastorali e tutto quello che c’è di mezzo, cioè delle strutture che diventano come dei contenitori vuoti. Sempre Messori, accanto all’espressione “il Verbo si fece carta”, parlava della “Chiesa che si auto-occupa”; non occupandosi più del messaggio di Cristo, dell’evangelizzazione, dell’annuncio franco e cordiale di Dio fatto uomo, molti si auto-occupano, in pachidermi organizzativi trita-soldi, che non evangelizzano alcun. Oggi un ragazzo sano di mente, si interesserebbe mai della CEI? Se si interessa è perché non è sano di mente. Si interesserebbe mai del CSM? no, si interessa di passare l’esame di giurisprudenza, di diritto penale, degli amici che ha intorno, della ragazzina magari, ma non del CSM. Questi pachidermi organizzativi, dicono magari di una buona volontà di camminare insieme verso, speriamo, Cristo, ma in essi spesso è quasi impossibile pronunciare il nome di Gesù, come in alcuni senati accademici di teologia.
“Con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. La Chiesa desidera servire quest’unico fine: che ogni uomo possa ritrovare Cristo perché Cristo possa con ciascuno percorrere la strada della vita con la potenza di quella verità sull’uomo e sul mondo contenuta nel mistero dell’Incarnazione”: altro monumento dell’enciclica!
Per forza che don Carlo vi ha detto di riprenderla! Quando l’enciclica uscì, tra le varie interviste che Giussani rilasciò, ce ne fu una in cui Giussani disse: “Questa enciclica è un squarcio di luce nelle tenebre dell’epoca presente”. E siccome le tenebre magari qualche volta tornano, è bene guardare gli squarci di luce.
“L’uomo, così com’è voluto da Dio, così com’è stato da Lui eternamente scelto, chiamato, destinato alla grazia e alla gloria”: questo è proprio ogni uomo, l’uomo più concreto, più reale, tu, io, Davide, siamo stati voluti, creati da Dio e destinati alla gloria, destinati al rapporto con Lui.
“Questo è l’uomo in tutta la sua pienezza del Mistero in cui è divenuto partecipe di Cristo”. Noi siamo partecipi, cioè “resi parte” del Mistero di Dio fatto uomo in Cristo, e lo sperimentiamo nel rapporto personale con Lui, ma questo diventa carne e sangue nella relazione tra di noi, perché il Corpo di Cristo è quello che ho di fronte: Lui è il capo e noi siamo le membra. Lo siamo nella vocazione particolare al matrimonio, nel rapporto uomo-donna, nella vocazione comune ad essere Chiesa, ad essere comunità, nella fraternità che ci caratterizza.
Accennavo prima a Davide alla fecondità vocazionale che, per grazia di Dio, ci è toccata in sorte; con i preti che ho dato alla Chiesa, che ho accompagnato ad essere sacerdoti, siamo fratelli; quando ci vedono insieme dicono: ma questa è la tua famiglia! C’è un’appartenenza comune a Cristo, alla Chiesa, alla vocazione che ci unisce, che è spettacolo alla nostra stessa vita. L’uomo che accoglie Cristo, Dio fatto uomo, centro del cosmo e della storia, redentore dell’uomo, quindi redentore della propria vita, scopre di diventare spettacolo a se stesso.
San GPII parla dello stupore, della meraviglia che l’uomo prova per se stesso quando incontra Cristo. Quante volte Giussani ci ha ricordato che siamo spettacolo a noi stessi, non per una superbia che ci fa credere di essere migliori di altri, ma per ciò che Dio opera nella nostra vita e che mai avremmo potuto operare da soli. Questo è lo “spettacolo” e penso che chiunque di voi potrebbe venire a questo microfono e raccontare come il rapporto con Cristo ha generato nella sua vita uno spettacolo di incontri, di opere, di giudizio, che mai ci sarebbe stato senza Cristo.
Tutto questo genera una pretesa dell’uomo. Mi ha molto colpito questa affermazione fatta nel 1979! Oggi sono tanti a ritenere che sia messa in discussione la ragione stessa dell’essere dell’uomo. Mi piace citare Rémi Brague, uno degli ultimi metafisici viventi, filosofo francese, che ha scritto un pamphlet da titolo “Farla finita con l’uomo”, criticando ovviamente questa posizione, ma sostenendo che le attuali posizioni filosofiche non giustificherebbero più l’esistenza dell’uomo. (Cf. R. Brague, Dove va la storia, Brescia 2015).
GPII nel ‘79 scrive: “L’uomo non può rinunciare a se stesso, né al posto che gli spetta nel mondo visibile” (RH n.16).
Pensate che differenza enorme rispetto all’Agenda 2030 e a tutto quello che na deriva. L’uomo ha un posto nel cosmo perché è l’unica creatura che Dio ha voluto per se stessa. Tutte le altre creature sono state create da Dio al servizio dell’uomo. L’uomo non può rinunciare a se stesso.
Attenzione, l’evangelico; “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Mt 16,25) è un’indicazione di tipo affettivo e morale. Mentre noi parliamo su un piano filosofico ed ontologico. L’uomo non può rinunciare a se stesso perché Dio si è fatto uomo. L’uomo non può rinunciare al posto che gli spetta nel mondo visibile, perché non renderebbe più visibile Dio.
Vi siete accorti, per esempio, che l’arte contemporanea non rappresenta più il corpo umano? Vi sembra casuale questo astrattismo impenetrabile, che ha deragliato completamente nel soggettivismo più radicale del cosiddetto artista?
Io vado spesso alla Biennale a Venezia, con occhio critico, e, un paio di anni fa, l’unica rappresentazione del corpo umano era costituita da alcuni manichini di legno, ricoperti di letame. Era l’unica rappresentazione, in tutta la Biennale, del corpo umano! Il corpo umano non viene più rappresentato perché è il luogo di massima manifestazione del Mistero. Se Dio si è fatto uomo, al di là di tutti i simbolismi che pure l’arte sacra ha elaborato nei secoli, il mio corpo umano, il tuo corpo umano è il luogo che Dio ha scelto per abitare questo mondo.
“Il Verbo si fece carne”, “Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο”, la “σὰρξ” (= carne) non è “soma”, la carne è quella che pecca, proprio “carne-carne”, non figura umana.
Siamo in una cultura nella quale l’uomo viene marginalizzato perché è il luogo in cui Dio si è manifestato pienamente.
Nel 1979, con una profezia che ci sconcerta, ma che ci dà speranza, San GPII afferma: “L’uomo non può rinunciare a se stesso né al posto che gli spetta nel mondo visibile”, contro ogni fuga di tipo gnostico, contro ogni tentazione di sottrarsi alla realtà, come se uno potesse salvare se stesso, la sua famiglia, gli amici, la sua comunità, sottraendosi alla realtà. No, non è questa la via.
Certo, il seme va custodito per poter continuare ad annunciare, quindi meno male che abbiamo luoghi in cui il giudizio è condiviso, ci viene ricordato il centro della fede e da qui possiamo ripartire; ma nessuno è dispensato dalla missione, per nessun motivo. Si tratta di tutto il dinamismo della vita e della civiltà, si tratta del senso delle varie iniziative della vita quotidiana: il modo in cui apri la macchina, il modo in cui parcheggi e saluti i colleghi, il modo in cui entro in aula al mattino, il modo in cui promuovo o boccio un allievo, vivere la vita quotidiana avendo presente Cristo, centro del cosmo e della storia.
“La Chiesa vive di queste realtà sull’uomo, la Chiesa vive di una inquietudine creativa, cioè la ricerca della verità, l’essenziale bisogno del bene, la fame della libertà, la nostalgia del vero – questa è l’esperienza elementare del senso religioso (Cap. 2 del Senso Religioso) – La Chiesa è la custode di un grande tesoro, la Chiesa del nostro tempo (1979) sembra ripetere con sempre maggior fervore e santa insistenza: Vieni Santo Spirito!”. La Chiesa domanda che lo Spirito la guidi a comprendere queste cose.

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Don Nicola Bux

Apporto alla Tavola VI - LA CHIESA E IL POPOLO CRISTIANO NELL’ERA POST-CRISTIANA

Assisi, 27 ottobre 2024

Ai vertici nella Chiesa si sono insediati chierici per i quali Cristo è solo una scusa per parlare d’altro: una “Chiesa al contrario” di quella che il Signore ha voluto. Siamo giunti al punto che i nuovi vescovi, insediati nelle diocesi, demoliscono ciò che hanno fatto i predecessori.  E’ cominciato con gli anni ’60, quando “la teologia visse dei mutamenti esplosivi, con la nascita di prospettive radicalmente nuove” che tentarono di entrare in osmosi col Concilio Vaticano II (S.Fontana, Il Concilio restituito alla Chiesa, La Fontana di Siloe, Torino 2013, p.97). Le utopie sono entrate nel Magistero, fino a diventare norme morali, ossia eresie (cfr. Benedetto XVI, “Appunti” dell’11 aprile 2019). Non temiamo. Nella parabola del grano e del loglio (Mt 13,24-30), Gesù ha avvertito: “un nemico ha fatto questo”, ha seminato e semina la zizzania. Egli permette che ciò accada, provocandoci a reagire. In proposito, è sul web la stupenda conferenza del cardinal Giacomo Biffi al Meeting di Rimini del 1989: è la diagnosi della permanente situazione della Chiesa. 


Ettore Gotti Tedeschi mi ha chiesto: Cosa succede quando il cristianesimo non è più vissuto? Rispondo: ciò che è accaduto varie volte in duemila anni – si pensi alla scomparsa delle prime chiese cristiane in Asia Minore e in Africa del Nord dopo l’invasione islamica e a quanto accade oggi in Europa e in Nord America –: ma la fede della Rivelazione di Cristo e la sua Grazia nei Sacramenti hanno fatto crollare gli imperi, sempre di nuovo, in ogni tempo. Il cristianesimo non scomparirà perché il cristianesimo è Cristo! E’ sempre la fede che genera la vita. E riprende la natalità, come sta accadendo in tante famiglie cattoliche in Inghilterra e in Francia e altre nazioni della vecchia Europa. La verità da evangelizzare è Gesù Cristo: la realtà è Lui. E’ la Luce nelle nostre mani, che dissipa le tenebre persino di un discorso come quello fatto da papa Francesco a Singapore.<

Oggi è necessario convergere tra cattolici amanti della vita: come ha richiamato il prof.Massimo Gandolfini. Il Signore ha pregato affinché siamo una sola cosa perché il mondo veda e creda. Dobbiamo sconfiggere il demone del protagonismo e gioire della ricchezza che c’è fra noi. Siamo dinanzi a un fatto: le “Tavole di Assisi”, ideate dal carisma di Simone Pillon, insieme a persone ispirate e militanti come Toni Brandi e Jacopo Coghe di Pro vita e famiglia, invitano a fare tutto il possibile per non frapporre ostacoli ai disegni di Dio, come diceva Giovanni Paolo II. Cosa potremmo fare da soli? Nonostante la confusione nella Chiesa attuale, sono sorte molteplici aggregazioni. Perché nessuno da solo riesce a fronteggiare il nemico che semina la zizzania.

Come Francesco, vir catholicus et totus apostolicus, siamo chiamati ad amare la Chiesa e a restare uniti in essa come membra del corpo di Cristo: non dividiamoci, appropriamoci dello slogan dei cattolici dissidenti austriaci: “Noi siamo Chiesa”. Sì, noi siamo battezzati, apparteniamo al Corpo di Cristo. Non possiamo andar via. Vogliamo andar via da noi stessi? Non erigiamoci pulpiti virtuali, accontentandoci dei followers: non siamo influencer effimeri ma educatori permanenti.

Le caratteristiche del pensiero di cui oggi c’è bisogno, le ha richiamate Francesco Borgonovo: forte e divisivo. Esso si radica nel Logos, cioè nella Ratio, nel Verbo eterno che si è fatto carne e abita tra noi. La parabola spiegata dal cardinal Biffi, è la diagnosi e a un tempo la terapia di quella che è sempre la situazione della Chiesa: essa non sarà mai in pace, perché Gesù è venuto a portare la spada, a mettere figlio contro padre…. Osserva Benedetto XVI: “Qui sorge però la grande domanda…ma che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo, il benessere per tutti, un mondo migliore? Che cosa ha portato? La risposta è molto semplice: Dio. Ha portato Dio… ora noi conosciamo il suo volto, ora noi possiamo invocarlo. Ora noi conosciamo la strada che, come uomini, dobbiamo prendere in questo mondo. Gesù ha portato Dio e con Lui la verità sul nostro destino e la nostra provenienza: la fede, la speranza e l’amore. Solo la nostra durezza di cuore ci fa ritenere che ciò sia poco…I regni del mondo…sono tutti crollati. La loro gloria…si è dimostrata apparenza. Ma la gloria di Cristo, la gloria umile e disposta a soffrire, la gloria del suo amore non è tramontata e non tramonta” (Gesù di Nazareth, LEV/Rizzoli, Milano 2007, p 67-68).

Egli è venuto a portare la spada – ama sottolineare Vittorio Messori –quella spada a doppio taglio che è la Parola divina, che innerva il pensiero cattolico, necessariamente divisivo, i cristiani sono divisivi, il Vangelo è divisivo, se si vuole la conversione dell’uomo.

“Il peccato dell’uomo di oggi è il peccato contro Dio creatore”, disse Benedetto XVI. Questo dobbiamo riaffermarlo: è il peccato originale che condiziona l’uomo e la natura, ancora oggi, come Gnosi, conoscenza che nega il Logos, la vera conoscenza del Dio fatto carne. Bisogna annunciare Cristo a chi non lo conosce. La Chiesa lo ha fatto con i barbari dell’Europa, con gli indigeni dell’Africa e dell’America: oggi dovrebbe farlo con i migranti: questa è la vera accoglienza, non appena dare un pasto e un vestito.

Dobbiamo portare Dio nel mondo, perché l’uomo ha bisogno di Dio. Senza Dio l’uomo è perduto, dannato. Questa è l’urgenza del mondo, la sua povertà, disse Madre Teresa. E come portiamo Dio? Con l’evangelizzazione. La Chiesa deve educare la coscienza dell’uomo, affrontare la debolezza degli adolescenti odierni che non si fidano, tornando a proporre la vita morale, la purezza e la castità, insegnare la dottrina come la Chiesa ha sempre fatto e non fa più da decenni. La Chiesa deve insegnare la verità: Gesù Cristo è la Vita, è la Verità! Osserva sant’Agostino: egli ha detto di essere anche la Via per arrivarci. Egli è quindi il “metodo”, in greco, la via da percorrere: è stato ‘divisivo’ perché ha portato la spada, la divisione: Sì, sì. No, no. Seguendolo, faremo la verità e difenderemo la vita. Dopo viene la pace.

Così si configura la civiltà della verità e dell’amore, la comunione che fa scuola, insisteva Giovanni Paolo II. Pur diversi tra noi, dobbiamo convergere. Vogliamo consolidare le battaglie che facciamo, le parole che diciamo? Portiamo Dio. La politica, se osserva il primato di Dio diventa forma di carità, altrimenti le sue battaglie saranno effimere. Perciò va ripreso il Family Day. Tutto quanto facciamo è per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, non per l’affermazione di noi stessi.

Il primato di Dio significa la Grazia – parola negletta tra gli ecclesiastici – la forza, il dono della vita divina che opera, come abbiamo ascoltato nelle testimonianze di Luca Hein col fenomeno crescente dei detransitioners e di Dean Gregory, padre del piccolo Indi, che ha voluto battezzare. Perché la battaglia è soprattutto spirituale. In primis dobbiamo evangelizzare la Parola e i Sacramenti della Fede. Siamo nel pieno della crisi della Fede, come aveva ben compreso Benedetto XVI.

 “Convertitevi e credete al Vangelo”, è la parola essenziale di Cristo, da cui viene la forza – la vir-tù a cui accennava Borgonovo – che è nel Vangelo, che è il Vangelo. San Paolo afferma: “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,13). Una forza che viene dall’alto: lo Spirito Santo, che insegna tutta la verità di Cristo – la vera novità dello Spirito – non fa da megafono alle analisi sociologiche e psicologiche penetrate dal mondo nella Chiesa: chi le sposa, domani rimane vedovo. No. La forza del Vangelo conferisce le virtù e ridona la salvezza, mette in fuga i demoni e apre le porte del Cielo. “Resistete forti nella fede” (1 Pt 5,9) esorta Pietro, il primo papa, permanendo nella verità di Cristo, sull’esempio dei Cardinali dei Dubia. Affidiamoci alla Santa Madre di Dio, con la preghiera del Card.Raymond Leo Burke in preparazione alla festa di Nostra Signora di Guadalupe, patrona delle Americhe, il 12 dicembre.

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S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Sedicesima Riflessione

Fratelli e sorelle in Cristo,
Nostra Signora di Guadalupe, nel 1531, richiese che il Vescovo del Messico, Juan de Zumarraga, costruisse una piccola casa sacra, una cappella, una chiesa, nella quale avrebbe portato i suoi figli ad un incontro profondamente personale col Suo Figlio divino, Gesù Cristo, nei sacramenti della Penitenza e della Santissima Eucaristia.

Questo perché Ella, Madre di Dio e Madre della Divina Grazia, sa che la Chiesa esiste per richiamare la cultura a conversione e trasformarla secondo il piano di Dio per la nostra salvezza. Ella sa anche che nel combattimento per condurre la Barca della Chiesa nelle acque burrascose della confusione e dell’errore che ci circondano c’è la tentazione di arrendersi e di lasciare che l’imbarcazione segua i tempi.
Dio ci ha donato la di Lei immagine sulla tilma, così che le persone potessero essere attirate a vederLa, in modo che Ella, a Sua volta, potesse attrarre loro verso il Suo Figlio divino, Gesù Cristo.
La Madonna ci dimostra che, se lottiamo ogni giorno per dare le nostre vite completamente a Cristo, possiamo essere sicuri che le acque turbolente, nelle quali saremmo incapaci di navigare da soli, diventano di fatto percorribili con Cristo. Assieme alla Madonna, vi invito a venire al Santuario il prossimo 12 dicembre, Solennità di Nostra Signora di Guadalupe. Unite solennemente il vostro cuore al Cuore Immacolato di Maria, che sempre riposa totalmente nel Sacratissimo Cuore di Gesù.
Durante la solenne offerta della Santa Messa, fate con me l’atto di consacrazione a Nostra Signora di Guadalupe, culmine della Novena di nove mesi, implorando l’intercessione della Madonna in questi tempi in cui il peccato e l’oscurità cercano di avviluppare il mondo e di minacciare finanche la Chiesa.
Fino ad allora, durante ciò che rimane della nostra Novena, rivolgiamoci con fiducia alla nostra Madre celeste. Qualunque turbolenza possiate attraversare nella vostra vita, qualsiasi lotta, sappiate che la Madonna è con voi, e intercede per voi presso il Suo Figlio, nostro Salvatore. Abbiate fiducia nella Madonna. Abbiate fiducia in Nostro Signore, ricordando le parole di San Paolo: “noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8,28).

Preghiamo…

Video della riflessione con alla fine la recita della preghiera da parte del Card. R.L. Burke

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