Il Pensiero Cattolico

14 Novembre 2024

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Don Salvatore Vitiello

Giovanni Paolo II: Redemptor Hominis Cristo centro del mondo e della storia

Il documento è datato 7 marzo del 1979, San Giovanni Paolo II era stato eletto a ottobre del 1978; ergo, questo è il manifesto del suo pontificato. Nel ‘79 abbiamo due grandi realtà che dobbiamo avere davanti agli occhi, per comprendere il documento: a livello geopolitico è ancora intatto il blocco dell’Unione Sovietica, con i paesi satelliti, compresa la Polonia di San GPII, e a livello ecclesiale si è appena concluso il Concilio Vaticano II, dieci anni prima, e c’è ancora un movimento interno alla Chiesa di contestazione, soprattutto d’Oltralpe (la Germania, la Svizzera, la Francia), che era terribile.

Noi adesso stiamo soffrendo per delle ragioni precise, ma la sofferenza non si è mai interrotta e San Paolo VI ha sofferto quello che ha sofferto e ha cercato di tenere in mano le redini della Chiesa e il Giuss è stato un grandissimo perché ha salvato tantissimi dal rifiutare Cristo e la Chiesa, cioè ha intuito il ritardo di alcuni nella Chiesa, rispetto al mondo, nell’annunciare Cristo: il Signore lo ha illuminato e ha iniziato un nuovo modo, esistenzialmente significativo, di annunziare Cristo, che ha portato tutti noi oggi ad essere qui, secondo le nostre vocazioni e la nostra storia.
Per cui questo documento va collocato in quel contesto in cui fu pubblicato, anche per capirne tutto il coraggio.
Mi soffermo sulla parte più teologica ed esistenziale per ciascuno di noi, ma c’è tutta la seconda parte, sulla libertà religiosa, su ciò che gli Stati devono fare per garantirla e sul diritto dell’uomo ad esercitarla, che è già chiaramente un’indicazione, anche politica, per tutta quell’opera che farà San GPII e sul ruolo che eserciterà per la caduta del comunismo e il rinnovamento, anche in quelle zone, della libertà religiosa.

0. Cristo centro del Cosmo e della Storia

Dopo il saluto di rito: “Venerati fratelli e carissimi figli, salute e apostolica benedizione”, San GPII, da quell’uomo virile che era, inizia subito, a gamba tesa, e la prima frase dell’Enciclica, fatta di pochissime parole, è già tutta l’enciclica. “Il Redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia”.
Quante volte il Giuss ha ripetuto questa frase, negli anni successivi: Cristo centro del cosmo e della storia!
Per noi è ovvio che sia così, ma mi sembra che in molti ambienti, anche della Chiesa contemporanea, non sia più così scontato questo dato; anzi, Cristo è collocato tra le “altre possibilità”.
“Centro del cosmo” vuol dire che tutto l’universo, me compreso, te compreso, ha Cristo come centro.
Cristo è centro del cosmo, anche di quel pezzo di cosmo che sono io, anche di quel pezzo di mondo che sei tu, perché nessuno può pensare di essere fuori dal mondo. Siamo “dentro” il mondo, siamo “un pezzo” di questo mondo. E se Egli è il centro del mondo, è anche il centro di quel “pezzo di mondo” che sono io. Centro del cosmo e della storia. Il centro cos’è? E’ il punto verso cui tutti i raggi convergono, e, dunque, “centro della storia” vuol dire che tutta la storia va verso Cristo, tutta la storia ha Lui come centro. Per usare un’immagine, che si usa molto anche in teologia, prendete una clessidra e rovesciatela, mettendola in orizzontale: questa è la storia! Tutta la storia converge verso il punto centrale della clessidra, che è Cristo e da Cristo, tutta la storia riparte. Noi siamo adesso nella seconda parte della clessidra, viviamo, per grazia di Dio, dopo Cristo e dunque viviamo in quella parte di storia che è ripartita da Cristo. Ma Lui è il centro del cosmo e della storia, è il centro di una storia che dipende totalmente da Lui e che da Lui parte.
Questa frase, che per noi è abbastanza normale, ha fatto “saltare i nervi” a un sacco di gente nel ‘79, a tutta la teologia d’Oltralpe ed alla teologia un po’ à la page che dialogava, senza i dovuti accorgimenti, con il mondo protestante e con la modernità.
Uno dei problemi del Concilio Vaticano II era infatti cache quello del dialogo con la modernità.
Sono convinto che – e don Francesco Ventorino (don Ciccio) di Catania ha scritto su questo punto – il Servo di Dio, Mons. Luigi Giussani sia il più grande studioso e artefice di un vero dialogo tra cristianesimo e modernità; nessuno, come il don Giuss, ha accettato la sfida della modernità e nessuno come lui ha risposto a questa sfida. Purtroppo, ancora oggi, troppi ambienti accademici, rifiutano i dottorati di ricerca sul pensiero di Giussani. E questo non è normale! Perchè Giussani – sono convinto – sarà Santo, ma sarà anche “dottore della Chiesa”, perché è monumentale quello che ci ha lasciato e tutto ciò che io conosco di lui è parametro di riferimento per studiare tutte le altre cose. Anche i grandi Padri dell’antichità rinascono, quando il Giuss li cita e li legge, perché li declina in un modo nuovo, esistenzialmente significativo, cioè che diventa vero, interessante per me.

Dopo l’annuncio di Gesù Cristo “centro del cosmo e della storia”, San GPII proietta questa centralità di Cristo verso il grande giubileo del 2000 e dà, nel ’79, la chiave ermeneutica di quel Giubileo, dicendo che la Chiesa celebrerà il secondo millennio della salvezza, esattamente per quella ragione: perché Cristo è centro del cosmo e della storia.
Noi, dopo 25 anni, celebreremo nel 2025 un giubileo ordinario, e speriamo di ridire la stessa cosa: il giubileo è per ricordarci che Cristo è redentore dell’uomo e centro del cosmo e della storia.
Poi aggiunge un secondo elemento, che ho trovato molto interessante: dichiara che tutto il ministero del successore di Pietro è relativo a questa affermazione, tutto il compito che Gesù ha affidato a Pietro ed ai suoi successori è ribadire che Cristo è centro del cosmo e della Storia. È sconvolgente la coscienza che san GPII ha del suo ministero, la coscienza che il compito che Dio gli ha dato come successore dell’apostolo Pietro è per dire che Cristo, redentore dell’uomo è il centro del cosmo e della storia.
Leggiamo : “Alla prima e fondamentale verità dell’Incarnazione è legato il ministero che, con l’accettazione dell’elezione a vescovo di Roma e a successore dell’apostolo Pietro, è divenuto specifico del mio dovere sulla stessa cattedra”. Che coscienza del compito! E che coscienza del suo rapporto con Cristo e con il compito che Cristo gli ha dato!
Il compito principale del successore di Pietro è ricordarci che il Verbo si è fatto carne, ricordarci che Cristo è il centro del cosmo e della storia.
Nel mio lavoro teologico, l’Incarnazione ha un ruolo principale e straordinario. Ed anche questo devo al don Giuss!
Tutti abbiamo dei momenti di apertura della mente, dei momenti in cui capiamo che ciò a cui siamo stati educati, improvvisamente diventa più vero. Il Giuss dice: devi appropriarti di ciò che ti è stato dato. E questo cammino, che Davide indicava prima, è proprio un cammino di ri-appropriazione continua, perché nessuno può pensare di riappropriarsi di ciò che gli è stato dato una volta per sempre. Anche un tesoro, se non lo “ri-guardo” ogni tanto, i “gioielli” che hai dentro, se non li contempli un po’, se tieni chiuso lo scrigno, non serve a niente.
Lo dice anche più avanti San GPII: la fede per sua natura si implementa, si irrobustisce, si rafforza nel gesto missionario, che non è altro che ripetere l’antica frase della Chiesa, cioè la fede cresce donandola. La mia fede cresce donandola agli altri.
Questo legame tra insistenza sul mistero dell’Incarnazione e ministero del successore di Pietro mi ha molto colpito. “La Chiesa – continua San GPII – ha una coscienza sempre più approfondita sia riguardo al suo mistero e sia riguardo alla sua missione umana, sia finalmente riguardo alle sue stesse debolezze umane”. La Chiesa sa che ha un compito particolare, cioè annunciare il mistero dell’Incarnazione, la Chiesa sa che questo compito riguarda tutti gli uomini, che questo compito straordinario, enorme, che Dio le ha dato, non è frenato dalle debolezze umane, ma convive con esse. e le debolezze umane non possono assolutamente indebolire il compito che Dio ha dato alla Sua Chiesa.

1. L’Incarnazione al centro

Qual è la conseguenza del fatto che Cristo è il centro del cosmo e della storia?
L’enciclica cita nei primissimi passi i versetti di Giovanni: “Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14) Sappiamo benissimo che non è vero che tutte le religioni sono dei “cammini per raggiungere Dio”, non è vero che tutte le religioni sono delle lingue che possiamo usare per parlare con Dio, ma tutte le religioni sono dei tentativi umani per raggiungere il Mistero, dei tentativi umani di dire qualcosa del Mistero. In quanto tentativi umani, sono dei prodotti culturali e hanno certamente del bene dentro, perché l’uomo è ragionevole e dunque anche dentro un tentativo umano c’è del bene e del vero.
Ma il tema – tutti abbiamo sotto gli occhi lo schema delle freccette del Senso Religioso – è che il cristianesimo non è un tentativo umano di raggiungere il Mistero, ma è esattamente il contrario: il cristianesimo è l’annuncio prorompente che: “Quando giunse la pienezza dei tempi, Dio mandò Suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge” (Gal 4,4); è l’annuncio che il Mistero si è fatto carne, che Dio ha scelto definitivamente di farsi uomo, per parlare agli uomini con gesti umani e parole umane, perché gli uomini lo conoscessero.
In tal senso, c’è un passaggio del grande magistero del Giuss, che all’inizio mi sembrò un po’ oscuro, quando disse, se ricordate, che: “Cristo è venuto nel mondo per educare il nostro senso religioso”. Un passaggio molto forte! Io che ero già un teologo, con la mia piccola “cattedrina”, pensai: “Mi sembra un po’ poco dire una cosa del genere”. Invece è verissimo!
Perché cosa vuol dire “educare il senso religioso umano”?
Vuol dire entrare nell’umano – e chi entra nell’umano più di uno che diventa uomo, si incarna? – ed entrando nell’umano, dal di dentro dell’umano, condurre l’umano al rapporto con Dio. Quindi ha ragione il don Giuss! Cristo si fa uomo per educare il mio senso religioso.
E’ così vero – e chiedo scusa se qualcuno si scandalizza per quello che sto per dire – che se non ci fosse Gesù Cristo, io forse nemmeno crederei in Dio. Non avrei nemmeno immaginato di farmi prete. Dio è credibile perché si è fatto uomo, io credo, infatti, in Gesù Cristo innanzitutto, ed è Lui che mi porta a credere nel Padre e nello Spirito Santo. Poi, per carità, ognuno ha le sue strade: c’è chi parte dal Padre e arriva al Figlio, ci sono i Pentecostali che partono dallo Spirito Santo e arrivano al Figlio e al Padre, c’è chi parte dalla Madonna e arriva al Figlio… Tutti dentro l’unica strada cristiana, ovviamente.
Ma nella mia sensibilità, nelle corde che anche la mia famiglia mi ha donato, il fatto che si sia fatto uomo è dirompente.
Penso che, anche logicamente parlando, il mistero della Risurrezione illumini e renda credibile l’Incarnazione; ma è altrettanto vero che senza l’Incarnazione il mistero della Risurrezione non ci sarebbe stato. L’incarnazione è ciò che urta di più la nostra ragione! Ricordate la famosa obiezione di Leibniz: “Se è uomo, non è Dio, se è Dio, non è uomo, quindi il cristianesimo è impossibile”. Hai ragione caro Leibniz, razionalmente parlando, secondo il principio di non contraddizione, avresti ragione… Ma è successo! È un fatto innanzitutto il cristianesimo. Tutto il secondo volume del Percorso ci educa a stare di fronte a quel Fatto e a raccogliere i dati che stanno all’origine della pretesa cristiana e che rendano credibile quel Fatto, al punto tale da potervi aderire con tutto se stessi.
Dice San GPII, nella RH, che il Concilio si è chiuso, c’è stata la breve esperienza di 33 giorni di GPI, adesso “bisogna proseguire il cammino”. Prende un’eredità, è geniale questo, ed è ovvio! Nessun Papa può avere la pretesa di “cominciare da capo”; se un papa avesse la pretesa di cominciare da capo o di fondare un’altra chiesa, ci sarebbero dei problemi. Il Papa, ogni Papa, prende l’eredità bimillenaria che ha ricevuto e la porta aventi. San GPII afferma esattamente questo: si tratta di proseguire il cammino e, cito: “L’unico orientamento dello Spirito, l’unico indirizzo dell’intelletto e della volontà e del cuore è per noi questo: verso Cristo redentore dell’uomo, verso Cristo redentore del mondo. A Lui vogliamo guardare perché solo in Lui, Figlio di Dio, c’è salvezza.” Questo dovrebbe essere scolpito nella pietra e messo davanti alle porte di tutte le chiese del mondo! É scolpito nel nostro cuore?
Per me c’è stato subito un esame di coscienza, ma sereno, mi sono chiesto: “Per me è così? Per me Cristo è il centro del mio intelletto, della mia volontà e del mio cuore?” “L’unico orientamento dello spirito, l’unico indirizzo dell’intelletto, della volontà, del cuore, è per noi verso Cristo, redentore dell’uomo, verso Cristo, redentore del mondo. A Lui vogliamo guardare perché solo in Lui, Figlio di Dio, c’è salvezza. Dobbiamo costantemente tendere a Lui”.
Lavorare come tensione a Cristo! Giussani ce lo ha insegnato in tutti i modi, non come rispetto di regolette estrinseche, non come un insieme di norme a cui obbedire supinamente, ma lavorare come tensione a Cristo, cioè come affezione a Cristo, un’affezione così radicale che modifica, cambia anche il mio giudizio. Solo il cambiamento del giudizio permette, con la grazia di Dio e non senza sforzo e tempo, di cambiare anche l’atteggiamento. Tutto il resto è moralismo. E il moralismo non dura, non regge l’urto del mondo, l’urto delle obiezioni.
Questa insistenza su Cristo centro del cosmo e della storia è in realtà un’insistenza sul mistero dell’Incarnazione. Noi possiamo e vogliamo ricentrarci su questo mistero, cioè su un fatto impensabile per l’uomo; al massimo, l’uomo ha desiderato, nella storia, che Dio, in qualche modo, si rivelasse, ma era impensabile il dell’Incarnazione. Su questo punto, non solo oggi, ma da 2000 anni, l’uomo è scandalizzato, dal termine greco “σκάνδαλον”, inciampo; è 2000 anni che questo Fatto provoca la nostra intelligenza e la nostra libertà.
Primo perché è qualcosa di inimmaginabile e dunque una novità assoluta e, secondo, perché ci fa sperimentare una prossimità del Mistero, una prossimità del senso della nostra vita, una prossimità del Destino eterno che ci spaventa, perché un Dio così vicino da farsi uomo ci spaventa, mette in discussione tutti i nostri schemi quotidiani, reiterati, che invece devono essere messi in discussione. Pensare che Dio è stato un embrione nel grembo della Vergine Maria e che questo embrione si è sviluppato – quante volte il Giuss l’ha descritto – che è cresciuto e che poi è nato e che ha camminato su questa terra e che poi è stato uomo come noi; ma che quell’uomo lì è Dio, Colui che ha fatto il mondo, Colui che ha generato l’universo, Colui che ha pensato te e ha pensato me, da sempre. Questo è sconvolgente per noi oggi, dopo 2000 anni, è stato sconvolgente per gli Apostoli quando lo hanno capito, è stato sconvolgente per Maria, che si è fidata con tutta se stessa di ciò che Dio le diceva.

2. Nessuno è estraneo a Cristo

È sconvolgente non solo a livello intellettuale, perché cambia tutto il modo di pensare, ma è sconvolgente esistenzialmente perché, se Dio si è fatto uomo – lo dice San GPII – “non c’è nessun uomo estraneo al Mistero di Cristo”.
Citando il Concilio Vaticano II, San GPII scrive: “facendosi uomo Cristo si è unito in certo modo ad ogni uomo”. Traduciamo: il mistero dell’Incarnazione spalanca talmente il nostro cuore, da renderlo capace per grazia di avere una simpatia per ogni uomo perché ogni uomo è stato voluto, amato e potenzialmente salvato da Cristo. Questa verità, che noi viviamo in prima persona, perché abbiamo aderito a Cristo e dunque il nostro cuore è immedesimato con il Suo e il Suo cuore è immedesimato con il nostro, questa verità ci spalanca gli occhi e la mente, al punto da avere simpatia per ogni uomo, indipendentemente dalla sua storia, perché possa, come noi, incontrare Cristo.
Pensate questo cosa dice a tutto il perbenismo moralistico che frena la missione: se tu sei musulmano, non ti posso parlare di Cristo, devo rispettare la tua fede. Ma di cosa stiamo parlando? Dove c’è scritto nel Vangelo: andate ad annunciare a tutto il mondo tranne ai non credenti, tranne ai non cristiani? Allora chiudiamo baracca e burattini! Scusate, cosa siam qui a fare? Però noi siamo in questo atteggiamento. Tutto l’Occidente ha una paura enorme ad annunciare Cristo ai musulmani.
Se Cristo è centro del cosmo e della storia, non c’è nulla che sia nel tempo, non c’è nulla di umano che sia estraneo a Cristo. Nulla di umano intorno a te, nulla di umano in te. Questo porta con se’ una conseguenza enorme, perché l’unica cosa estranea a Cristo è il peccato. Vuol dire che il peccato non è umano.
Pensateci: nulla di umano è estraneo a Cristo, solo il peccato è estraneo a Cristo, e quindi il peccato non è umano.
Lo commettiamo noi uomini, certamente, ma non è umano, cioè non è ciò che ci qualifica come uomini. Anche qui tutta la retorica della “misericordia a buon prezzo” salta, perché non è vero che “siamo umani” e quindi “dobbiamo peccare”, quai fosse una necessità derivante dalla natura umana. Pecchiamo, certo, ma percepiamo che in quel gesto, contrario alla volontà di Dio, non si documenta la verità e la bellezza del nostro essere uomini.
Come si chiama questo annuncio straordinario che Dio si è fatto uomo ed è il nostro salvatore, il nostro redentore?
Ha un nome molto semplice, che tutti noi conosciamo e che ultimamente è stato abusato, senza peraltro dirne l’origine.
Se io dico una cosa ma non ne spiego l’origine e non ne do le ragioni, ciò che sto dicendo diventa retorica.
Il fatto che Dio si sia fatto uomo e sia morto e risorto per noi, cioè che sia il Redentore, ha un nome semplicissimo, che la Chiesa conosce da 2000 anni, non è una novità, si chiama: “Misericordia”.
Ricordo un volantone bellissimo di Pasqua, quando il don Giuss scrisse: “L’ultima parola su tutte le brutture del mondo è la parola misericordia.” Questa è l’ultima parola su tutte le brutture mie e della storia; il che vuol dire, semplicemente, che l’ultima parola la dice Dio è Cristo, Parola fatta uomo, morto e risorto.
Questo annuncio genera, in chi lo accoglie, una stupefacente e inattesa stima anche per se stesso. Non solo la stima per l’altro che comunque è destinato a Cristo, ma anche la stima per me, perché se Dio mi stima e mi ama, al punto da mandare il Suo Figlio ed il Suo Figlio, Dio-fatto-uomo, mi stima e mi ama al punto da morire in croce per me, da risorgere per me, da associarmi alla Sua ascensione al cielo, perché io entri nel Mistero Trinitario – straordinari Misteri! – chi sono io per non stimare me stesso? Chi sono io per non stimare il fratello che è cristiano come me?
La stima di me stesso non nasce da un’illusoria ipertrofia dell’ego, da un “ingigantimento” del nostro io.
La stima di me stesso, per noi cristiani, nasce dalla stima che Dio ha avuto per me, facendosi uomo, salvandomi e chiamandomi al rapporto con Lui. Da lì nasce la stima! Una stima del genere non può essere abbattuta da nessun peccato, non può essere adombrata da nessuna infedeltà. La conseguenza immediata è che quando pecchiamo, non ci stimiamo.
Scriva San GPII: “L’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo e non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere, deve con la sua inquietudine e incertezza e anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e la sua morte, avvicinarsi a Cristo” (RH n. 10).
Poi si cita il CVII, Gaudium et Spes 22: “Solo Cristo, centro del cosmo e della storia, svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”. Qui mi è venuto subito da pensare, ma forse per mestiere, a tutti quegli uomini che non hanno ancora conosciuto Cristo e che sono rimasti mistero a se stessi. Subito dopo, però, mi è nata una gratitudine profonda, perché per noi, che Cristo lo abbiamo incontrato, per noi che Cristo lo abbiamo conosciuto, per noi che da una vita viviamo con Lui e vogliamo vivere con Lui, lo svelamento del nostro essere è più pieno. Perché Cristo svela l’uomo all’uomo. perché Cristo mi rivela chi io davvero sono, Cristo mi rivela qual è la consistenza del mio essere, che è fondamentalmente consistente della relazione con Lui, dal quale tutte le altre relazioni prendono forza e significato.
Sembra un’altra religione, ma è il cristianesimo, mi raccomando, non è un’altra religione.
Cristo centro del cosmo e della storia e solo Cristo rivela l’uomo all’uomo.

3. La radice della missione

Continua San GPII: “Il compito fondamentale della Chiesa è di dirigere lo sguardo dell’uomo verso il Mistero di Cristo”. Ohibò… non verso l’ecologia? Noi siamo la Chiesa di Cristo a tutti i livelli, dai battezzati, ai consacrati, ai vescovi, ai cardinali, ai papi, ai professori di teologia, siamo la Chiesa di Cristo se dirigiamo lo sguardo dell’uomo verso Cristo? E come si fa?
Solo se tu guardi a Cristo, ovvio! Siete padri e madri di famiglia, i vostri bambini quando vi fermate a guardare qualcosa, cosa fanno? Guardano quello che voi guardate, è evidente, accade così.
Perciò la Chiesa può dirigere lo sguardo degli uomini a Cristo solo se lei per prima guarda a Cristo. E questo vale per me: io potrò dirigere lo sguardo dei miei alunni a Cristo, solo se io per primo guardo a Cristo, – attenzione – solo se io li guardo, guardando a Cristo. Questo secondo passaggio è fondamentale, perché posso guardare a Cristo in maniera mistica e disincarnata, pregherò per loro, ma loro non se ne accorgono. Se invece io li guardo guardando a Cristo e sono attento ai loro sguardi, ai loro sonni, alle loro distrazioni, alle loro assenze, ai loro modi di trattare gli altri in aula, ai loro modi di relazionarsi con il docente, se sono attento a tutto, se mi ricordo i loro nomi – miracolo! – loro si accorgono che li guardo in modo diverso e, magari, si domandano: perché mi tratti così? E da lì nasce un mondo! Quando un alunno domanda al docente: Professore, perché mi tratta così? (nel bene, ovviamente, non nel male), qualcosa sta capitando, sta accadendo un inizio di stupore per un incontro.
“Il compito fondamentale della Chiesa è di dirigere lo sguardo dell’uomo verso il Mistero di Cristo e aiutare tutti gli uomini ad avere famigliarità con la profondità della redenzione. Facendo questo si tocca anche la più profonda sfera dell’uomo, la sfera dei cuori umani, la sfera delle coscienze umane e delle vicende umane”. Pensate che lucidità GPII ha nell’indicare la strada!
Non si toccano le coscienze, i cuori e le vicende umane, distogliendo lo sguardo da Cristo e confondendosi con esse, ma si toccano i cuori, le coscienze e le vicende umane avendo lo sguardo fisso verso Cristo e aiutando gli altri a guardare a Cristo. Perchè? Perchè Dio si è fatto uomo e quindi guardando Lui, noi guardiamo l’uomo, guardando a Cristo guardiamo le vicende umane, Lui è entrato nella storia.
Non fare così è ricadere nel vecchio dualismo gnostico precristiano, cioè è ricadere in un concetto per il quale Dio starebbe da una parte e la storia da un’altra e, quindi, compito dell’uomo sarebbe mettere insieme questi due poli, assolutamente inconciliabili. Ma questo significherebbe vanificare 2000 anni di cristianesimo, vanificare l’Incarnazione.
Dopo Cristo – lo ripeto – non c’è più nulla di umano che sia estraneo a Dio, solo il peccato, che essendo estraneo a Dio, è estraneo anche a me, uomo. Questo è innanzitutto un giudizio, cioè va capito, e poi diventa un’esperienza continua, un allenamento continuo, un richiamarci continuo, gli uni gli altri, a questo livello di coscienza, a questo livello di rapporto con la realtà.
Da questo incontro con Cristo, centro del cosmo e della storia, nasce in noi che lo abbiamo incontrato uno stupore per la dignità dell’uomo ed è questa la dignità della grazia dell’adozione a figli, di cui parla San Paolo, la dignità della verità interiore dell’umanità, la quale, ancora di più, risulta per noi alla luce della realtà che è Lui, Cristo.
L’umanità voluta, creata dal Padre, redenta dal Figlio, santificata dallo Spirito Santo, scopre la sua straordinaria dignità. Quanto parlare si fa oggi della dignità umana, dei diritti umani, un parlare quassi sempre “scardinato” dall’origine; questo scardinamento è pericolosissimo perché, direbbe Péguy: “Siamo come parassiti che godono dei frutti di una cultura senza ricordarne l’origine”. Tutti i richiami alla fraternità, all’accoglienza, alla pace, che non partano dall’Incarnazione e da Gesù Cristo, corrono il rischio terribile di non dare le ragioni e, quindi, di scadere nel moralismo e di non reggere l’urto della realtà, che vuol dire, innanzitutto, l’urto del mio limite. Non pensiamo alla realtà fuori di noi; anche! Infatti abbiamo una cultura che ormai ha quasi dimenticato completamente Cristo; ma l’urto più grosso è quello del mio limite, quello della mia smemoratezza.
Nella profezia che i santi sempre vivono, San GPII afferma: “Questo annuncio, l’annuncio di Cristo unico salvatore del mondo, è ciò che davvero il cuore umano attende”. Il cuore umano è fatto per questo. Ricordo il Card. Biffi che diceva: in mezzo a tutte le contraddizioni, noi abbiamo sempre una possibilità di fronte a noi nell’annuncio di Cristo: la possibilità che è data dal cuore dell’uomo, perché il cuore dell’uomo è fatto per questo, per quell’esigenza infinita, universale che lo spalanca al Mistero.
“Sentiamo profondamente il carattere impegnativo della verità che Dio ci ha rivelato – bellissimo! – Il primo compito della Chiesa è quello di essere custode della Verità – e sentiamo grande senso di responsabilità – scrive San GPII – per questa verità, sentiamo il dovere di evangelizzare e per farlo guardiamo ancora a Cristo che è stato il primo evangelizzatore, cioè ha portato la buona notizia che Dio è l’Emmanuele. Nell’annunciare la verità che non proviene dagli uomini, ma da Dio – la dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato – pur agendo con tutta la forza dello Spirito, è necessario conservare profonda stima per l’uomo, per il suo intelletto, la sua volontà, la sua coscienza, la sua libertà” – Sembra di sentire il don Giuss – “In tal modo, la stessa dignità della persona umana diventa il contenuto dell’annuncio” – perché se Cristo rivela l’uomo all’uomo, annunciando Cristo io annuncio all’uomo la sua dignità, lo rendo consapevole della sua dignità, lo desto, lo sveglio, lo richiamo alla sua dignità – “E la Chiesa in questo modo diventa custode di questa libertà che è condizione e base della vera dignità della persona umana”.
Dicevamo prima, con un confratello, che bisogna ridire le parole fondamentali del cristianesimo, ri- insegnare il vocabolario di base cristiano. Pensate solo, ad esempio, come la parola “libertà” venga oggi usata e “strapazzata” da chiunque, dandole un contenuto assolutamente altro da quello che essa ha in se stessa.
Nell’affermazione che Cristo “in certo modo si è unito ad ogni modo”, l’enciclica include due conseguenze enormi. La prima – che il Giuss riprende – afferma: “Se Cristo si è unito ad ogni uomo, l’uomo diventa la via da percorrere per la Chiesa: l’uomo via della Chiesa”. A me sembra che questo, oggi, sia particolarmente dimenticato, perché all’uomo, via della Chiesa, rischiano di sostituirsi le strutture: dalla sinodalità ai consigli pastorali e tutto quello che c’è di mezzo, cioè delle strutture che diventano come dei contenitori vuoti. Sempre Messori, accanto all’espressione “il Verbo si fece carta”, parlava della “Chiesa che si auto-occupa”; non occupandosi più del messaggio di Cristo, dell’evangelizzazione, dell’annuncio franco e cordiale di Dio fatto uomo, molti si auto-occupano, in pachidermi organizzativi trita-soldi, che non evangelizzano alcun. Oggi un ragazzo sano di mente, si interesserebbe mai della CEI? Se si interessa è perché non è sano di mente. Si interesserebbe mai del CSM? no, si interessa di passare l’esame di giurisprudenza, di diritto penale, degli amici che ha intorno, della ragazzina magari, ma non del CSM. Questi pachidermi organizzativi, dicono magari di una buona volontà di camminare insieme verso, speriamo, Cristo, ma in essi spesso è quasi impossibile pronunciare il nome di Gesù, come in alcuni senati accademici di teologia.
“Con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. La Chiesa desidera servire quest’unico fine: che ogni uomo possa ritrovare Cristo perché Cristo possa con ciascuno percorrere la strada della vita con la potenza di quella verità sull’uomo e sul mondo contenuta nel mistero dell’Incarnazione”: altro monumento dell’enciclica!
Per forza che don Carlo vi ha detto di riprenderla! Quando l’enciclica uscì, tra le varie interviste che Giussani rilasciò, ce ne fu una in cui Giussani disse: “Questa enciclica è un squarcio di luce nelle tenebre dell’epoca presente”. E siccome le tenebre magari qualche volta tornano, è bene guardare gli squarci di luce.
“L’uomo, così com’è voluto da Dio, così com’è stato da Lui eternamente scelto, chiamato, destinato alla grazia e alla gloria”: questo è proprio ogni uomo, l’uomo più concreto, più reale, tu, io, Davide, siamo stati voluti, creati da Dio e destinati alla gloria, destinati al rapporto con Lui.
“Questo è l’uomo in tutta la sua pienezza del Mistero in cui è divenuto partecipe di Cristo”. Noi siamo partecipi, cioè “resi parte” del Mistero di Dio fatto uomo in Cristo, e lo sperimentiamo nel rapporto personale con Lui, ma questo diventa carne e sangue nella relazione tra di noi, perché il Corpo di Cristo è quello che ho di fronte: Lui è il capo e noi siamo le membra. Lo siamo nella vocazione particolare al matrimonio, nel rapporto uomo-donna, nella vocazione comune ad essere Chiesa, ad essere comunità, nella fraternità che ci caratterizza.
Accennavo prima a Davide alla fecondità vocazionale che, per grazia di Dio, ci è toccata in sorte; con i preti che ho dato alla Chiesa, che ho accompagnato ad essere sacerdoti, siamo fratelli; quando ci vedono insieme dicono: ma questa è la tua famiglia! C’è un’appartenenza comune a Cristo, alla Chiesa, alla vocazione che ci unisce, che è spettacolo alla nostra stessa vita. L’uomo che accoglie Cristo, Dio fatto uomo, centro del cosmo e della storia, redentore dell’uomo, quindi redentore della propria vita, scopre di diventare spettacolo a se stesso.
San GPII parla dello stupore, della meraviglia che l’uomo prova per se stesso quando incontra Cristo. Quante volte Giussani ci ha ricordato che siamo spettacolo a noi stessi, non per una superbia che ci fa credere di essere migliori di altri, ma per ciò che Dio opera nella nostra vita e che mai avremmo potuto operare da soli. Questo è lo “spettacolo” e penso che chiunque di voi potrebbe venire a questo microfono e raccontare come il rapporto con Cristo ha generato nella sua vita uno spettacolo di incontri, di opere, di giudizio, che mai ci sarebbe stato senza Cristo.
Tutto questo genera una pretesa dell’uomo. Mi ha molto colpito questa affermazione fatta nel 1979! Oggi sono tanti a ritenere che sia messa in discussione la ragione stessa dell’essere dell’uomo. Mi piace citare Rémi Brague, uno degli ultimi metafisici viventi, filosofo francese, che ha scritto un pamphlet da titolo “Farla finita con l’uomo”, criticando ovviamente questa posizione, ma sostenendo che le attuali posizioni filosofiche non giustificherebbero più l’esistenza dell’uomo. (Cf. R. Brague, Dove va la storia, Brescia 2015).
GPII nel ‘79 scrive: “L’uomo non può rinunciare a se stesso, né al posto che gli spetta nel mondo visibile” (RH n.16).
Pensate che differenza enorme rispetto all’Agenda 2030 e a tutto quello che na deriva. L’uomo ha un posto nel cosmo perché è l’unica creatura che Dio ha voluto per se stessa. Tutte le altre creature sono state create da Dio al servizio dell’uomo. L’uomo non può rinunciare a se stesso.
Attenzione, l’evangelico; “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Mt 16,25) è un’indicazione di tipo affettivo e morale. Mentre noi parliamo su un piano filosofico ed ontologico. L’uomo non può rinunciare a se stesso perché Dio si è fatto uomo. L’uomo non può rinunciare al posto che gli spetta nel mondo visibile, perché non renderebbe più visibile Dio.
Vi siete accorti, per esempio, che l’arte contemporanea non rappresenta più il corpo umano? Vi sembra casuale questo astrattismo impenetrabile, che ha deragliato completamente nel soggettivismo più radicale del cosiddetto artista?
Io vado spesso alla Biennale a Venezia, con occhio critico, e, un paio di anni fa, l’unica rappresentazione del corpo umano era costituita da alcuni manichini di legno, ricoperti di letame. Era l’unica rappresentazione, in tutta la Biennale, del corpo umano! Il corpo umano non viene più rappresentato perché è il luogo di massima manifestazione del Mistero. Se Dio si è fatto uomo, al di là di tutti i simbolismi che pure l’arte sacra ha elaborato nei secoli, il mio corpo umano, il tuo corpo umano è il luogo che Dio ha scelto per abitare questo mondo.
“Il Verbo si fece carne”, “Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο”, la “σὰρξ” (= carne) non è “soma”, la carne è quella che pecca, proprio “carne-carne”, non figura umana.
Siamo in una cultura nella quale l’uomo viene marginalizzato perché è il luogo in cui Dio si è manifestato pienamente.
Nel 1979, con una profezia che ci sconcerta, ma che ci dà speranza, San GPII afferma: “L’uomo non può rinunciare a se stesso né al posto che gli spetta nel mondo visibile”, contro ogni fuga di tipo gnostico, contro ogni tentazione di sottrarsi alla realtà, come se uno potesse salvare se stesso, la sua famiglia, gli amici, la sua comunità, sottraendosi alla realtà. No, non è questa la via.
Certo, il seme va custodito per poter continuare ad annunciare, quindi meno male che abbiamo luoghi in cui il giudizio è condiviso, ci viene ricordato il centro della fede e da qui possiamo ripartire; ma nessuno è dispensato dalla missione, per nessun motivo. Si tratta di tutto il dinamismo della vita e della civiltà, si tratta del senso delle varie iniziative della vita quotidiana: il modo in cui apri la macchina, il modo in cui parcheggi e saluti i colleghi, il modo in cui entro in aula al mattino, il modo in cui promuovo o boccio un allievo, vivere la vita quotidiana avendo presente Cristo, centro del cosmo e della storia.
“La Chiesa vive di queste realtà sull’uomo, la Chiesa vive di una inquietudine creativa, cioè la ricerca della verità, l’essenziale bisogno del bene, la fame della libertà, la nostalgia del vero – questa è l’esperienza elementare del senso religioso (Cap. 2 del Senso Religioso) – La Chiesa è la custode di un grande tesoro, la Chiesa del nostro tempo (1979) sembra ripetere con sempre maggior fervore e santa insistenza: Vieni Santo Spirito!”. La Chiesa domanda che lo Spirito la guidi a comprendere queste cose.

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