Il Pensiero Cattolico

23 Novembre 2024

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Nunzio Lozito

Dialogo? Si, ma “della salvezza”

L’incipit del presente articolo è l’enciclica Ecclesiam Suam di san Paolo VI. Il documento riserva al tema del dialogo diversi punti. Cosa c’è da dire ancora sul dialogo, visto che viene invocato in ogni discorso? Nella maggior parte dei casi è una parola vuota, priva di ogni ‘contenuto’. Anzi, per dialogare accettato viene postulata l’assenza di ogni contenuto. Quale rischio incorre colui che non si allinea al pensiero unico? Essere estromessi dal “club” dei dialoganti ed essere intruppati in quello dei divisivi.

È ovvio che il dialogo implichi sempre un rapporto (tra persone, idee, con il trascendente). Ecclesiam suam mette al vertice, la Rivelazione: Dio Padre dialoga con gli uomini, mandando suo Figlio . Guai se gli uomini non dialogassero. Le barriere di incomunicabilità regnerebbero sovrane ovunque. Quindi, dialogare non solo è un auspicio, ma una necessità! Addirittura un ‘obbligo’ per il cristiano. Questi infatti, consapevole o meno, fa parte della religione del logos (parte integrante dell’etimologia della parola dialogo). C’è un equivoco però! Un grande equivoco.
Quello riguardante il contenuto. Sembra, infatti, ormai ampiamente diffusa la convinzione che, dialogare significhi scambio di opinioni, indipendentemente dal valore delle stesse. La convinzione, che qualsiasi posizione venga espressa, debba avere lo stesso diritto di essere propugnata. Senza che si entri nel merito sulla ‘verità’ dell’opinione espressa. Una simile idea di dialogo, risulta priva di onestà intellettuale già in un talk show televisivo. Figuriamoci, poi se venisse utilizzata nell’ambito interreligioso. È sempre in agguato il relativismo. Tale fenomeno non è certo una novità dei nostri giorni!
Tuttavia, sembra che, in questo frangente, la confusione regni sovrana non solo, come c’è d’aspettarsi, nel ‘mondo’ ma anche nella chiesa. L’errata convinzione che, in merito alla salvezza, una religione valga l’altra, è fonte di disorientamento tra non pochi fedeli e non solo cattolici. Che il momento storico attuale non sia dei più semplici è indubbio. La confusione sul punto in questione, però, più che favorire distensione sul diffuso clima di conflitto, lo aggrava notevolmente. Comunque, la prospettiva ‘sociologica’ di questa errata convinzione, non è certo l’unico problema. Anzi, non è nemmeno la più grave. La questione più grave è sul piano teologico. Pensare che il sangue di Gesù Cristo, versato sulla croce, possa avere lo stesso valore della predicazione del Budda o della jihad di Maometto è una pura aberrazione teologica. Il dialogo interreligioso certamente non l’ha “inventato’ il Concilio Vaticano II, anche se dall’assise conciliare ha avuto notevole impulso.
Perché, nell’ultimo secolo, è cresciuta la consapevolezza della interdipendenza di popoli, culture, tradizioni, con la conseguente necessità di convivenza tra fedeli appartenenti a religioni diverse. Mai però nei documenti autorevoli del Magistero, ordinario e straordinario, è venuta meno la consapevolezza dell’unicità dell’opera salvifica di Gesù Cristo. Quindi, affermazioni molto ricorrenti oggi come “il pluralismo e le diversità di religione” sono “una sapiente volontà divina”, scardinano gli assunti della Rivelazione biblica che la Tradizione autentica della Chiesa ha fatto sempre propria. Ha mai affermato Gesù di essere una “via” tra le tante? O, si è mai definito un inviato del Padre tra i tanti? Non ha forse detto “«Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,16)? ‘Pretesa’ suggellata con il sangue dei martiri!…[]

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