Il Pensiero Cattolico

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Eleonora Casulli

LA DONNA NEL GIUDEO-CRISTIANESIMO E NELLA CHIESA CATTOLICA

ESSERI IN RELAZIONE: L’IMPORTANZA DI GENESI 2, 18-20

Proseguiamo nel percorso che ci sta portando, con semplicità, a riscoprire nei racconti della Genesi sulla creazione dell’uomo e della donna, la visione del giudeo-cristianesimo e quindi della Chiesa relativamente al mondo femminile in se stesso e in relazione col maschile. Prendiamo in esame il secondo racconto della creazione: esso non è da considerarsi cronologicamente successivo al primo né alternativo ad esso, ma semplicemente un altro racconto che specifica e arricchisce il primo, concentrandosi in particolare sull’uomo e la donna e la loro reciproca relazione.

La relazionalità è una caratteristica essenziale della persona umana: siamo esseri in relazione già dal grembo materno e non possiamo, neanche volendolo, “liberarci” di questa caratteristica. Anzi, la psicologia, la pedagogia, la sociologia e le scienze umane in genere ci dicono che la nostra identità si forma proprio ed esclusivamente nella relazione con l’altro, motivo per cui il modo in cui ci posizioniamo nelle relazioni dice qualcosa di importante su chi noi siamo. Quest’ultimo concetto è estremamente importante quando si tratta di relazione fra maschio e femmina: se la dignità e la specificità di ognuno influenza e caratterizza la relazione fra i due, è anche vero il contrario, e cioè che la relazione fra i due definisce la dignità e l’identità di ciascuno.

“Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.” Gn 2, 18-20.

Il testo si apre con la solitudine esistenziale dell’uomo adam, inteso quindi come persona umana non ancora sessualmente specificata, solitudine che Dio giudica negativamente, dando l’idea di non aver completato l’opera della creazione di questo essere (infatti in Genesi 1, 31 l’uomo ormai creato maschio e femmina è giudicato “cosa molto buona”); il racconto prosegue con il vano tentativo dell’uomo, pedagogicamente indotto dallo stesso Creatore, di trovare una soluzione alla solitudine nella compagnia degli animali (e quanto si potrebbe dire anche su questo guardando la società occidentale contemporanea!).
La parola ebraica tradotta con “solo” è molto forte, indica un tipo di isolamento che è chiusura totale alla relazione con l’altro, totale impossibilità o incapacità di esprimere e comunicare la propria identità profonda [1]. Questa condizione non appartiene all’essere umano così come è pensato e voluto da Dio: “L’adam, maschio o femmina che sia, è creato non per l’isolamento-solitudine, ma per il dialogo, per la condivisione e la reciprocità, per la comunione. La relazione all’altro allora non è facoltativa, ma indispensabile perché la vita abbia senso, anche se può essere realizzata con modalità diverse” [2].
Il tentativo fallito del Creatore di far uscire l’uomo dall’isolamento esistenziale (“gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”) relazionandosi con gli animali, si conclude con la frase: “l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile”.
Essa denota innanzitutto una delusione da parte dell’uomo, che si riscopre superiore alle altre creature (impone il nome agli animali), ma al contempo incapace di trovare in esse la soddisfazione che cerca, delusione che lo aiuterà ad apprezzare la diversità sostanziale della donna, della cui creazione parleranno i versetti immediatamente successivi [3].
Questa sottolineatura è una rottura con la mentalità del tempo in cui tali testi sono stati redatti: la donna non dev’essere confusa con gli animali, di cui l’uomo è padrone, e la relazione fra uomo e donna non può essere improntata sul possesso, come altri passi biblici potrebbero erroneamente indurre a pensare [4].
L’espressione “ un aiuto che gli sia simile” non rende la profondità dell’originale ebraico: l’uomo ha bisogno di aiuto per uscire dall’isolamento esistenziale e può trovarlo solo in un essere “che gli stia davanti” (questa la traduzione che appare più appropriata), cioè che possa stargli di fronte e guardarlo negli occhi senza abbassare lo sguardo, come un essere assolutamente alla pari nella dignità e nelle facoltà psicofisiche, col quale si possa entrare in un dialogo profondo [5].
Ecco la donna.
Anche in questo è possibile ravvisare una profonda rottura del Giudaismo, e quindi del Cristianesimo, rispetto alla considerazione che si aveva in quell’epoca della donna, ravvisabile per esempio nei miti dei popoli antichi: “come un oggetto misterioso finalizzato alla soddisfazione del maschio o alla riproduzione di altri schiavi per gli dèi o come una attrazione fatale colpevole di portare l’uomo sulla strada sbagliata” [6].
Da notare che queste e altre visioni svalutanti la dignità della donna, appartenenti al paganesimo, sono state e sono ancora attribuite al Cristianesimo e alla Chiesa, con buona pace del testo biblico, della Tradizione, del Magistero e dei testi liturgici (basti pensare alle benedizioni e orazioni del matrimonio ebraico e cristiano) che da esso si sono propagati nel corso dei secoli e che sono e saranno per sempre testimoni autentici della verità.
Nel prossimo articolo approderemo alla famosa “costola di Adamo”, tanto nota quanto tristemente e lungamente fraintesa.

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[1] Cfr. https://www.simoneventurini.com/non-e-bene-che-luomo-sia-solo/
[2] G. Cappelletto, In cammino con Israele. Introduzione all’Antico Testamento – I, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2006, pag. 139.

[3] “Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta essa/è carne dalla mia carne/e osso dalle mie ossa./La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta»”. Genesi 2, 21-23.
[4] Per esempio: “Non desiderare la casa del tuo prossimo./Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo». Esodo 20, 17.

[5] Cfr. Cappelletto, pag. 139.

[6] Ibidem, pag. 138.

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