Rossella Pastore
Basta parlare (solo) di misericordia
Si fa un gran parlare, oggi, di misericordia e amore di Dio. La maggior parte dei predicatori mette in risalto esclusivamente l’aspetto legato alla Sua bontà e compassione, confermando nell’errore i tanti fedeli (la maggioranza, anche in questo caso) già ampiamente persuasi che Dio perdoni tutto… a prescindere. A prescindere dal pentimento, a prescindere dal sacramento della Confessione… sempre che resti qualcosa da perdonare.
Il primo problema, infatti, è la perdita del senso del peccato, o almeno la relativizzazione della morale cattolica. Relativizzazione che si esplica in modi diversi: si può per esempio affermare che certe norme siano desuete («i tempi sono cambiati e anche la Chiesa deve aggiornarsi», come se quelle norme fossero di diritto umano e non divino), oppure dire che la tale parola/opera sarebbe pure peccato, ma le circostanze la rendono lecita (l’esempio più classico è quello della bugia di scusa [qui per approfondire], come se il fine giustificasse i mezzi…).
Assumendo che resti qualcosa da perdonare, che cioè qualche anima non abbia ancora del tutto smarrito la percezione del peccato, chi predica un Dio “tutto misericordia e niente giustizia” non fa altro che dare il colpo di dis-grazia, a queste anime. Chi confida temerariamente nella misericordia divina, infatti, non lascerà mai di peccare.
Obiezione comune, rispetto a questa visione, è la seguente: si può arrivare a lasciare il peccato anche “innamorandosi” di Dio, non solo per timore dei castighi o dell’eterna dannazione. In effetti, è risaputo che esistano due vie per arrivare a Lui: la via “del cuore”, tracciata dal beato Duns Scoto (sulla scia di san Francesco d’Assisi) e la via della ragione, un approccio meno sentimentale suggerito da san Tommaso d’Aquino. Entrambe le vie sono di per sé valide; anche la prima, perché alcuni Dio davvero li attrae con delicatezza e dolcezza, facendoli innamorare di Lui e al contempo facendo loro provare somma tristezza per esserGli stati lontano.
Tuttavia, la seconda sembrerebbe essere una via più sicura, perlomeno di questi tempi. Tempi di lassismo quasi totale; in cui, soprattutto, gli uomini sono meno sensibili al linguaggio dell’amore (tanto più che il loro concetto di amore è più che falsato… stravolto).
Insomma, i discorsi blandi e vaghi sull’amore di Dio non funzionano (quando non sono controproducenti). Non funzionano in particolare con i peccatori incalliti, a detta – tra gli altri – di san Giovanni Maria Vianney, patrono dei presbiteri e dei parroci. Le omelie del santo Curato d’Ars erano omelie “infuocate”, ricche di invettive contro gli impenitenti. Ma è questa, in certi casi, la vera misericordia: ammonire i peccatori è esattamente una delle sette opere di misericordia spirituale.
Più propriamente, misericordia e giustizia non si escludono a vicenda: pare invece che l’una comprenda l’altra. Quando è giusto, ad esempio quando castiga, Dio è anche misericordioso: Dio castiga, cioè – etimologicamente – “rende casto”, colui che ama, come si legge in Proverbi 3,12. Persino l’inferno è campo di esercizio della misericordia di Dio: Egli infatti non permette che le pene inflitte ai dannati siano superiori alla gravità dei loro peccati.
Allo stesso modo, quando ama, è anche giusto. Ama con amore di compassione il peccatore, e con amore di compiacenza il virtuoso. Con amore di predilezione, colui che più lo ama (si pensi a san Giovanni, l’apostolo vergine).
Inoltre, sembra essere tipico di Dio inviare prima dei “san Giovanni Battista”, che chiamino a conversione e lo facciano in maniera impetuosa, per poi manifestarsi personalmente e in tutta la Sua bontà/dolcezza. Del resto, l’instaurarsi di un rapporto confidenziale con Dio viene solo dopo essersi riconciliati con Lui. Questa prima fase è tipicamente dolorosa; ma, superatala, ci si può permettere di trattarlo con familiarità (ferma restando la riverenza). Nessuno che non sia casto (che lo sia stato reso a seguito di un castigo, se necessario), è degno di ciò.
Non solo: chi non teme Dio non è degno nemmeno della Sua misericordia. La Sacra Scrittura è chiara: «… salda egli rese la sua misericordia per quei che lo temono… ha compassione il Signore di quei che lo temono» (Sal 102,11. 13).
Dunque, Dio usa misericordia con chi ha timore di Lui, ovvero con chi è pentito. Completa sant’Alfonso in Apparecchio alla morte (220): «Ma con chi lo disprezza e si abusa della sua misericordia per più disprezzarlo, Egli usa giustizia. E con ragione; Dio perdona il peccato, ma non può perdonare la volontà di peccare.
Dice S. Agostino che chi pecca col pensiero di pentirsene dopo d’aver peccato, egli non è penitente, ma è uno schernitore di Dio: “Irrisor est, non poenitens”. Ma all’incontro ci fa sapere l’Apostolo che Dio non si fa burlare: “Nolite errare, Deus non irridetur” (Gal. 6. 7). Sarebbe un burlare Dio offenderlo come piace, e quanto piace, e poi pretendere il paradiso».
A proposito di Paradiso, si consideri che non è la stessa cosa, accedervi dopo essersi pentiti in extremis (ammesso che in punto di morte si abbia avuta la grazia di formulare un atto di pentimento) e accedervi al termine di una vita ricca di meriti. Senza contare il Purgatorio che si avrà da scontare (e il Purgatorio non è una sala d’aspetto, ma luogo di tormenti, per quanto temporanei), il grado di gloria acquisito sarà diverso. Per ragioni di giustizia… e di misericordia: Dio ama e ricompensa chi più lo ama e più ha faticato per la Sua gloria.
Si è accennato, citando sant’Alfonso, alla “volontà di peccare”. Ma in un cristiano che sia ben formato, il peccato volontario è totalmente escluso. Quello in materia grave, evidentemente, ma anche quello in materia lieve: «Chiunque è nato da Dio, non fa peccato, perchè tiene in sè un germe di Lui; e non può più peccare, perchè è nato da Dio» (1Gv 3,9).
Con ciò, non stiamo assolutamente affermando che sia vano dirci peccatori e bisognosi di misericordia. Colpevoli, manchevoli, lo rimaniamo: sì, ma di quali colpe, di quali mancanze? Non certamente di quelle volontarie! Il peccato “volontario”, in quanto tale, può essere sempre evitato. Si rimane miseri solo in quanto portatori del peccato originale e quindi naturalmente tendenti ad agire malamente o almeno imperfettamente (Rm 7,19). Ma, con l’aiuto di Dio e certamente con una buona dose di sforzo ascetico, è possibile raggiungere anche un grado altissimo di perfezione. I santi lo testimoniano.
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