Don Alberto Strumia:
Non è il titolo di “stranieri” a rendere automaticamente meritevoli di lode,
ma la fede in Dio e in Gesù
Omelia della Domenica XXVIII del Tempo Ordinario
Le letture di questa domenica parlano di alcuni personaggi “stranieri”, Naaman il siro e il samaritano, uno dei dieci lebbrosi guariti da Gesù.
All’epoca del profeta Eliseo (prima lettura) come al tempo di Gesù (Vangelo) questo appellativo – “stranieri” – indicava coloro che non appartenevano al popolo di Israele.
Oggi, da parecchi anni, con questo termine ci si riferisce, ormai abitualmente ed esclusivamente ai cosiddetti “migranti”, provenienti da diverse etnie, culture e religioni, aree geografiche. E per ragioni che, solo in pochi casi, sono l’effettiva necessità di fuggire da situazioni di guerra oggettivamente pericolose. Ma non è questo il momento né il luogo per addentrarsi in questo aspetto del problema.
Qui, quanto è importante sottolineare – in riferimento alle letture della liturgia di questa domenica – è il fatto che, a differenza di quanto si fa strumentalmente oggi, non è il titolo di “stranieri” a rendere automaticamente meritevoli di lode e di apprezzamento Naaman, il siro, da parte del profeta Eliseo (nella prima lettura) o il lebbroso samaritano che ritorna per ringraziare, da parte del Signore (nel Vangelo), ma è la fede in Dio dimostrata dal primo e la fede in Gesù dimostrata dal secondo.
Non dovrebbe, allora, anche il popolo cristiano dei nostri giorni, con i suoi pastori per primi, adottare lo stesso criterio? Perché, allora, si usano criteri ben diversi?
Ti apprezzo non tanto perché il titolo di “straniero” ti dà una sorta di “patente di innocenza”, in quanto membro di uno strano, immaginario nuovo “popolo eletto”, o nuovo “proletariato” che sia, facendo di te un privilegiato, quasi tu fossi esente dal peccato originale. E questo semplicemente perché non lo sei, esattamente come non lo sono io!
È certamente doverosa l’accoglienza, in proporzione alle disponibilità di chi accoglie, ed è altrettanto doveroso, però, procedere razionalmente.
La Scrittura dice, in proposito: «Se, mietendo il tuo campo, vi avrai dimenticato qualche covone, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per lo straniero, per l’orfano e per la vedova» (Deut 24,19). Non sarà però, per il solo “straniero”, a spese di chi è bisognoso in casa tua (l’orfano, la vedova, il disabile con chi lo assiste, e altri ancora!).
Attenzione all’ideologia dell’accoglienza forzata dello “straniero”, internazionalemente imposta!
Anche perché, chi si comporta con lo “straniero” in questo modo, ben di rado lo fa senza secondi fini, politici, culturali, ideologici, anticristiani ed economici…
Il Signore ha mostrato grande apprezzamento per coloro che hanno avuto fede in Lui, a qualunque popolo ed etnia appartenessero, al suo popolo come ad altri popoli. Ed ha dimostrato umana meraviglia di fronte a coloro i quali, davanti alla straordinarietà del Suo insegnamento e di ciò che Egli faceva, si sono convertiti a Lui, abbandonando le loro religioni di appartenenza, ormai dimostratesi del tutto inadeguate e per molti aspetti addirittura false.
La dichiarazione di Naaman, il siro, che troviamo nella prima lettura, lo documenta: «Il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo al Signore». Una chiara testimonianza di “conversione”.
Nel Vangelo, il lebbroso Samaritano, guarito, diede un’altrettanto esplicita testimonianza di conversione: «Si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo».
Mentre gli altri nove, pur appartenenti al popolo di Israele, come si può desumere dalle parole stesse di Gesù («Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?»), si sono comportati come titolari del diritto alla guarigione, senza dare un minimo di segno di fede in Dio che miracolosamente li ha guariti per le parole del Signore. Tornare a Cristo serve a tutti: stranieri convertiti e cristiani distratti dall’impegno sociologico!
Nella seconda lettura, san Paolo rivolge a Timoteo una raccomandazione che vale ancor più per noi oggi, per chi deve istruire e guidare come per chi deve imparare ad essere cristiano: «Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, […] come io annuncio nel mio vangelo». Quasi ingiungesse di non azzardarsi a sostituire il culto verso di Lui, unico e vero Dio, con il mito pagano dello “straniero”, o dell’ambiente, o della natura adorati al posto Suo.
Perché non funzionerà, né per ingraziarsi lo “straniero”, se non si converte alla vera religione, né per l’ambiente e la natura se non si riconosce Dio che li ha creati. Ma per condurre anche lo “straniero” alla fede, si deve parlargli di Cristo, insegnargli chi è veramente e non ritirarsi in un relativismo pseudoreligioso, come è divenuto di moda fare, oggi, anche nelle chiese che dovrebbero essere cristiane.
I santi hanno annunciato e testimoniato Cristo con la loro parola e la loro vita, e non si sono mai accontentati di un sincretismo pagano in cui si mescolano elementi presi da tutte le parti confondendo le idee, già poco chiare, di coloro che ancora vorrebbero essere cristiani.
In una situazione tanto confusa e pasticciata occorre, più di sempre, chiedere soccorso alla Madre di Dio, Maria Santissima, soprattutto in questo mese di ottobre a lei particolarmente dedicato, perché mostri a tutti gli uomini della terra il suo Figlio, l’unico Salvatore, in grado di guarire l’umanità di oggi dalla quella lebbra dello spirito, di origine satanica, che è peggiore di qualsiasi pandemia del corpo.
Con le parole dell’antica preghiera dalla Salve Regina, anche ora la invochiamo: «Mostraci, dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo Seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria!».