Mario Mascia
Uomo e scienza: verità o inganno
L’uomo non può sottrarsi agli interrogativi sulla vivibilità in rapporto con la realtà. Per la sua stessa natura è portato a orientare il pensiero come determinato alla vita consona ai bisogni dell’esistenza.
Il confronto con la realtà circoscritta all’ambiente circostante ha reso l’essere umano capace di percepire e individuare gli elementi che determinano tale realtà come componenti di un sistema vitale. Quanto più il sistema ambiente viene investito da una conoscenza profonda tanto più si evolve la percezione di un sistema dinamico rivolto a trasformare le stesse condizioni di vita dell’uomo.
In termini espliciti l’ambiente è riconosciuto come un sistema in quanto è composto da un insieme di elementi tra essi collegati e in continua interazione quali le specie viventi, il clima e le risorse naturali che influenzano il ciclo della vita.
Il termine ambiente viene inoltre utilizzato in senso ampio: l’ambiente viene definito non solo in riferimento a un singolo organismo, bensì a tutti gli organismi che vivono sul pianeta Terra, pertanto non è inteso solo ad una zona circoscritta bensì all’intero pianeta e alle sue particolari caratteristiche che permettono l’esistenza della vita.
L’essere umano, parte integrante dell’ambiente, esprime il relativo rapporto con diverse modalità tra i quali assume una notevole rilevanza il lavoro.
Il lavoro, artefice di mutamenti ambientali, ha subìto nel tempo una evoluzione così da assumere una funzione determinante in termini di efficienza nella realizzazione dei programmi della produzione di beni e servizi.
Questa evoluzione si è manifestata prevalentemente sul piano tecnologico attraverso l’automazione.
A questo punto il confronto con l’ambiente naturale ha subìto un notevole cambiamento nel tempo passando sul piano operativo da una attività prettamente artigianale ad una attività tecnologicamente avanzata al punto da configurare un proprio ambiente tecnologico ampiamente digitalizzato.
Attraverso il lavoro quale posizione può assumere l’uomo in rapporto con l’ambiente?
Sembra definito un rapporto di dominio rimarcando un ambiente naturale percepito come una realtà esterna da cui ricavare quanto necessario per il nutrimento, il vestito, la costruzione di abitazioni, di quanto ci si sente padroni sfruttandone materiali ed energia.
Questo rapporto con l’ambiente, inteso in senso ampio col mondo circostante, viene espresso in termini di opportunità per stabilire un equilibrio che collochi l’essere umano in una posizione di vantaggio in termini di potere e di dominio sulle risorse che il mondo può riservare.
Occorre comunque riscoprire il valore dell’aforisma attribuito a Charles Darwin “ il lavoro nobilita l’uomo”.
Letteralmente significa “elevare al rango di nobile, conferendo o trasmettendo un titolo di nobiltà”, in senso figurativo indica “sollevare spiritualmente, conferire dignità morale”.
A tal proposito, riguardo al lavoro, occorre citare la sacra scrittura: Genesi 2,1-4 “Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere.
Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro”.
Dio si rivela all’uomo per mezzo del suo lavoro. Tramite la rivelazione naturale, l’esistenza di Dio viene resa nota ad ogni uomo sulla Terra. Dio creò l’uomo a sua immagine e gli affidò il compito di lavorare responsabilmente il giardino di Eden. Osserviamo che le due cose, creazione a immagine di Dio e lavoro, sono strettamente collegate. Infatti, a nessuno degli animali il Creatore affidò un compito così importante, solo all’uomo, dal momento che questi soltanto è stato creato a sua immagine e somiglianza.
Il lavoro, dunque, rivela qualcosa della persona che lo svolge: ne espone il carattere, le motivazioni, i talenti, le capacità e i tratti della personalità.
La giusta dimensione del faticare dell’uomo viene ristabilita nella riflessione biblica. Il lavoro viene presentato come una necessità per l’uomo e va interpretato alla luce di un corretto rapporto con Dio: non deve diventare un idolo, il solo scopo della vita, un valore assoluto.
Sorge l’interrogativo: quale significato può assumere il lavoro quando viene orientato esclusivamente al profitto e al progresso scientifico?
In questo orientamento quale ruolo può assumere il lavoro nel contenuto manuale e intellettuale?
Non va sottaciuto che il lavoro manuale ma prevalentemente intellettuale è interessato, per diversi gradi, dagli effetti della innovazione tecnologica o dalla scienza applicata.
Le innovazioni tecnologiche vanno ricercate nelle cause delle incalzanti applicazioni scientifiche responsabili di attribuire un nuovo rapporto tra l’uomo e la realtà in cui vive.
La pervasività degli effetti scientifici nell’attività umana ha raggiunto limiti inimmaginabili al secolo scorso nell’ambito biologico e, in termini ampi, in quello sanitario e delle comunicazioni sociali interessando gli aspetti essenziali della vita umana e della libertà.
Pertanto è necessario citare i ritrovati della genetica giunta alla clonazione di una pecora, il trapianto di tessuti degli organi di feti abortiti, senza ignorare la diffusione delle comunicazioni via social che ha reso possibile una intrusione nella vita privata degli individui, quale esempio la comparsa degli strumenti digitali sempre più sofisticati che finiranno ad assumere una configurazione estesa inglobata nel così detto Metaverso
Restano pesanti dubbi sulla liceità dei processi scientifici rivolti a perseguire orientamenti in contrasto con l’inviolabilità dei principi etici.
Questo scenario rispecchia l’attuale conoscenza scientifica: prefigurando lo sguardo sulla natura e sulla realtà sociale come un atteggiamento da spettatore con cui vengono studiate le leggi sul piano qualitativo e quantitativo, relegando l’aspetto morale dell’esperienza umana come un fatto privato e personale, del tutto avulso dalla ricerca scientifica.
Cosa ne deriva da questa impostazione?
La risposta viene evidenziata da Erich Fromm: “ la scienza attuale ha un carattere necrofilo, cioè distruttivo nei confronti della natura. Il dramma ecologico ne è la più evidente espressione. Il principio analitico ha in sé un processo di divisione, un insieme viene fatto a pezzi e poi mi restano in mano le parti. Se tento di ricomporle ottengo una macchina, una sintesi artificiale, ma non una realtà vivente.”
A tal punto la ragione può rivelare quale criterio può determinare la vivibilità nella società quando la scienza è al servizio dell’uomo?
Per una risposta occorre chiarire quali siano gli orientamenti della scienza rispetto alle attese della società.
Secondo Pierluigi Barrotta, nel libro “Scienza e democrazia: verità, fatti e valori in una prospettiva pragmatista”, in una società coesa e ordinata scienziati e cittadini partecipi della stessa comunità hanno lo scopo della ricerca della verità e la condivisione degli stessi valori.
La scienza orientata a indagare la realtà secondo leggi universali (del sistema ambientale) non è l’unico strumento di conoscenza della verità al fine di garante una vivibilità sociale. La scienza, pertanto, non ha garantito questo scopo.
Quante congetture non paiono funzionare, quante teorie sono state rielaborate, quante sono tutt’oggi incomplete? Occorre tenere presente che Il termine SCIENZA: dal latino “scire” (conoscere), comprende un insieme delle discipline che hanno per oggetto la natura e gli esseri viventi, tuttavia non è l’unico strumento di verità.
Se cresciamo nella conoscenza del mondo in cui viviamo ci aspettiamo che la scienza raggiunge la meta della verità per rendere più confacente l’ambiente e la società ai principi della legge naturale.
In che senso la scienza persegue la verità o deve esserne al servizio?
Secondo gli assertori di una verità scientifica La Scienza è composta da tre elementi:
Un particolare modo di lavorare, basato sul più acceso scetticismo, il cosi detto “metodo galileiano”.
Un insieme di modelli teorici del mondo e dei suoi fenomeni, le cosiddette “teorie”.
Un insieme di esperimenti o di osservazioni che servono per convalidare i modelli ed ancorarli alla realtà.
La verità scientifica funziona in un certo modo:
– se dall’osservazione di un problema si coglie un aspetto interessante di solito si tratta di qualcosa già conosciuto e l’osservazione riguarda qualche incongruenza in un modello già esistente.
– L’osservazione forma un modello del fenomeno e tenta di spiegarlo mettendo a punto una teoria. Questa teoria deve fare previsioni sul comportamento del sistema in esame. Le previsione devono esporre la teoria ad una confutazione.
– Se l’esperimento confuta la teoria questa viene annullata, in caso contrario viene sottoposta ad altre verifiche.
– Il team di ricercatori originali descrive l’esperimento e la teoria nei dettagli e chiede ad altri ricercatori di eseguire di nuovo l’esperimento e di confrontarlo con la teoria. Se l’esperimento viene replicato da altre persone, e continua a verificare la teoria, la teoria viene considerata scientificamente vera.
In breve la scienza è una conoscenza di tipo dimostrativo ed esplicativo Cfr “Scienza e teologia a confronto”. Alberto Strumia pag. 82
La verità scientifica resta al centro dell’analisi filosofica e teologica.
Quando la scienza è incline a spiegare i fenomeni della realtà le spiegazioni sono valide se riguardano un principio che non richiede alcuna spiegazione che richiude in se la propria verità pertanto è un principio assoluto, in questo caso la spiegazione è inutile. Se il principio è al di fuori della scienza è evidente che deve trarre la conoscenza di questo principio da un’altra scienza cioè la metafisica.
La scienza è quindi una disciplina che spiega una verità relativa. Secondo quanto evidenziato da Alberto Strumia nel Capitolo terzo in “Scienza e teologia a confronto”
Così enunciata, incontra un diniego nel pensiero filosofico e teologico.
Dalla pubblicazione “Fede e scienza” di Benedetto XVI si evince che … «La scienza, tuttavia, pur donando generosamente, dà solo ciò che deve donare. L’uomo non può riporre nella scienza e nella tecnologia una fiducia talmente radicale e incondizionata da credere che il progresso scientifico e tecnologico possa spiegare qualsiasi cosa e rispondere pienamente a tutti i suoi bisogni esistenziali e spirituali. La scienza non può sostituire la filosofia e la rivelazione rispondendo in modo esaustivo alle domande più radicali dell’uomo: domande sul significato della vita e della morte, sui valori ultimi, e sulla stessa natura del progresso. In conclusione La prevedibilità scientifica solleva anche la questione delle responsabilità etiche dello scienziato. Le sue conclusioni devono essere guidate dal rispetto della verità e dall’onesto riconoscimento sia dell’accuratezza sia degli inevitabili limiti del metodo scientifico»