Il Pensiero Cattolico

19 Novembre 2024

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Gabriele Cianfrani:

L’UNITÀ DELLA TEOLOGIA E IL RISCHIO DELLA FRANTUMAZIONE

Non poche volte si assiste alla presentazione della scienza teologica in maniera frammentata, o meglio, frantumata.

Vale a dire che negli ultimi tempi sono emerse ‘varie teologie’: teologia del progresso, teologia della speranza, teologia della croce, teologia della morte di Dio e via di questo passo. Senza fare di tutta l’erba un fascio, riconoscendo la legittimità di una di queste rispetto all’altra, sembra proprio che una simile presentazione non arrechi altro che frantumazione all’interno della unica scienza teologica. Infatti, nonostante nella teologia rientrino varie aree come quello dogmatico, morale, spirituale, biblico ecc., in quanto scienza essa è «una». Il rischio che si potrebbe correre – di fatto accade – è quello di perdere di vista la totalità a causa di una eccessiva attenzione verso la parzialità. Inoltre, esprimersi come sopra riportato: «teologia di…», non pare sia il modo più corretto, nonostante la bontà delle intenzioni. Questo problema è stato avvertito anche da Joseph Ratzinger, il quale ci indirizza mediante le seguenti parole:

il pluralismo che porta alla rovina dell’unità nasce là dove uno non si sente capace di tenere insieme la grande tensione interiore della totalità della fede. Esso presuppone sempre al suo inizio una riduzione e un impoverimento, che non vengono eliminati dalla fioritura di concezioni parziali del cristianesimo, che emergono e sprofondano in forma concomitante o successiva – al contrario, anzi, diventa così del tutto evidente la povertà di ogni singolo tentativo. È più fruttuoso invece il pluralismo teologico, là dove riesce a ricondurre all’unità la multiforme varietà delle manifestazioni storiche della fede, che non cancella questa molteplicità, ma la riconosce come intreccio organico di quella verità che oltrepassa l’uomo.[1]

Quelle di Ratzinger sono parole alquanto importanti e rimandano al fatto che non bisogna perdere di vista l’unità della teologia, in particolar modo: ricondurre all’unità la multiforme varietà delle manifestazioni storiche della fede.

Vediamo in che modo si coglie l’unità della scienza teologica, la quale è una proprio in riferimento al suo subiectum, e lo vedremo con l’aiuto del Doctor Angelicus.

Nella prima pars della sua Summa Theologiae e proprio nella prima questione, l’Angelico riporta precisazioni che andrebbero più che mai riprese, e cercheremo di farlo, per quanto riguarda l’«unità» della scienza teologica, con gli articoli 2, 3, 7.

Iniziamo col prendere in considerazione l’articolo 2: Utrum sacra doctrina sit scientia. La risposta è affermativa, ma con alcune precisazioni. Infatti, vi sono due generi di scienze: quelle che procedono da princìpi noti alla luce naturale dell’intelletto (come l’aritmetica, la geometria) e quelle che procedono da princìpi noti alla luce della scienza superiore (così come la prospettiva procede da princìpi notificati per la geometria, e la musica da princìpi noti per l’aritmetica). La sacra dottrina è scienza in questo modo, perché procede da princìpi noti alla luce della scienza superiore, che è quella di Dio e dei beati.[2]

Nell’articolo 3 si procede ulteriormente: Utrum sacra doctrina sit una scientia, con la distinzione materialiter e formaliter. Pertanto, l’oggetto materialmente preso può essere l’uomo, l’asino, la pietra; formalmente preso risponde alla ragione formale dell’essere «colorato», che è l’oggetto della vista. In tal caso l’oggetto non deve essere preso materialmente, ma secondo la ragione formale di «colorato», che interessa tutti e tre gli oggetti. Parimenti con la sacra dottrina: considera alcune cose che sono rivelate divinamente, per cui tutte le cose che possono essere rivelate divinamente rientrano nella ragione formale dell’oggetto della scienza divina, alla luce della quale sono comprese sotto la sacra dottrina come sotto quella scienza che è una.[3]

Ora, ciò che non bisogna perdere di vista è che la sacra dottrina non si riferisce a Dio e alle creature equamente, sed de Deo principaliter, et de creaturis secundum quod referuntur ad Deum, ut ad principium vel finem. Unde unitas scientiae non impeditur.[4] Questa precisazione è molto importante, poiché il riferimento è principalmente a Dio, secondariamente alle creature ma sempre in riferimento a Dio. Allorché ci si concentrasse sull’indagine di un aspetto particolare, offuscando il riferimento principale a Dio, si avrebbe una indagine frantumata che comporterebbe il raccogliere quei pezzi che dovrebbero servire per ricomporre la totalità. Ma in tal caso la totalità sarà contraffatta, proprio perché la partenza dell’indagine teologica non considererà Dio come il riferimento principale e finale. Gli aspetti particolari devono rientrare in Dio come principio e fine, non come aspetti a sé come una sorta di puzzle da comporre.

Infatti, con l’articolo 7 si ha il chiarimento definitivo: Utrum Deus sit subiectum huius scientiae. E la risposta non avrebbe bisogno di ulteriori precisazioni: in hac scientia fit sermo de Deo, dicitur enim theologia, quasi sermo de Deo. Ergo Deus est subiectum huius scientiae.[5] Non solo, ma omnia autem pertractantur in sacra doctrina sub ratione Dei, vel quia sunt ipse Deus; vel quia habent ordinem ad Deum, ut ad principium et finem. Solo Dio è il subiectum della teologia e tutto ciò che la medesima tratta è sub ratione Dei, o perché è Dio stesso o perché dice ordine a Dio. Ma veniamo al punto che occorre sottolineare maggiormente, per avviarci alla conclusione, ossia il fatto che spesse volte alcuni argomenti sono trattati non sub ratione Dei, ma come se tali argomenti fossero il subiectum di se stessi. Già accadeva al tempo dell’Aquinate: vel res et signa; vel opera reparationis; vel totum Christum, idest caput et membra. Tuttavia, questi argomenti non possono essere trattati in maniera a sé stanti, sed secundum ordinem ad Deum.

Occorre recuperare l’unità del sapere teologico partendo dal modo di esprimersi, evitando le «teologie di/del/della/dello…», le quali, in tal modo, non esprimono altro che una sorta di frantumazione. Al riguardo, è possibile leggere quanto riportato dalla Commissione Teologica Internazionale, nel documento Teologia oggi: prospettive, principi e criteri:

Nei tempi moderni, in misura crescente, la parola «teologia» viene utilizzata al plurale. Si parla delle «teologie» di diversi autori, periodi o culture, riferendosi ai concetti distintivi, temi significativi e prospettive specifiche di queste «teologie».[6]

Il documento precisa che una certa pluralità è legittima, ma prestando attenzione alla teologia in quanto scientia fidei e scientia Dei, nel salvaguardare il subiectum della teologia che è Dio. Per questo motivo sarebbe meglio se si parlasse di «pluralità» anziché di «pluralismo», o meglio, sarebbe una esigenza, dacché la molteplicità presuppone l’unità.

_____________________

[1] J. RATZINGER, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca Book, Milano 20184, 85.

[2] Cf. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 1, a. 2.

[3] Cf. Ibid., a. 3.

[4] Ibid., ad 1um.

[5] Ibid., a. 7.

[6] Commissione Teologica Internazionale, Teologia oggi: prospettive, principi e criteri, n. 75.

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